La strada di fango giallo
Al margine della città si trovava una strada di fango giallo, la ricordo molto bene. Eppure tutti sostengono che non sia mai esistita. Sono andata a cercarla, e cercandola ho attraversato polvere gialla e sagome umane coperte di polvere gialla.A tutti quelli che incontravo chiedevo:«È questa la strada di fango giallo?».Ma loro mi fissavano con occhi da pesce morto e non rispondevano. (p. 5)
Sul limitare di una città non identificata, vi è una strada di fango giallo abitata da persone che vivono di sogni, ne fanno in grande quantità, si addormentano talvolta anche nel bel mezzo di una conversazione o, addirittura, mentre sono seduti sul gabinetto per poi svegliarsi a bisogni espletati. I sogni vengono poi raccontati, sono argomento di scambio di idee e spesso sono considerati premonitori. In passato questa strada ha vissuto un certo fasto, ma adesso è abbandonata e vi accadono cose fuori da ogni tentativo di comprensione. La gente che vi abita non può più notare i colori del cielo, perché piove cenere nera e densa che copre le case e provoca irritazioni agli occhi. Con gli anni si è moltiplicata la spazzatura, col risultato che, quando piove acqua nera, si forma un ammasso nauseante di rifiuti, di scarti organici, di liquami che invade la strada, provocando anche epidemie di diarrea. Lungo la strada c’è una fabbrica S, un tempo fiorente e anche lì dentro gli operai erano storditi e confusi da tempo immemore, con
gli occhi cisposi e chiusi, schioccavano le labbra, la bava colava nell’angolo della bocca. Sogni di ogni genere - sogni caldi - sogni sudati - sorgevano dalle cataste di legno putrido ammucchiate ovunque, dalle casse unte, e formavano una rete di sogni percorsa da un russare simile ai ruggiti degli animali. Era grandioso! Il sole era così buono che perfino le zanzare e le mosche sognavano. Non stavano forse sognando quelle mosche dalla testa verde posate sull’ ulcera di Yan Laowu? Una mosca mezzo addormentata arrivò a infilarsi nella sua grande bocca spalancata e bavosa. (p. 19)
A causa del grande caldo umido nascono da sotto la grondaia, dal buco della tazza del wc, dai posti più impensabili prima diversi insetti, coleotteri rumorosi come elicotteri, zanzare velenose, scarafaggi che si moltiplicano a dismisura nella case, mosche che pungono lasciando bolle che una volta esplose liberano larve, e poi topi aggressivi che uccidono gatti, pipistrelli grassi e teneri (che qualcuno prova anche a cucinare, insieme alle mosche fritte). Le immagini qui velocemente elencate sono surreali, grottesche, disturbanti.
Can Xue riesce, nella sua poetica dell’assurdo e dell’ inconcepibile, a creare fisicamente, senza indulgere in descrizioni, il disgusto, l’aberrante, il gravame dell’aria umida e irrespirabile, il fetore dei liquidi corporei, l’alito insano di chi mangia cibo… non convenzionale.
La strada di fango giallo è una sfida per il lettore, anche per chi ama la letteratura sperimentale e avanguardistica. Di fronte a una scrittura unica, così lontana dal modernismo occidentale, ogni commento sarà sempre parziale, mai all’altezza. Non dico questo per captatio benevolentiae, non serve, ma perché voglio che sia chiara l’unicità della scrittura di Can Xue, una della voci più potenti del panorama letterario cinese, ma, soprattutto, originali. Vero nome dell’autrice è Deng Xiaohua, classe 1953: la nostra ha iniziato a dedicarsi alla scrittura a partire dagli anni Ottanta, dopo aver svolto diversi mestieri, tra cui l’operaia e la sarta. Figlia di perseguitati della Rivoluzione culturale, Can Xue ha conosciuto la povertà estrema e la fame più nera; racconta infatti nelle diverse interviste che coi suoi familiari si era nutrita finanche della lana che erano riusciti a trovare in casa. Il suo nome d’arte è un chiaro riferimento alla sua tempra e alla sua poetica: è la neve sporca che resiste e non si scioglie.
