Spiccare il volo
di Aurélie Valognes
edizioni e/o, 2024
Traduzione di Alberto Bracci Testasecca
pp. 272
€ 18,50 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Spiccare
il volo è la storia del rapporto
strettissimo che lega una figlia a una madre single, esplorato nel suo evolvere
nel corso degli anni, dall’infanzia della bambina alla sua età adulta. Aurélie
Valognes sceglie di adottare una forma narrativa non convenzionale, caratterizzata
da una rapida alternanza dei punti di
vista: la parola rimbalza continuamente da Lili, la figlia, a Gabrielle, la
madre, a volte nello spazio di poche righe. Questa narrazione contrappuntistica consente non soltanto di offrire differenti
prospettive su medesimi eventi, ma anche di rimettere continuamente in
discussione lo statuto del vero. Spesso infatti i comportamenti e le scelte
delle protagoniste sono dettati dalla volontà
di proteggersi reciprocamente, e questo porta a fraintendimenti interpretativi dell’una o dell’altra; allo stesso
modo lo sguardo che ciascuna ha su di sé non è talora nitido come quello che su
di lei ha l’altra. Le due prospettive risultano dunque complementari, ma anche
involontariamente dialoganti, implicate in una continua, inconsapevole dialettica. Se tale descrizione può
apparire farraginosa, l’effetto ottenuto dall’autrice è invece di grande naturalezza, grazie a una prosa
che scorre lieve su sentimenti e stati d’animo, che attraversa il tempo del
racconto e mostra l’evoluzione di due personaggi femminili molto diversi,
eppure visceralmente connessi.
Gabrielle è una donna di umili origini, proveniente da una famiglia disfunzionale e abituata a lavorare sodo per vivere. Si dedica all’accudimento degli anziani e fatica ad arrivare a fine mese. Per lei il dovere viene sempre prima del piacere, ma ciò non le impedisce di aspirare a un futuro grande per la figlia, a cui cerca di tenere nascosto lo stato di precarietà in cui si trovano e di dare sempre il meglio.
Vengo da una famiglia che si beve quello che guadagna, che spende in gratta e vinci i soldi che non ha, una famiglia che picchia il cane e tiene la televisione sempre accesa, una famiglia che puzza di mozziconi, umidità, polvere e alcolici. […] Vengo da lì. Così con Lili ho fatto a modo mio. Più che altro ho fatto quello che ho potuto. (pp. 30, 31)
Lili invece rivela fin da subito un’intelligenza vivace e una passione per i libri e per la scuola, in cui inizia a intravedere molto presto la via del riscatto sociale. Estremamente determinata, a tratti caratterialmente caustica, ha obiettivi ambiziosi che vuole raggiungere a ogni costo e che spesso incalza, compromettendo la propria salute e rimettendo in discussione le regole costituite. In un paradossale rovesciamento di ruoli, vuole proteggere la madre, che avverte inerme e troppo buona, dalla durezza del mondo esterno, pertanto si chiude in se stessa, non mostrando mai le propria fragilità o i propri dolori.
