in

«Perché dovreste credermi, se nemmeno io credo a me stesso?»: l'estraneità e l'identità infranta nel romanzo breve del 1926 di Peter Flamm, "Io?"

- -


Io?
di Peter Flamm
Adelphi, giugno 2024

Traduzione di Margherita Belardetti
Con una Nota di Manfred Posani Löwenstein

Titolo originale: Ich? (1^ edizione: 1926)

pp. 143
€ 18 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)

Vedi il libro su Amazon

«Non io, signori giudici, un morto parla per bocca mia» (p. 11): si apre nel segno dell'estraneità Io, un romanzo breve che ha ricevuto una buona accoglienza nel 1926, benché la maggior parte dei recensori di allora non avesse colto la grandissima modernità di quest'opera, bollata un po' troppo rapidamente con l'etichetta di "espressionista". 

Peter Flamm, pseudonimo dietro cui si nasconde lo psichiatra Erich Mosse (Berlino, 1891- New York, 1963), mette invece in scena un cortocircuito che è al tempo stesso logico-razionale e letterario. Infatti, nelle primissime pagine incontriamo questo io narrante inaffidabile che è in tribunale in qualità di Hans Stern, uno stimato chirurgo di Berlino, ma sostiene di essere in realtà il fornaio Wilhelm Bettuch. Secondo il suo racconto iniziale, a Verdun, il giorno prima della fine della guerra, il medico Hans Stern sarebbe morto sotto le granate e lui avrebbe deciso di sottrargli il passaporto e assumere, dunque, la sua identità: 

[...] io sono l'altro e devo vivere fino in fondo la sua morte, la sua vita, mentre lui giace laggiù sotto terra nel fango, e io mi infilo nella sua vita come in una cornice, ma so tutto, sto lì dietro come uno spettatore, eppure sono me stesso e mi guardo, io che sono l'altro eppure sempre io, un uomo dietro la sua immagine. (p. 24)

Ma è davvero così? Come spiegare, allora, il fatto che, di ritorno a Berlino, il protagonista sapesse come muoversi, proprio come Hans Stern, quando invece il fornaio Wilhelm Bettuch non ci aveva mai messo piede? Eppure il senso di inappartenenza che il protagonista prova è costante: persino la sua immagine riflessa gli suscita sgomento, mentre gli altri suoi famigliari, a cominciare dalla moglie Grete fino all'amante Bussy, sembrano riconoscerlo senza tentennamenti. Solo il cane, Nerone, ringhia e arriva addirittura a morderlo al suo ritorno a casa, unica creatura in grado di cogliere l'identità vacillante di Hans (o Wilhelm). 

Sospeso in un limbo tra il desiderio di adattarsi alla vita borghese del medico, sollevandosi così dalla professione umile che conduceva prima della guerra, e al tempo stesso conscio di sentirsi come un ingannatore, il protagonista si definisce «cenere nel vento» e «fuggiasco da stesso» (p. 87) e più di una volta fa riferimento al suo essere al tempo stesso morto e vivo. 

Insomma, anche noi lettori dobbiamo tenere aperte entrambe le possibilità, logicamente opposte, eppure coesistenti nel romanzo, come sottolinea Manfred Posani Löwenstein nell'utile Nota al termine del romanzo. L'enigma non si risolve, neanche quando al termine della narrazione il protagonista tornerà a Verdun, e dunque sembrerebbe cercare di chiarire ciò che era accaduto l'ultimo giorno di guerra; resta invece costante e chiarissima l'angoscia, sentimento pervasivo del romanzo. Già a partire dalle reticenze, numerosissime nei discorsi dell'io narrante (simboleggiate da un trattino), capiamo che neanche le parole riescono a colmare ciò che non si può effettivamente spiegare (e che il protagonista non sa spiegare neanche a sé stesso). 

Gli altri personaggi, invece, sembrano molto più risolti di Hans-Wilhelm: Grete è una moglie devota, passionale e accogliente, anche quando il marito si comporta in modo strano, respingendola; l'amico di famiglia Sven Borges, corteggiatore non corrisposto di Grete, è un magistrato sempre alla ricerca della verità; persino l'amante Bussy ha le idee molto chiare su cosa vuole da Hans. Il protagonista, invece, si trova in un'aula di tribunale accusato d'omicidio (di chi? e con quale movente?), ma non è questo l'importante. Più rilevante è invece seguire il suo racconto contraddittorio, sospeso e intermittente, ansioso e ansiogeno nell'intervallare episodi di vita di Hans ad altri che riportano Wilhelm alle sue origini. E nella confusione di un io narrante che pare incerto di tutto, soprattutto della sua identità, percorriamo una storia misteriosa e piena di affondi negli anfratti nella psiche umana. 

Destinato a restare unica opera di successo vero e proprio di Peter Flamm, Io? si inserisce in quella letteratura primonovecentesca che, sulla scorta degli studi psicoanalitici, esplora i retroscena dell'io, mette in dubbio l'identità del soggetto e in crisi il concetto di verità, intaccando persino l'identità personale. 

GMGhioni