Io sono l'uomo con due facce. Storia, memoria, ricordo.
di Viet Thanh Nguyen
Neri Pozza, agosto 2024
Traduzione di Massimo Bocchiola
pp. 384
€ 20,00 (cartaceo)
€ 10,00 (ebook)
Viet Thanh Nguyen ha quattro anni quando deve separarsi dalla sua famiglia. L'esercito degli Stati Uniti d'America deve lasciare il Vietnam, ormai nelle mani dei vietcong, i quali stanno liberando o conquistando, dipende dai punti di vista, come osserva l'autore, le città del Vietnam del sud. Già con questo primo ricordo si incrina nella sua mente il rapporto con l'America, nazione libera, dove verrà accolto, dopo un lungo viaggio che lo ha portato dalla sua città natale ad una base militare in Texas. Gli Americani, però, hanno invaso il Vietnam, hanno portato la guerra, hanno ucciso milioni di vietnamiti e ora lo hanno accolto nella loro madre patria. È bello vivere in America, ma chi sono loro, se non dei colonizzatori?
Viet non vedrà la sua famiglia per un po' di tempo, perché, mentre fuggivano, il padre è salito su una barca e sua madre su un'altra, mentre lui e suo fratello vengono spinti su una terza, senza sapere dove andrà. Si ritroveranno dopo poco tempo, per poi separarsi ancora, perché così hanno deciso le autorità americane. E quando si rivedranno tutto viene cancellato, perché bisogna ricominciare a vivere e alla svelta. Ma Viet ricorda quei giorni di terrore, non li ha dimenticati, sono sopiti nella sua memoria. Pezzi di immagini, fotogrammi dei suoi genitori che, seguendo la folla di altri cittadini spaventati dall'arrivo dei comunisti, sono corsi in strada per poi dirigersi verso il porto e gettarsi su una barca qualsiasi che sta partendo non si sa per dove. E parlando a se stesso Viet racconta:
Non ricordi il clima, ma nei mesi di marzo e aprile deve essere stato bello, non troppo caldo, non troppo umido. Non ricordi di aver trovato tuo padre a Sài Gòn, e nemmeno che avete aspettato un mese prima che l'esercito comunista attaccasse la città, né quanto i tuoi genitori dovessero essere terrorizzati, né come abbiano passato i giorni cercando di lasciare la città; [...] e poi chissà in che modo vi siete fatti strada sui moli per arrivare a una barca, e tuo padre sia rimasto diviso da voi altri, ma abbia deciso comunque di saltare su una barca da solo, e tua madre abbia fatto lo stesso, affidandosi entrambi a Dio, ma anche, come sempre prendendo in mano le proprie vite. (p. 37)
Una volta ricongiunti si trasferiranno a San Josè, dove l'intraprendenza dei genitori gli permetterà di avere una certa stabilità economica. Tutto sembra sopito sotto una cenere di normalità. Ma un giorno, Viet scopre la violenza dietro a quella facciata di libertà e pace che rappresenta l'AMERICA, come la chiama lui. I suoi genitori vengono, infatti, feriti da un'arma da fuoco durante una rapina ai danni del loro negozio di alimentari; un luogo in cui Viet è andato, alcune volte, per aiutare i suoi nei lavori di riordino. Un'altra crepa nella sua memoria è nella consapevolezza che gli Stati Uniti saranno per lui un luogo ambiguo, dove le sue radici si scontrano con il desiderio di vivere serenamente in un paese senza pericoli. Anni dopo vede Apocalypse Now, un film che cambia ancora di più la sua prospettiva, che apre una crepa profonda nella sua esistenza.
