di Elisabetta Foresti
L'ho ucciso io. (p. 9)
La sola verità è che le cose sono per noi ciò che in fondo vogliamo che siano (p. 14)
Prima che scrittori si è figli e allora eccoci da capo davanti a un padre e al doverne fare i conti; di un padre ha scritto di recente e amabilmente Trevi (La casa del mago, Ponte alle grazie, 2023) e dolorosamente Voltolini (Invernale, La nave di Teseo, 2024); lo ha fatto con rabbia Insolia (Cieli in fiamme, Mondadori, 2023) e adesso l'urgenza di scontrarsi con questa figura, che i figli li fa e spesso determina, e con certe sue colpe, brucia dentro Elisabetta Foresti, all'esordio per Alter Ego con La colpa è nei dettagli.
Il protagonista del romanzo ha ucciso suo padre erotomane, prevaricatore, manesco e bisogna capirne il perché, quale colpa ha punito: indagandone la vicenda intima ne comprenderemo quella criminale. Il romanzo è da subito una caccia al movente che è una caccia ai fantasmi. L'oggetto della ricerca è la verità, fragile, mutevole, frutto del racconto inaffidabile di un ventisettenne nel caos. Tra una cella e una stanza dell'interrogatorio si annidano dinamiche famigliari torbide, non detti e soprusi, vendette e violenze. La sfida tra chi altera i fatti e chi ha il compito e dovere di raccoglierli facendone racconto attendibile si esaspera pagina dopo pagina.
Ce l'avevo sì un movente, una decina d'anni di maltrattamenti, e scusi se è poco. (p. 75)
La vita ci confonde in mille pensieri, prima di mostrarci la verità. Proprio come farebbe un fiume che tra impervi ostacoli si guadagna la strada per giungere a valle e, quando sembra averla trovata, cambia direzione, lasciandoci improvvisamente soli sul letto infangato. (p. 112)
L'ipotesi del raptus, caldeggiata dalla difesa per ottenere una pena minore, non tiene. Così come quelle proposte da Marco stesso, che fa e disfa, aggiunge e sottrae, manipola e depista. Perché conosce la verità e sa quanto sia spaventosa, quanto convenga starne alla larga: d'altronde, la verità è una ferita profonda che non si rimargina mai scriveva Simone Salomoni (Operaprima, Alter Ego, 2023) e questa è una storia nera sul tentativo di nasconderla come un segreto buio in un carcere soffocante, decostruendola.
Mi stava ronzando da prima, Piero Sabatelli, lui e quella vetusta macchia di pomodoro rappreso che si ostina a non togliere dalla divisa. Mi ronzava intorno per controllarmi e per farsi i dettagli infinitesimali dei fatti miei. Tutti si fanno i fatti miei, qui dentro, mangiano e si fanno i fatti miei, parlano tra loro ma hanno l'orecchio teso a farsi i fatti miei, vanno al gabinetto e, tra una deiezione e l'altra, non smettono di pensare ai fatti miei; è chiarissimo che fanno finta di occuparsi d'altro, ma in realtà vogliono solo farsi i fatti miei. E le studiano tutte per riuscirci: aghi di pino con le cimici applicate all'estremità e che puntano nella mia direzione, cumuli di foglie che, guarda caso, si sollevano proprio quando passo io - sono sicuro che sono telecomandate e registrano i miei movimenti per farsi i fatti miei in lungo e in largo. (p. 80)
La paranoia e i sospetti accrescono il fascino della storia e la precarietà delle testimonianze, determinando gli interrogatori e le insonnie, guastando i ricordi e le deposizioni. Diventa comprensibile come un romanzo del genere, assecondando lo stato emotivo di un protagonista, convinto di essere manipolato a sua volta, esiga molta attenzione dal lettore perché ogni dettaglio, come suggerito dal titolo, può essere decisivo alla sua risoluzione.
Daniele Scalese
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