di Benjamin Stevenson
Feltrinelli, marzo 2024
Traduzione di Elena Cantoni
pp. 360
€ 19 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Ritornano i casi “fortuiti” e strampalati del “giallista per caso” Ernest Cunningham, stavolta alle prese con un delitto su un treno. Dopo il primo libro, che raccontava gli omicidi di diversi parenti durante una riunione di famiglia in montagna, ecco che Stevenson crea per il suo Ernest Cunningham la location perfetta per un nuovo giallo.
Mentre il protagonista si arrovella su come farsi venire l’ispirazione, il treno su cui è stato invitato (o forse no, lo scopriremo man mano), per partecipare con altri sei giallisti a un festival letterario, (a qualcuno ricorda Assassinio sull’Orient Express?), l’omicidio arriva. Anzi diremmo che arrivano gli omicidi, peraltro annunciati già anticipatamente dal protagonista, come ormai Ernest Cunningham ci ha abituati.
Parte così una serie di capitoli che sono un omaggio ai vari generi letterari, con mini-inchieste e interviste ai possibili responsabili, inganni, intrighi e capitoli riepilogativi in cui Cunningham fa il punto della situazione e spiega al lettore del romanzo che sta scrivendo (ricordo infatti che il protagonista è a sua volta uno scrittore che trae ispirazione dalla vita, in un riuscitissimo gioco di meta-letteratura) in che modo si procederà nel racconto.
Partendo dal Memoir, che serve a Cunningham per riallacciare il filo del discorso col romanzo precedente, ovvero Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno (qui la recensione). La difficoltà nel condurre l’indagine stavolta è data anche dal fattore umano presente a bordo, in quanto tutti sanno come funziona un giallo e tutti vorrebbero risolverlo.
I capitoli successivi identificano in primo luogo il più quotato tra gli scrittori presenti sul fantastico Ghan, il treno panoramico australiano, che, oltre a essere lunghissimo, è anche dotato di ogni comfort e di ambientazioni molto suggestive. A ogni scrittore è dedicata una lunga descrizione, a partire dal preferito del protagonista, che avrà un ruolo cruciale:
McTavish era il mio autore vivente preferito. L’investigatore della sua serie, il detective Morbund, è la cosa più prossima a Holmes o a Poirot che si possa desiderare. Il tipo di personaggio che risolve il caso al capitolo 2, ma rimane abbottonato fino alla fine, all’unico scopo di fare a pezzi gli alibi di tutti gli altri. (p. 39)
Infine i capitoli variano lo stile a seconda dello specifico sottogenere a cui si ispirano: dal legal a quello psicologico, da quello medico al romanzo letterario. La soluzione? Come spesso succede nella realtà sarà un colpo di scena dettato da un invisibile dettaglio, affidato non a caso a una Ghost Story, ma non mancherà un epilogo scritto via mail e un finale affidato a un co-autore.
Insomma, Stevenson rivela ancora una volta la sua ironia, la sua genialità e la maestria nel genere, scrivendo di delitti ma anche del mondo che ruota attorno alla letteratura di genere, della considerazione che ne hanno spesso gli addetti ai lavori, delle figure principali, gli scrittori ovviamente, ma anche di agenti, editori, influencer, pubblico.
Il tutto servito dentro un gustoso menu che tocca i generi e le caratteristiche, mette in evidenza come si procede nella stesura di un thriller, gli errori da non fare, i maestri da seguire e la deriva che ha preso il genere, in qualche caso, oggi. In un viaggio fisico ma anche figurato, che procede quasi spedito verso la meta e che ci conduce dentro i meccanismi di un genere spesso sottovalutato, ma di cui gli appassionati non possono che ammirare la genialità e le difficoltà nel renderlo credibile, cosa che per Stevenson è un gioco da ragazzi.
Samantha Viva