di Francesco Buscemi
Capponi Editore, 2024
pp. 265
€ 16,15 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)
Fino a poco più di trent’anni fa, il castello angioino-aragonese di Gaeta, un gioiello di valore storico e architettonico affacciato sul Tirreno, era sede di un carcere militare; ancora prima, ossia fino all'inizio del 1973, in questa fortezza venivano rinchiusi anche gli obiettori di coscienza, perché considerati renitenti alla leva, non essendoci una legge che riconoscesse il diritto al rifiuto dell’uso delle armi e dell’inquadramento militare.
Nella prigione militare di Gaeta, inoltre, erano rinchiusi Herbert Kappler e Walter Reder, due alti ufficiali nazisti condannati all’ergastolo per i crimini ordinati e compiuti negli anni dal 1943 al 1945; in particolare Kappler era responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, in cui 335 civili vennero uccisi a sangue freddo per rappresaglia in seguito a un’azione partigiana contro le SS.
Gli obiettori di coscienza e Kappler (anche Reder, ma in misura minore) sono quindi i protagonisti di questa storia, fittizia solo in parte e frutto di una ricerca storica e testimoniale precisa e approfondita.
La vicenda inizia nel 1969, quando Sergio Semprini, dichiaratosi obiettore di coscienza in quanto Testimone di Geova, viene inviato al carcere militare di Gaeta per scontare una condanna a quasi un anno di reclusione. Già dai primi istanti dopo il suo arrivo viene a sapere della presenza dei criminali nazisti, che a differenza degli altri reclusi godono di appartamenti privati, maggiori contatti con l’esterno e possibilità di passeggiare lungo le mura della fortezza. A Kappler vengono addirittura concessi la possibilità di tenere un acquario di pesci tropicali e una serie di comodità negate agli altri ospiti del carcere. In più, Sergio si rende conto che Kappler e Reder, forse in quanto ufficiali superiori, godono di una certa considerazione da parte del personale, militare anch’esso, deputato alla custodia dei detenuti, tanto da poter usufruire degli obiettori come attendenti (camerieri, in altri termini). Per questo motivo Sergio entra in contatto con Kappler e con lui instaura un rapporto certamente non confidenziale ma più stretto rispetto a quanto la norma consentirebbe: a Sergio, Kappler esprime il suo punto di vista sui fatti per cui è stato condannato, auto-assolvendosi e sostenendo che il governo italiano sta sostanzialmente perseguendo la vendetta anziché la giustizia.
Nessun rapporto di amicizia si sviluppa, sia ben chiaro: Sergio sa perfettamente chi ha di fronte, eppure è confuso e incuriosito dalle capacità dialettiche e dalla sensibilità artistica dimostrate da un individuo che ha potuto assistere a torture da lui stesso ordinate o uccidere civili alle Fosse con un colpo alla nuca e sentirsi in pace con la coscienza, usando la via di fuga retorica della catena di comando e dell’obbligo di ubbidienza come scudo, e che proprio su questi presupposti assurdi e capziosi basa le continue richieste di grazia come se questa fosse un atto dovuto. Ma la vera ragione della presenza di Sergio nel carcere di Gaeta e il suo rapporto con Kappler saranno oggetto di una svolta narrativa verso la fine del libro che ci permetterà di capirne il senso.
Non solo un romanzo, scrivevo in apertura, ma anche un importante lavoro di ricerca: Buscemi ha ripercorso la storia recente dell’obiezione di coscienza, considerata reato fino alla legge del 1973, e in questo libro delinea in modo preciso le diverse declinazioni del rifiuto al servizio militare; in special modo l’autore pone l’attenzione sull’obiezione di coscienza esercitata dai Testimoni di Geova, che si opponevano tout court all’assoggettamento alle leggi dello Stato per motivi legati alla loro religione. Per poterne narrare, Buscemi ha intervistato diversi Testimoni, obiettori al tempo della storia narrata, venendo a conoscenza di un mondo a lui sconosciuto:
So che è un rischio. Molti odiano i Testimoni di Geova; altri, nella migliore delle ipotesi, li prendono in giro perché in passato suonavano al citofono nelle ore più assurde per vendere le loro riviste. È successo anche a me, durante un riposo pomeridiano. Adesso sarai tu, mi dico, a citofonare ai portoni delle loro case per intervistarli. (p. 45)
In realtà, la relazione instaurata con queste persone si rivela umanamente significativa e proficua per la ricerca in atto: entrambe le “parti in gioco” procedono dalla loro prospettiva esistenziale (laica quella dello scrittore, fideistica quella degli altri), mettendo a fattor comune un preziosissimo bagaglio di storie, di esperienze e di informazioni che permetterà uno scambio onesto e aperto senza la necessità, per nessuna delle due, di scostarsi dai propri valori e dalle proprie convinzioni. E proprio da questa relazione “funzionale” nasce un’immagine dei Testimoni di Geova non più stereotipata (i “citofonatori della domenica mattina”) ma che restituisce l’immagine di persone coerenti con la loro visione della vita, compresi gli aspetti più controversi: uno per tutti, forse il più inconcepibile, il rifiuto delle trasfusioni ematiche per motivi religiosi. Quello che emerge dalle pagine dedicate alla ricerca (che si alternano a quelle narrative, fondendosi molto bene) è l’assoluta onestà intellettuale di Buscemi, che non nasconde le proprie riserve – cosa ben diversa dal pregiudizio – e tuttavia fa tesoro del rapporto umano e testimoniale creatosi.
Un altro aspetto della ricerca è quello storico-documentale: Buscemi segue il processo di genesi della legge Marcora, che dal gennaio 1973 riconosceva il diritto alla scelta del servizio civile non armato, e della diversa accoglienza della legge da parte delle varie “anime” degli obiettori di coscienza, effettivamente divisi al loro interno da ragioni politiche o da visioni religiose incompatibili fra loro.
E ancora, questo lavoro segue la vicenda dei due criminali nazisti – di Kappler in particolare – e delle continue pretese di rilascio da una prigionia che i due ergastolani considerano ingiusta e addirittura irrispettosa; vengono anche riportati stralci degli interventi in Parlamento di Arrigo Boldrini e di un reportage di Enzo Biagi, in entrambi i quali si chiede conto della imbarazzante disparità di trattamento tra i detenuti “normali” e i due nazisti, cui sono concesse agevolazioni e comodità ingiustificabili.
In definitiva, L’attendente del diavolo è un testo ben scritto, puntualmente documentato e ricco di temi importanti quali la memoria, il perdono, la giustizia, il rispetto dell’altro, la coerenza con i valori, l’onestà verso se stessi; il lavoro fatto da Buscemi nel mettere in relazione tutti questi aspetti produce un romanzo eccellente e di grande leggibilità, e soprattutto riprende e riconduce alla memoria avvenimenti che nel bene e nel male hanno segnato il processo evolutivo del nostro Paese.
Stefano Crivelli
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