Il padre del sionismo, Theodore Herzl, scrisse ne Lo Stato ebraico, il suo influente pamphlet del 1896: «Lì [in Palestina] saremo un settore del muro dell’Europa contro l’Asia, fungeremo da avamposto della civiltà contro la barbarie». […] Era normale che agli ebrei venisse insegnato a scuola o nel corso dell’educazione religiosa - e così mi veniva detto anche a casa dai miei genitori ebrei liberali - che erano il popolo eletto e avevano un rapporto unico con Dio e la società. (p. 44)
Le parole di Herzl sono lo zoccolo duro ultracentenario che alimenta la narrazione sionista ripetuta fino a qualche giorno fa da Netanyahu al Congresso negli Stati Uniti, per rafforzare la collaborazione con gli americani nella lotta al terrorismo dopo quasi un anno dai fatti del 7 ottobre 2023: «Sono venuto qui per assicurarvi una cosa, che vinceremo e la nostra sarà una vittoria totale. Quello che sta accadendo non è uno scontro di civiltà, ma tra barbarie e civiltà, tra coloro che glorificano la morte e coloro che glorificano la vita» (fonte: RaiNews).
Uno scontro tra mondo civilizzato e caos primordiale, tra luce e buio, tra bene e male: questa è la giustificazione da inculcare sin da piccoli, nell’educazione familiare e scolastica ebraica, che legittima le violenze, gli arresti sommari ai danni della popolazione palestinese, l’occupazione illegale - non riconosciuta né dall’ONU né dall’UE e neppure dagli USA - della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, che è la sede di importanti luoghi di culto sia arabi che ebraici. Tutti siamo a conoscenza della distruzione della Striscia di Gaza, alla ricerca dei terroristi di Hamas e dei loro ostaggi, che ha causato la morte di tantissime persone, tra cui bambini, la mutilazione di diversi palestinesi che, poiché islamici, vengono considerati il male assoluto.
Israele, l’unica “democrazia” (le virgolette sono d’obbligo) del Medioriente, è evidentemente malata di un inguaribile complesso di superiorità alimentato dall’appoggio americano e di altre democrazie occidentali e commette i più atroci soprusi nell’impunità quasi totale. Perché questo accada, quali siano i motivi di tanto potere è tutto tristemente chiaro leggendo lo straordinario lavoro d’inchiesta di Antony Loewenstein Laboratorio Palestina. Come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo. L’autore è nipote di ebrei tedeschi che, in seguito alle persecuzioni naziste del terzo Reich, fuggirono in Australia. Inoltre, è un giornalista investigativo e ha vissuto per quattro anni a Gerusalemme Est scrivendo per diverse testate importanti come «The New York Times», «The Guardian», «The Washington Post» e «Al Jazeera English» e ha avuto la possibilità di intervistare diverse personalità, di vivere da ebreo ateo in uno dei territori occupati da Israele, di accedere a fonti di prima mano, soprattutto a documenti desecretati in tempi recenti, oltre che vedere coi propri occhi l’apartheid che Israele impone ai non ebrei. Lo Stato di Israele è l’unico Stato “di tipo occidentale” che costringe un popolo alla pratica disumana e incivile dell’apartheid, denunciata di recente, a partire dal 2021 non solo da Amnesty International, ma anche da B’Tselem, uno dei maggiori gruppi israeliani che si batte per i diritti umani.
Oltre mezzo secolo di occupazione e questi rapporti autorevoli hanno fatto la differenza. Anche se i palestinesi lo proclamavano da decenni, c’è voluto del tempo perché questo cambiamento di percezione si diffondesse presso l’élite e l’opinione pubblica occidentali. Oggi è impossibile negare l’illiberalismo di Israele e molti liberal occidentali non esitano più a dirlo. (pp. 8-9)
Loewenstein divide il suo saggio in sette intriganti capitoli e con linguaggio chiaro e documentaristico tocca i diversi punti che spiegano il business di Israele nel settore militare e della cybersicurezza che raggiunge cifre da capogiro e che probabilmente è sconosciuto ai non addetti ai lavori: la vendita delle armi soprattutto a Stati autarchici e dittatoriali, la costruzione di tecnologie d’avanguardia per sorvegliare un’intera popolazione. Si tratta di know how Made in Israel e tutto testato sul campo, in Palestina, per essere specifici. Da qui il titolo del libro: la Palestina è tristemente il luogo privilegiato dove lo Stato di Israele ha testato ormai da quasi un secolo il suo regime di oppressione e di colonizzazione illegale.
