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Il carteggio tra Franz Kafka e il suo migliore amico Max Brod: la rivelazione dell'uomo dietro l'aura del santo

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Un altro scrivere - Lettere 1904-1924
di Franz Kafka e Max Brod
Neri Pozza, maggio 2024

Traduzione di Marco Rispoli e Luca Zenobi

pp. 448
€ 30 (cartaceo)
€ 7,99 (e-book)


Di Franz Kafka ormai conosciamo vita, morte e miracoli. Miracoli. Uso questa parola di proposito, per introdurre il secondo autore di questo testo Un altro scrivere - Lettere 1904-1924, un vastissimo carteggio lungo due decenni tra il genio praghese e Max Brod. Chi è Max Brod?
Scrittore boemo di lingua tedesca, nasce a Praga nel 1884. All'età di diciotto anni fa l'incontro che gli cambierà la vita: Kafka. Entrambi, nemmeno ventenni, diventeranno amici per la pelle. Brod sopravvivrà a Kafka, ne diventerà il maggiore divulgatore, biografo, curatore, e morirà nel 1968 a Tel Aviv.
Quando si pensa a un carteggio tra grandi autori, chissà perché l'immaginario si sposta su un range di età alto. Voglio sottolineare, e forse è la cosa più straordinaria di questo scambio di lettere, che Brod e Kafka, quando iniziano a scriversi, hanno rispettivamente venti e diciannove anni. La seconda nota interessante è la natura del loro rapporto:
Si tratta in effetti di un rapporto cresciuto più sulle divergenze che sulle affinità, sia in ambito caratteriale, sia in fatto di questioni letterarie. Kafka e Brod concepiscono, come si vedrà più avanti, la vita, la scrittura e il legame fra esse in maniera radicalmente contrapposta. D'altronde Max Brod era cresciuto in una famiglia alto-borghese nella quale l'offerta culturale era ricca e variegata: la musica - Max studia pianoforte e prende anche lezioni di composizione - e successivamente la poesia, costituiscono il fondamento di una formazione culturale che gli permetterà fra l'altro di esordire in pubblico sin dai tempi della scuola con le proprie composizioni poetiche. Socievole, spigliato, estroverso e con i tratti peculiari e stereotipi del letterato decadente, Max Brod suscita nel ritroso Kafka un sentimento misto di sincero apprezzamento e di avversione, che resterà una costante nel loro ventennale rapporto d'amicizia. Così anche la contrapposizione in fatto di gusti letterari - che vedeva Kafka maggiormente legato alla tradizione dei grandi romanzieri dell'Ottocento e in particolare a Flaubert, mentre Brod, almeno in questo periodo, è particolarmente affascinato dallo stile ampolloso, tronfio e falsamente ricco della scuola praghese - può facilmente riassumersi in una breve citazione. All'entusiasmo dell'amico per il racconto di Gustav Meyrink, Der violette Tod (1903) (La morte violetta), Kafka risponde con una bella formula di Hugo von Hofmannsthal, nella quale è racchiusa la confutazione dello stile manieristico dell'espressionista Meyrink: «l'odore di pietre umide in un vestibolo» [...] A rendere ancor più evidente questa distanza, non solo in fatto di gusto, ma di concezione della letteratura e quindi della scrittura in genere, contribuirà in modo decisivo il successo che la copiosa produzione letteraria di Max Brod consegue sulla scena letteraria dell'epoca. [...] Kafka, lettore attento e scrupoloso degli scritti dell'amico, seguirà, spesso da lontano a causa della malattia, lo sviluppo e le vicissitudini della sua carriera. (pp. 7-9)
Due pesi due misure: da una parte un coetaneo che ha successo, dall'altra un ragazzo malaticcio, all'ombra. A un certo punto della loro amicizia, Kafka pregherà Brod di bruciare tutti i suoi scritti: la sua volontà di scomparire era palese. Per nostra fortuna, l'amico farà l'esatto contrario, portando ai giorni nostri i suoi capolavori.

Sarà proprio premura di Brod dipingere Kafka quasi come un santo, un eletto della letteratura, nota che il carteggio contraddice un po', perché di quest'ultimo viene fuori l'immagine di un uomo eccezionale, ma pur sempre un uomo. Lo stile delle lettere di Brod è colloquiale, veloce, lo scrittore non stava tanto a badare alla forma o all'eccezionalità della scrittura. Lo stesso non si può dire per Kafka: anche nelle sue lettere - lettere che erano materiale privato dunque non soggetto a critica letteraria, fino a oggi - trionfa il genio, trionfa la letteratura.

