«Come avrebbe fatto a rimettere insieme i pezzi della sua vita se continuava a perderne?» (p. 400)
«Già venticinque anni fa mi venne l'idea di occuparmi del conflitto in Vietnam. Il mio editor dell'epoca mi convinse a non farlo, perché secondo lei il paese non era ancora pronto». Lo dichiara Kristin Hannah nell'intervista curata da Marco Bruno sulla «Lettura» del 7 luglio 2024. È anche alla luce delle risposte dell'autrice, molto famosa in America, meno in Italia, che mi è venuta la tentazione di passare oltre un titolo e una copertina lontanissime dai miei gusti. Ho immaginato un romanzo di denuncia, in grado di mettere scomodi puntini sulle i di una guerra che ha visto morire inutilmente moltissime persone. Ho trovato tutto questo? Sì, ma solo in parte.
La vicenda si concentra su una giovanissima protagonista, Frances (detta Frankie) McGrath, nata in una famiglia borghese a Coronado: se la madre si è sempre data da fare a portare alto il buon nome della famiglia, frequentando i circoli giusti e non dando mai scandalo, il padre, rigido e autoritario, ha passato molto tempo a guardare il cosiddetto "muro degli eroi", ovvero una parete piena di foto e riconoscimenti degli antenati che si sono spesi in battaglia per il loro Paese. Nessun McGrath ha mai avuto il coraggio di sottrarsi al compito di difendere la patria, e così anche Finley, il fratello di Frankie, si arruola per la guerra in Vietnam nel 1966. Alla festa in suo onore prima della partenza, un suo amico, l'affascinante Rye, sussurra a Frankie una frase che risulterà fatale: «Anche le donne sanno essere eroiche».
È proprio col desiderio di riscattarsi agli occhi del padre e con la speranza di rivedere Finley che Frankie si arruola nell'esercito, l'unico corpo che accetta di mandare in Vietnam una giovane infermiera come lei, che ha studiato sui libri ma che è ancora priva di esperienza. E Frankie non può più tornare sui suoi passi, anche se poco tempo dopo giunge la notizia che il corpo di Finley è disperso in battaglia.
Frankie è una ventunenne disperata, spaesata, terrorizzata quando mette piede sul suolo vietnamita; ed è così che inizia l'azione, nonché il periodo più forte della sua vita (e queste sono pagine intense, ben rese, dove sentiamo appieno il coraggio che una giovanissima infermiera impara a mettere in gioco, giorno dopo giorno). Operazioni in condizioni estreme, terribili mutilazioni, effetti devastanti del Napalm, blackout e generatori che offrono un po' di luce sul tavolo operatorio mentre fuori imperversa l'inferno di granate e colpi di mortaio: questo è l'apprendistato di Frankie. E accanto a lei ci sono personaggi che impariamo a conoscere: tra gli altri, vale la pena di ricordare Barb ed Ethel, le infermiere che stringono un legame sempre più forte con Frankie, diventando presto inseparabili; Jamie, chirurgo malinconico e votato al lavoro, vero e proprio mentore per la protagonista.
E poi c'è l'amore. A mio parere, sono proprio queste pagine ad annegare la forza delle esperienze in Vietnam: Kristin Hannah ha pensato a varie traversie e disavventure amorose per Frankie, che non si può certo dire fortunata. La sua ingenuità e una buona dose di educazione cattolica non la aiutano. Così come le frasi a effetto, le dichiarazioni un po' stereotipate non aiutano l'autrice a dare letterarietà al suo romanzo. Romanzo che letterario non è.
Lo si può però leggere ugualmente con interesse focalizzandosi su un altro tema forte e ben trattato dall'autrice nella seconda metà del libro: il ritorno a casa dei reduci. Anzi, preciso ulteriormente: il ritorno a casa di un'infermiera, reduce. Sì, perché c'è una bella differenza: in patria, al netto di tanti dissensi e di proteste animate contro la guerra, i soldati reduci del Vietnam sono stati comunque considerati degli eroi; Frankie invece ha ricevuto ingiurie, sputi e accuse, quando è sbarcata con la sua divisa da infermiera. Reintegrarsi è impossibile, perché quegli uomini e quelle donne sono drammaticamente cambiati in Vietnam, e Kristin Hannah dedica moltissimo spazio ai sintomi dello stress post-traumatico (allora non ancora pienamente riconosciuto) di Frankie e degli altri. La società americana e, in particolare, la famiglia McGrath vorrebbero fingere che niente sia cambiato, ma non sembra esserci spazio per chi ha dedicato tanto alla patria.
Le donne, in particolare, non hanno modo di farsi ascoltare, ed è anche questo un bel tema che serpeggia nel romanzo, denunciando le tante assenze dello Stato: benché Frankie si sentisse impazzire, nessuno le ha teso una mano per anni. E la protagonista ha rischiato più volte, come si vedrà nel libro, di toccare il fondo.
Dunque, che dire? Se state cercando un romanzo di qualche profondità da portare con voi in vacanza, La stagione del coraggio può rappresentare un bestseller con più di uno spunto di riflessione. Certo, il tutto è però stato bene avvolto da una narrazione un po' melodrammatica e qualche frivolezza tutt'altro che memorabile, che può rendere più accettabile la crudezza dell'esperienza bellica e delle sue drammatiche conseguenze.
GMGhioni
Social Network