Succedono molte cose nella testa di una bambina. Ogni giorno siamo oppresse da incomprensioni, dubbi, conflitti tra quello che sentiamo e quello che dovremmo sentire, tra quello che pensiamo e quello che dovremmo pensare. Così le domande restavano dentro di me. […] Certo, avrei potuto chiedere a mamma, ma avevo paura che le mie domande avrebbero rivelato troppo su di me. Temevo di metterla a disagio. […] Così ho imparato la pubertà sui libri, come parecchie altre cose. (p. 73)
Nonostante il loro rapporto sia simbiotico, Lili cresce in opposizione alla madre, cercando di
realizzarsi per «non restare nella sala
d’aspetto della vita» (p. 32). Le sue attitudini del resto sono «decidere, guidare, dirigere» (p. 22) e
Gabrielle, insicura e poco colta, abbagliata dalla sua curiosità e dal suo
spirito pungente, il più delle volte la
lascia spadroneggiare. Se inizialmente si configura uno squilibrio, un eccesso d’amore che taglia fuori tutti gli altri
e preclude alla donna ogni altra relazione, proseguendo con le pagine - e con
la crescita della ragazzina - qualcosa
tra le due si incrina: Lili inizia
sempre più spesso a correggere la madre, a respingerla e sottolinearne le
mancanze, e le sue scelte la portano sempre più lontana. Questa distanza non è solo spaziale (come
quando decide di frequentare la scuola preparatoria a Parigi, o un college
prestigioso all’altro capo della Francia, o accetta un incarico lavorativo a
Londra); è, prima di tutto, una distanza
culturale, e conseguentemente sociale, apparentemente incolmabile. A chi la
accusa di essere “transfuga”, ovvero di aver tradito e rinnegato le proprie origini per fare un salto di
ambiente, Lili oppone una reazione sdegnata, che nasconde però il senso di
colpa di chi non vuole guardare in faccia la verità. Allo stesso tempo,
l’allontanamento della ragazza dalla banlieue
in cui è cresciuta determina anche uno
scarto di consapevolezza: Lili comprende duramente, sulla propria pelle,
che “Volere è potere” è uno slogan che non vale per tutti, che il potere è legato non alla volontà,
piuttosto al denaro, e che possederlo rende i sogni più facili e
realizzabili («ci sono regole del gioco
che scopro a partita cominciata da un pezzo e che mi sfavoriscono. Tutta la
buona volontà del mondo non basta. E per la prima volta i miei voti sono
condizionati da ragioni economiche e sociali. “Volere è…”. Invece no, non
sempre è potere, e adesso so perché», p. 115).
Al di là dell’apparenza leggerezza, il volume rivela
progressivamente la sua forte istanza
sociale, che nasce dall’esperienza
autobiografica della stessa autrice, «emigrata
di classe» come Lili. Nella postfazione Valognes descrive la genesi del
romanzo legando la volontà di scrivere un’opera di fiction alla possibilità di
rappresentare una «storia collettiva»
di lacerazione e ridefinizione identitaria.
La scelta della doppia prospettiva risulta quindi inevitabile, l’unico modo per
mettere in dialogo «due solitudini, due
incomprensioni, due donne» (p. 264). Gabrielle si fa infatti portatrice di una visione opposta, di una saggezza pragmatica legata a valori sani,
lontani da ogni forma di competizione e arrivismo. La sua vita, che dapprima
Lili fatica a comprendere, è vissuta in funzione degli altri (della famiglia,
ma anche dei suoi “vecchini”, a cui si dedica con generosità e affetto
sincero), è una vita in cui il tempo
speso insieme conta più del denaro guadagnato e per amore di una figlia si può essere disposti anche a lasciarla
andare.
Perché le due strade, così divergenti, tornino a incontrarsi davvero e il dialogo tra le due donne diventi reale - non più solo formale - devono trascorrere ancora molti anni: Lili deve innanzitutto diventare madre a sua volta. La maternità porta infatti pienezza, ma anche insicurezza: è tramite Valentine che Lili può finalmente capire Gabrielle.
Mia madre è forte, molto più forte di me, in tutto. È più armata nella vita, più solida, più intera, dà tutto, non si risparmia mai. È un tipo di forza che non si impara sui libri. È la forza dell’amore che diamo agli altri, quello che siamo pronti a fare per il prossimo, superarci, non dare retta a noi stessi per fare quel che c’è da fare, quel che dobbiamo fare, senza gemere senza lamentarci, anche perché nessuno lo farà al posto nostro. (p. 203)
Il percorso non è però ancora compiuto, devono sopraggiungere la vecchiaia e la malattia di Gabrielle
a chiarire una volta per tutte l’ordine
delle priorità. Solo a quel punto è possibile tornare a vedere con
lucidità, smettere di nascondersi, e magari decidere di cambiare: il ritorno al
passato, attraverso ricordi stavolta condivisi, è propedeutico alla
ricostruzione e alla proiezione della relazione tra le due protagoniste verso
un futuro ancora da scrivere.
Carolina Pernigo
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