Un romanzo per tutti i bambini e le bambine che attraverseranno la soglia: "L'impulso" di Lidia Yuknavitch

 

L'impulso
di Lidia Yuknavitch
nottetempo, maggio 2024

Traduzione di Alessandra Castellazzi

pp. 384
€ 19,00 (cartaceo)
€ 12,99 (ebook)

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Eravamo oceani di lavoratori. Parlavamo russo e francese e italiano e inglese e cinese e irlandese e yiddish, swahili e lakota e spagnolo e un turbinio di dialetti. Le nostre lingue una specie di inno. Capivamo che le fatiche attraversano gli oceani. Alcuni di noi scaricavano i pezzi della statua dopo il suo viaggio transatlantico e alcuni di noi li riassemblavano [...] Dalle storie che circolavano, la somma di ciascuno di noi - il noi che avremmo potuto essere - avrebbe potuto pensare che i nostri compagni francesi volessero commemorare l'abolizione della schiavitù.

Sulla copertina del nuovo romanzo di Lidia Yuknavitch troneggia la Statua della Libertà.
È con lei che comincia il libro, con i pezzi del suo grande corpo che prendono forma grazie alle mani e alla fatica di lavoratori arrivati da ogni parte del mondo per costruire una nuova storia, unendo le loro lingue come in un inno. Un'immagine che subito ci parla di mare, navigazione, spinte libertarie e coraggio.
Questo nuovo libro, L'impulso, arriva in Italia dopo gli apprezzati La cronologia dell'acqua e Lasciarsi cadere, due testi nei quali Yuknavitch ha dato prova di una maturità autoriale che si rivela al lettore in tanti aspetti: nella sua peculiare composizione dei testi come flussi di esperienze, nella scioltezza dello stile che quasi ricorda il moto delle onde, e soprattutto nella capacità di scrittura dell'io (a volte il suo, altre quello dei personaggi). Sono le doti di una scrittrice che attraversa lo spazio esistente tra la pagina e il lettore per riempirlo di quella che a me sembra un'intimità. 
Gli operai impiegati nella costruzione della Statua della Libertà non sono gli unici protagonisti del romanzo. Con loro ci sono Laisvé, una bambina "portatrice" che si muove attraverso le acque del tempo aggrappandosi a oggetti, storie, corpi conosciuti e sconosciuti per recare nuovi messaggi e significati; Frédéric-Auguste Bartholdi, lo scultore francese che realizzò la Statua; Aurora, una donna che aspira a ogni forma di liberazione fisica e interiore. E poi assassini e dittatori, figlie in cerca di pace e padri in cerca di equilibrio, giovani ribelli. 
Come già in Lasciarsi cadere, ma qui in modo molto più accentuato, il viaggio tra le storie e il tempo è il filo rosso di un libro che si regge su una trama fatta di echi. A fare da rimando è l'acqua - elemento dominante nella narrativa di Yuknavitch - e sono anche i corpi che risuonano gli uni contro gli altri, gli uni verso gli altri. 
Le figure di questo libro stanno tutte in qualche modo ai margini: perseguitati, fuggitivi, orfani, reietti, abbandonati. Hanno alle spalle storie che parlano di deserti e di raid, di perdite e nuovi inizi, conoscono la fatica e lo sforzo del viaggio e per questo sono vicendevolmente connessi. L'intersezione delle loro vite è ciò che genera l'impulso del titolo, la loro volontà di resistere a qualsiasi oppressione diventando un corpo solo. Yuknavitch, questa volta più che mai, ci consegna dei personaggi intimamente liberi, anche quando sono di fatto in catene o in gabbia. 

Nel dipingere questi uomini e donne di ogni età, la scrittrice traccia una sequela di tempi storici e tempi immaginati, dagli anni di costruzione della Statua alla fine del XXI secolo, verso un mondo in cui il livello delle acque si è innalzato inghiottendo coste, città, case e vite. È proprio da questo mondo semi sommerso che la "bambina dell'acqua" Laisvé parte per la sua navigazione. Una bimba caduta in mare come i tanti che ogni giorno affrontano la migrazione quale estrema forma di speranza. 
Il racconto dei bambini è cruciale nel romanzo: lo dichiara subito l'esergo in apertura e lo dicono tante altre pagine in cui sono loro quelli che attraversano la soglia.
Yuknavitch sovverte le regole dello spazio e del tempo immaginando dimensioni alternative che partono da vite che sanno di realtà, anche quando si incontrano tartarughe e balene parlanti, sirene e personaggi mitologici, e anche quando si lanciano le stelle nel cielo notturno. 
L'impulso è un inno all'immaginazione come capacità di creare mondi fantastici a partire da oggetti comuni: penny, piume, ossa, pietre, conchiglie, libri. 

Lidia Yuknavitch è la scrittrice degli spazi liminali: quelli tra la vita e la morte, tra un corpo e un altro, tra un Paese e un altro, tra gli adulti e i bambini, tra le parole e  il silenzio.
È dentro questi spazi strettissimi che ambienta storie ampie e piene di forme di amore. E si conferma la scrittrice dell'acqua che ci ricorda che l'esistenza non riguarda solo l'alto e il basso che gli uomini si ostinano a guardare, è un flusso connesso a onde, cicli e ricircoli. 
Il messaggio più potente del romanzo mi è sembrato arrivare sul finale:
Ma Mikael tende a pensare che ogni cosa accenda l'immaginazione: il sorriso sul volto di un operaio alla fine di una giornata di lavoro per costruire un futuro abitabile per tutti, o il volto di un bambino che crede in qualcosa di più grande di sé, la bellezza contenuta nella mano come un mondo, una biglia. E la libertà. 

La libertà in questo libro è prendersi cura dell'altro. Esiste messaggio più bello? 

Claudia Consoli