Loewenstein innanzitutto smonta l’idea di Israele come stato democratico (io aggiungerei anche “non laico”, in un contesto geopolitico occidentale dove ormai anche le monarchie sono sganciate da implicazioni religiose e di privilegio)
La pretesa di Israele di essere una solida democrazia nel cuore del Medio Oriente è confutata dai fatti. Tutti gli organi di stampa del paese, nonché i loro editori e autori, prima della pubblicazione devono sottoporre gli articoli relativi agli affari esteri e alla sicurezza nazionale al capo censore militare dell’IDF (Forze di Difesa Israeliane, l’esercito dello Stato di Israele). Nessun altro paese occidentale ha un sistema simile. […] La censura ha il potere di bloccare tutto l’articolo o di modificarlo solo in parte. […] Per decenni le voci che discutevano di Israele e Palestina sui media occidentali sono state quasi esclusivamente di ebrei. (p. 9)
Benjamin Netanyahu, attualmente primo ministro israeliano, ha creato una vera e propria ideologia “vincente”: l’Europa per lui è sempre stata una Babele caotica, ne rifiuta il multiculturalismo, la tolleranza (soprattutto di alcuni Stati UE). O si è dalla parte di Israele o da quella della morte. Nonostante le remore nei confronti delle azioni di Israele verso i palestinesi, l’Europa ha sempre collaborato con le società israeliane impegnate nella tecnologia militare. Il giornalista, alla luce dei documenti desecretati, cita nel libro i diversi prodotti ad alta tecnologia e affidabilità sfornati da Israele e venduti a diversi Stati del mondo, più o meno dichiaratamente, allo scopo sempre biasimevole di reprimere popoli già oppressi. Cito solo pochi esempi documentati, dato che il lettore troverà nel libro ampia trattazione: Israele e USA hanno addestrato e armato squadroni in Colombia in favore del trafficante di droga Carlos Castaño, alla guida di una forza militare di estrema destra; Israele è intervenuto vendendo armi e conoscenza militare a Pinochet, autore di una brutale repressione in Cile negli anni Settanta e Ottanta; lo stato ebraico ha appoggiato Ceausescu, nonostante sapesse delle sue tendenze antisemite, nel governo tirannico in Romania dal 1965 al 1989.
In breve, dal 1948, ogni volta che un capo di stato ha dovuto reprimere nella violenza i movimenti di resistenza di un popolo o fare un golpe, Israele lo ha sostenuto e ogni accusa è confermata da cablogrammi, documenti venuti alla luce in tempi recenti. Ciò che più sconcerta è che l’IDF, l’esercito che si proclama «più morale al mondo» (p. 35), continua a occupare territori, a sorvegliare, con droni a tecnologia sempre più sofisticata e non solo, le vite private dei palestinesi, ignorando i diritti umani.
Ho trovato straordinaria la ricca documentazione, i rimandi a testate di diversa provenienza (ebraiche, americane, di diversi paesi del mondo), estratti di archivi, saggi di studiosi autorevoli, nonché l’esperienza sul campo di Loewenstein, che gli ha permesso di scrivere un lavoro così interessante. Si tratta di un libro che, nonostante la mole di informazioni, segue una linea precisa e riconoscibile, che costruisce nel tempo la storia del business militare di Israele che ha avuto una grande spinta soprattutto dopo l’attentato alle Twin Towers l’11 settembre 2001, evento spartiacque della storia contemporanea, come ben sappiamo, che sancisce in qualche modo la fine dell’inviolabilità americana. Da quel momento, Israele che si è mostrato da subito vicino e solidale, ha fornito agli USA il suo supporto alla guerra per la civiltà e così
è protetto diplomaticamente dagli Stati Uniti da uno tsunami di condanne mondiali, risultato di decenni di occupazione dei territori palestinesi e delle frequenti guerre con Gaza. (p. 63)
Loewenstein costruisce i tasselli che hanno permesso a Israele di resistere alla crisi economica postglobalizzazione del 2008 comportandosi come stato modello di resilienza: si è dimostrato una start up riuscendo a sganciarsi anche dagli aiuti statunitensi, al punto che al 2020 si sono ridotti quasi all’1% dell’economia israeliana (p. 63). Nonostante la macchia morale della distruzione di Gaza, vero etnocidicio, condannata dalle ONG e da alcuni Stati sensibili alla causa palestinese e soprattutto dall’opinione pubblica mondiale, la vicinanza dell’UE e degli USA al primo ministro Netanyahu si fa sempre più forte, e le motivazioni, come il libro Laboratorio Palestina documenta ampiamente, non sono tanto di tipo ideologico, quanto opportunistico: la tecnologia di spionaggio e sorveglianza prodotta da Israele negli ultimi tempi è molto richiesta, in particolare per controllare l’arrivo dei migranti sulle coste del Mediterraneo.
Lascio al lettore il piacere/dispiacere di scoprire, intrigato dal piglio del giornalista e dal grande interesse degli argomenti trattati, le modalità attraverso cui la Palestina è diventata l’officina di Israele. Ho trovato molto intriganti anche le pagine dedicate alle strategie di marketing di prodotti che servono non tanto per la difesa, ma per uccidere gli oppressi, dall’ideologia di ultra-destra sionista che alimenta un odio sconfinato di chiara matrice islamofoba alla sessualizzazione del militarismo con le AGA (Alpha Gun Angels) fondate dall’ex veterana dell’IDF, Orin Julie (p. 78).
Sostenendo sin dalle prime pagine del libro di essere contrario alla soluzione “due popoli, due Stati”, lo studioso sottolinea che la complessità del mondo globale richiede l’attenzione di tutti i capi di Stato: bisogna tenere conto, secondo Loewenstein, della grande opposizione al governo di Netanyahu - l’uomo di Stato più sionista di sempre - e dei problemi che affliggono la popolazione mondiale.
Israele e i suoi sostenitori devono compiere una scelta tra l’adesione al sionismo e il rispetto dei valori liberali. È impossibile continuare a credere in entrambi, considerando la situazione di apartheid tanto in Israele quanto in Palestina. L’industria israeliana della difesa fa leva sulla sua eccellenza per continuare a impressionare i clienti di tutto il mondo. In tempi di conflitti, insicurezza e crescente preoccupazione per i cambiamenti climatici, questa è una scommessa sicura. Israele ha gli strumenti per aiutare i paesi più facoltosi a scongiurare, almeno per un po’, gli aspetti peggiori del collasso della società. (p. 274)
Marianna Inserra
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