Poi...guardi Apocalypse Now. Adori i film di guerra. Hai visto John Wyne combattere i giapponesi in Iwo Jima, deserto di fuoco e Audie Murphy, il soldato più decorato della Seconda guerra mondiale, combattere i crucchi All'inferno e ritorno. Possiedi una competenza da cultore su battaglie, armi, divise, campagne e gerghi, ma tutto quello che sai di Apocalypse Now è che parla della guerra che ti ha fatto arrivare qui. (pp. 66-67)
Ed è attraverso un film, il quale parla della guerra ma non è un film di guerra, che Viet comincia a riflettere seriamente sulle sue radici. Non solo quelle famigliari ma anche quelle sociali, politiche, territoriali. Il Vietnam diventa un luogo concreto, dove chi lo ha invaso ha lasciato morti e disperazione. Ma proprio l'invasore è stato anche un veicolo di libertà e di una Terra promessa, dove i suoi genitori sono "risorti". Ma cosa hanno lasciato indietro? Viet scoprirà che sua sorella adottiva è rimasta in Vietnam, che i genitori non l'hanno portata con loro, che doveva proteggere la loro casa quando sono usciti per strada mentre la folla gridava che i comunisti erano alle porte e da quel momento lei non li ha più visti. Che fine ha fatto? Sua sorella, di cui non ricordava più nulla, è l'ultimo legame con le sue radici e l'ultima crepa che fa crollare un muro di certezze. Viet viaggerà nei suoi ricordi ma, soprattutto, ricostruirà la sua identità perduta.
Chi ha vissuto in un altro paese, chi è stato un migrante per forza o per scelta, può comprendere il viaggio profondo e straziante dell'autore. Ma anche chi non ha vissuto queste esperienze, può comprende il dolore di ritrovare le proprie radici perdute. Questi elementi già potrebbero rendere il memoir interessante ma ne sono solo la superficie. Perché Viet, con un linguaggio penetrante, martellante, insistente, assillante, incalzante, come un picchio che vuole perforare un albero spesso e costruire un nido solido, cerca per tutto il libro di definire la propria identità e di stabilire finalmente un concetto di patria che sia accettabile, oltre le contraddizioni e i deterioramenti della memoria, per lui e per coloro che lo leggono. E, secondo me, ci riesce con un certo sforzo, nel momento in cui mostra al lettore quale strada ha intrapreso, senza infingimenti, ma con una semplice affermazione:
Quando noi, gli sconfitti o i loro discendenti, torniamo in un ViệtNam ri-membrato, sappiamo che la nostra permanenza è condizionata. Dobbiamo astenerci dalla politica, accettare la legittimità del comunismo, non rivangare, non varcare le linee rosse. Ma parlare delle nostre vite di rifugiati è già varcare una linea rossa. (p. 290)
E nel rovescio della medaglia dei suoi ricordi, il suo racconto sull'America, che lo ha accolto e dove è cresciuto, ha studiato ed è diventato uno scrittore di successo, si riempie di contraddizioni, che però sono fondamentali per costruire anche la sua identità americana, soprattutto quando muore un pezzo della sua memoria, sua madre:
Ora Má è una di quei morti. Ha portato gran parte dei suoi segreti con sé e mi ha lasciato con alcuni. Il titolo della sua storia, Anni di guerra, confuta il modo in cui gli americani e forse la gente di tutto il mondo considerano le vite dei migranti e dei rifugiati, gravate dai segreti veri mentre inseguono il SOGNO AMERICANO. Comprendendo che il SOGNO AMERICANO è il marchio di fabbrica dorato del colonialismo americano, comprendono i segreti veri di Má in quanto foggiati dai segreti non segreti della guerra, che è un tempo in cui vivo io stesso. (p. 338)
Finisce il suo percorso nel tempo, quando queste due metà si incontrano: le radici vietnamite e la sua storia americana. E nelle loro contraddizioni, che solo la scrittura riesce a portare a galla, il suo sguardo cambia, è più libero e si rivolge ai suoi figli, alle loro scelte, al loro futuro, imprescindibile dallo studio, dalla lettura e dalla conoscenza della loro storia famigliare.
Fulvio Caporale