Eravamo giusto due scombinati chiusi dentro una casa nel nulla di una campagna. (p. 140)
Dove sono finiti Ninnì Bisaccia e Lallo Cutrò? Se lo chiede sempre più spesso Carmine Stanga, boss mafioso che da parecchi anni vive nascosto nel casolare di campagna di Lallo Cutrò, ricevendo messaggi dall'esterno, provviste e soprattutto le sue fondamentali pillole per la prostata da Ninnì Bisaccia, compagno di tante esperienze (leggasi come rapimenti, rapine, uccisioni, estorsioni,...). E così, inaspettatamente, quel protagonista di Roberto Mandracchia che dovrebbe rappresentare un villain da disprezzare dalla prima all'ultima pagina appare agli occhi dei lettori di L'implosivo soprattutto un uomo solo.
E la sua quotidianità è ripetitiva, annoiata, basata sulla sopravvivenza più che su una vita attiva. La donna che ama, Egle, è lontana e non può raggiungerlo; di lei gli restano lettere che legge e rilegge, alla ricerca di uno sprone a resistere. Ma bisogna dire che Egle non è certo una scrittrice, e, al di là di qualche "vita mia" e frasi di circostanza, le sue lettere sono piuttosto ripetitive e scarne. La salute di Carmine è precaria, e sono tanti i riferimenti alle forze e alle energie che gli mancano dopo pochi sforzi, al bisogno di ore di sonno, ai problemi di prostata. E così l'uomo passa la maggior parte del tempo a leggere dei vecchi pizzini per fare il punto della sua "carriera" e a scriverne altri che un giorno Ninnì recapiterà ai destinatari. E poi c'è la Bibbia, con i suoi episodi che turbano spesso Carmine.
Lasciato solo, più solo del solito, dopo giorni a fare i conti con l'abbandono, Carmine si arrende a uscire dal covo e a provare a far tacere la mucca che muggisce disperatamente: non si rende conto che in realtà quel suo prendersi cura degli animali nella stalla o andare a procacciarsi acqua potabile sono piccole imprese che movimentano la sua giornata, altrimenti vuota di azioni e piena di pensieri.
La svolta narrativa è rappresentata da un incontro particolare, diciannove giorni dopo la scomparsa di Ninnì e Lallo, con un personaggio decisamente inaspettato: un ragazzino che non parla e sembra sapersi prendere appena cura di sé:
Si trattava di un ragazzo di una quindicina d'anni, né alto né basso, né robusto né magro, i capelli neri e ricci. Indossava una maglietta senza maniche e dei jeans, tutti sporchi e minimo di una taglia più piccola. Ai piedi, delle scarpe di tela, e una era slacciata. Teneva gli occhi chiusi e dormiva con le ginocchia piegate contro il petto, le braccia incrociate e le mani sulle spalle curve. Come se sentisse freddo. (p. 69)
E siccome è sporco e si gratta di continuo, Carmine lo ribattezza "Cagnolazzo". Perché quel ragazzino non se ne va e, anzi, si è preso cura di Carmine in una situazione potenzialmente fatale? Da dove viene? "A chi appartiene", come si chiede spesso il boss mafioso?
È in quella convivenza forzata e strampalata che Mandracchia lascia intravvedere un cambiamento - minimo, s'intende, o non sarebbe verosimile - nel suo protagonista. E intanto si aspetta, e il casolare diventa una sorta di fortezza Bastiani in cui ci si trincera contro nemici senza nome che potrebbero un giorno arrivare.
Colmo di umorismo sapido e sapiente, L'implosivo è un romanzo che colpisce per il suo ritmo da tragicommedia (e non a caso è diviso in "atti"): la teatralità di certe scene, in grado di farci visualizzare l'assurdità del comportamento di Carmine o di una situazione intera, è controbilanciata dalla drammaticità di alcuni flashback, in grado di ricordarci che il protagonista è un boss che si è fatto ben pochi scrupoli e che ha saputo bene come vendicarsi dei nemici. E allora perché, nonostante la spietatezza di certi provvedimenti, ora Carmine appare soprattutto come una figura tragica e nostalgica, quasi pirandelliana?
Sta tutta lì la grandezza della scrittura di Mandracchia: nella misura. Appare inequivocabilmente giusta e godibile la ricerca linguistica, con termini e battute in siciliano qui e là, mai a caso, così come l'umorismo già nominato, vera cifra stilistica del romanzo, ha in sé quel grottesco svelamento della follia del reale di memoria pirandelliana.
GMGhioni