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Nessun tabù, nessun limite, tutto è racconto: la flash fiction di Diane Williams

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Insomma siete ricchi 
di Diane Williams
Black Coffee, maggio 2024

Traduzione di Chiara Barzini

pp. 136
€ 18 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)

Come lettrice e scrittrice ciò che più di ogni cosa interessava Virginia Woolf era la vita stessa: catturare la vita e rappresentarla nella «verità del suo momento di essere». Quell’attimo è, per dirla con Cortázar, assimilabile alla fotografia:

Ritaglia un frammento della realtà, fissandogli determinati limiti, ma in modo tale che quel ritaglio agisca come un’esplosione che apra su una realtà molto più ampia. Il fotografo e lo scrittore di racconti si vedono costretti a scegliere e a circoscrivere un’immagine o un avvenimento che siano significativi, che siano capaci di agire sullo spettatore o sul lettore come una specie di apertura, di fermento che proietti l’intelligenza e la sensibilità verso qualcosa che va molto oltre l’aneddoto contenuto nel racconto. (dalla postfazione a Bestiario)

Il racconto è un punto di domanda (Grace Paley): il romanzo ha l’ambizione di rispondere e contenere tutto un mondo, è una casa in cui abitare. Il racconto è invece «una finestra sulla casa di qualcun altro, qualcosa di illuminato solo per un istante» (Raymond Carver). La short story è fatta di tensione e intensità, di cesellatura di ogni singola parola e segno grafico ed è, per dirla ancora con le parole di Cortázar, una «frattura del quotidiano», un’esplosione della quotidianità, dove anche le cose più piccole e banali quindi possono diventare racconto.

Quelle stesse cose piccole e banali a cui Diane Williams, premiata scrittrice statunitense ed editor della rivista letteraria Noon, toglie tutto ciò che è superfluo per arrivare al nucleo, spogliato di ogni orpello e ridotto all’essenziale. Considerata da Paris Review la madrina della flash fiction – cui ha iniziato a dedicarsi più di trent’anni fa, ben prima che il termine fosse coniato – , allieva di Philip Roth e poi, soprattutto, di Gordon Lish (il famoso e famigerato editor di Carver), Williams è una fuoriclasse della scrittura breve, anzi brevissima, approdata per la prima volta nelle librerie italiane grazie a Black Coffee edizioni che pubblica la sua raccolta più recente, Insomma siete ricchi. La traduzione impeccabile è di Chiara Barzini che firma anche l’interessante prefazione e la raccolta si inserisce perfettamente nel catalogo di una casa editrice da sempre caratterizzata per l’offerta letteraria coraggiosa, originale, variegata, difficilmente mainstream. Williams è, appunto, tra le pioniere della flash fiction americana e spesso i suoi racconti sono stati accostati alle storie di Lydia Davis, non a caso pubblicata sulle pagine di Noon. L’affinità data dal scelta di forma e un certo interesse per il quotidiano sono gli elementi che maggiormente avvicinano le due scrittrici, ma ampliando lo sguardo sono molteplici i rimandi e gli echi letterari che ispirano Williams nella creazione della propria personalissima e particolare voce autoriale. Influenze diverse, da Angela Carter a Hilma Wolitzer passando per Amy Hempel, ma anche Flannery O’Connor per quell’ironia feroce che a tratti pare accomunarle o l’orecchio attento alla musicalità dalla lezione di Eudora Welty. Ho citato solo scrittrici, non so quanto involontariamente: so, per certo anche se in modo inspiegabile a parole, che la scrittura di Williams per me risuona di voci femminili, dentro e fuori dalle pagine. Accanto a loro metterei forse solo il Carver della produzione poetica, cui questi racconti si avvicinano per la capacità di condensare in pochissime righe un’intera narrazione, l’epifania del quotidiano e l’imprevedibilità della vita, di quei momenti tanto densi di significato.

Momenti che al lettore appaiono spesso indecifrabili, avvolti da un mistero che arrivati alla fine non è detto siamo davvero riusciti a svelare; carichi di allusioni, di lampi fugaci, oggetti, gesti, piccoli simboli e occorrenze. Si citavano, all’inizio, le parole di Grace Paley sul racconto come punto di domanda: ecco, di punti di domanda queste storie sono idealmente disseminati, fatti di quei «moment of truth» nella teoria del racconto di Mary Louise Pratt, la natura frammentaria come tratto peculiare della forma breve. Al pari della spinta alla sperimentazione, tanto tematica quanto formale, caratteristica del racconto fin dalle sue origini. Williams ignora tabù, limiti, rigide etichette e formalismi per liberare con forza scrittura e immaginario: sono pagine incendiarie queste che abbiamo tra le mani, di sesso, corpo, luce e ombra, racconti «violenti e primordiali come leggende antiche» sottolinea Barzini nella prefazione.

Non è una lettura facile quella delle storie di Diane Williams, come non lo è, lasciatemelo dire chiaramente, la lettura dei racconti in genere che invece qualcuno riterrebbe adatti alla frenesia del nostro tempo: no, tutt’altro. Leggere racconti – e leggere micro fiction – richiede al lettore uno sforzo, un’attenzione totale, non sono permesse divagazioni o distrazioni di sorta. Leggere racconti e leggere le storie di Williams è dedicare tutta la nostra attenzione alla parola, al segno grafico, allo spazio vuoto della narrazione, a quello che resta fuori e che molto spesso è ancora più importante di ciò che trova spazio effettivo sulla pagina. È un atto d’amore. Per la letteratura. Per il meraviglioso e terribile mestiere di scrivere.

Storie come queste ci insegnano la libertà: quella di «esplorare le zone d’ombra delle cucine disordinate e delle vasche da bagno piene di terra» (Barzini), quella di prendersi dei rischi, di osare. Leggere pericolosamente (Azar Nafisi), per citare un’altra voce femminile dalla forza incendiaria.

Debora Lambruschini