Le lettere di Kafka testimoniano invece di continuo il trionfo della letteratura sulla vita, il trionfo dello scrittore sull'uomo. Per questo, come è stato osservato da più parti, esse sono a tutti gli effetti parte dell'opera ''. Ovviamente non si tratta di un trionfo nel senso dell'estetismo di fine secolo, o magari anche sì, ma in modo ormai irriconoscibile, benché entrambi gli amici abbiano frequentato con assiduità, in anni giovanili, quella cultura. In Kafka questo trionfo si traduce infatti nella tendenza a fare di ogni lettera l'occasione per creare un brano letterario, attraverso un processo in cui ogni cosa, ogni esperienza - e da questo non sono esclusi il proprio corpo e la propria persona - diventa segno e metafora. (p. 18)

Particolarmente degne di nota le lettere del 1922, dove (seppur in minima parte) Max Brod parla del romanzo di Kafka, Il Castello, iniziato a scrivere proprio nel 1922, poi pubblicato quattro anni dopo:

Carissimo Franz,

ho letto il tuo romanzo ogni sera con grande trasporto, ho finito di leggerlo. Da tempo credo di aver desiderato una lettura di questo tipo, una vera narrazione che ti sollevi dalle tue preoccupazioni. Altrimenti è tutto così noioso (anche Balzac, che ho cominciato). Poi è arrivato il tuo libro. E senza voler andare in profondità (poiché tu non saresti contento se io lo lodassi nelle sue profondità) posso solo dire che è un libro che ti intrattiene in modo grandioso e variopinto; la scena sulla slitta incredibilmente bella, la scena del protocollo, in cui a uno viene mostrata d'improvviso la colpa dell'«Io», che fino a quel momento sembrava innocente (la sua colpa contro Frieda), è particolarmente buona, e stranamente tu hai cancellato proprio queste pagine... ma suppongo che nel prossimo quaderno (come posso procurarmelo? Passare a prenderlo a casa tua? Ardo dal desiderio di leggerlo) questa stessa cosa troverà espressione, magari in modo diverso quanto alla forma, ma uguale nel suo senso. Sono in trepidante attesa e per nulla al mondo mi farò trattenere dal pretendere da te l'intera opera. (p. 385)

E la risposta di Kafka:

Le tue osservazioni sul romanzo mi fanno vergognare e gioire, così come ad esempio faccio gioire e vergognare Vera quando, cosa che succede abbastanza spesso, col suo passo barcollante si butta improvvisamente a sedere sul suo culetto e io dico: Je ta Vera ale sikovná. Ora, lei lo sa inconfutabilmente, perché lo sente dietro, che si è seduta in maniera infelice, ma il mio grido ha un tale potere su di lei che inizia a ridere felice ed è convinta di aver appena realizzato il capolavoro del vero mettersi a sedere.

La comunicazione del sig. Weltsch invece è poco plausibile, egli è proprio convinto a priori che non si possa far altro che lodare e amare il proprio figlio. In questo caso però: quali sarebbero qui le motivazioni del luccichio dell'occhio? Un figlio incapace di contrarre matrimonio, che non produce continuatori del nome; pensionato a 39 anni; impegnato solo con lo scrivere eccentrico teso a nient'altro che alla salvezza della propria anima o alla sventura; senza amore; estraneo alla fede, da lui nemmeno la preghiera per la salvezza dell'anima non c'è da aspettarsi; malato di polmoni per di più; secondo la visione del padre, apparentemente del tutto corretta, si è buscato la malattia quando, dimesso per la prima volta dalla camera dei bambini, incapace di qualsiasi autonomia, si è scelto la stanza malsana di palazzo Schönborn 43. Questo sì, è un figlio di cui essere entusiasti! (p. 390)

In questo carteggio c'è tutto: il genio, l'uomo, il santo, il peccatore, la malattia, la letteratura. Per chi è appassionato di Kafka è un testo imperdibile, che rivela quanto l'aura quasi biblica intorno a lui sia in realtà un costruzione. Queste lettere lasciano spazio anche a un lato del suo carattere più giocoso, umano.
Deborah D'Addetta