La strada di fango giallo è stato pubblicato in Cina nel 1987 e la casa editrice Utopia, che sta recuperando la sua produzione, lo ha pubblicato quest’anno con la pregevole traduzione di Maria Rita Masci, la quale ha tradotto anche Dialoghi in cielo dello stesso editore.
Questo breve romanzo non è per tutti. Per poterlo apprezzare è necessario non cercare una metafora sottesa a ogni pagina, un messaggio finale da afferrare tra le righe, un riferimento alla vita politica e culturale cinese; qualsiasi tentativo sarebbe inutile, chiudereste il libro a pagina dieci. La stessa autrice riferisce in più occasioni di essersi ispirata a Franz Kafka nelle sue opere, ma lei va ben oltre l’assurdo! La sua scrittura è straniante, disturbante, grottesca, inquietante, sa trascinare dentro un incubo. È astratta, ma di un astrattismo materico, assolutamente corporeo e plastico, è fortemente onirica e visionaria, ma allo stesso tempo non è mai nevrotica. In alcuni passaggi di tipo metamorfico, ho pensato a Mircea Cartarescu della trilogia Abbacinante per la pirotecnia visionaria, allucinata e allucinatoria:
Nei recessi del terreno c’erano angoli bui di tutti i tipi e forme, dove piccole cose senza ali rotolavano e si ammassavano in piccoli gruppi. Come si generavano queste piccole cose? Nessuno lo sapeva. Forse l’aria della S era naturalmente diversa, più umida, più densa, e si sa che la densità produce cose, cose di ogni genere, carnose e vivaci. Sotto la grondaia del gabinetto cominciarono a nascere le lumache, file e file di lumache, poi comparve un’enorme falena colorata, grande come un pipistrello, che volava sibilando. (p. 27)
A un certo punto della narrazione compare un capodistretto che prova a far quadrare le cose per gli abitanti della strada di fango giallo, ma ogni tentativo è inconcludente in partenza. Si sente nominare un certo Wang Ziguang, dagli stessi abitanti, dal segretario Zhu, ma non sanno chi o cosa sia, se un uomo, una scimmia o addirittura un fuoco fatuo. Girano pettegolezzi su di lui, subito smentiti, si fanno premonizioni di sogni, chi si occupa di politica è ancora più fatuo dello stesso Wang Ziguang. Ne La strada di fango giallo primeggia l’illogicità, il surreale insieme a una sensazione di catastrofe imminente mentre la popolazione è completamente inetta nell’affrontarla, sempre addormentata o sveglia a parlare del niente.
«Il tetto si è talmente putrefatto, come avviene a un uomo che alla fine si trasforma in vermi. Tutto si decompone al mondo, anche il ferro, anche il rame, e diventa vermi. I ribelli hanno speranza?».La figlia stava in piedi sotto il tetto con le mani sui fianchi, sembrava molto contenta.«Ora che non c’è più il tetto puoi andare all’ ospizio», disse entusiasta versando la minestra di riso nella sua grande bocca nerastra, mentre i capelli unti le finivano nella ciotola. […]«Quanta gente c’è nella strada di fango giallo che vive oltre gli ottanta anni? Non riesco a capirne il motivo. Perché vivere oltre gli ottanta anni? Francamente penso che sia soltanto un modo di andare controcorrente».Ciò detto, increspò le labbra e ruttò. (p. 135)
Chi ama la letteratura cinese si troverà completamente disorientato: non vi sono riferimenti politici, si è già detto, non si leggono passi di quella onnipresente brutalità tipica di tanti autori suoi connazionali (Mo Yan, Yu Hua per citarne qualcuno) e neppure è possibile trovare uno sparuto accenno al folklore cinese. I libri di Can Xue potrebbero essere ambientati ovunque. Siamo di fronte a un tipo di scrittura assolutamente non convenzionale, che va al di là della logica, perché Can Xue non scrive sopra le righe, ma su uno spartito completamente diverso.
Marianna Inserra