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Scarnificare memorie: l'intervista a Yara Nakahanda Monteiro

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«Pro-pronipote della schiavitù, pronipote delle relazioni interrazziali, nipote dell’indipendenza e figlia della diaspora». È attraverso l’incontro di piani temporali, genealogie di oppressione e memorie familiari che Yara Nakahanda Monteiro decide di autodefinirsi. 

Nata nel 1979 in Angola, nella provincia di Huambo, a due anni l’autrice si scontra col dolore dell’esilio forzato in Portogallo a causa della guerra civile che, per ventisette anni, dilanierà il paese. Monteiro cresce in una casa in cui i vecchi documenti dell’ufficio del nonno, gli album di famiglia ricolmi di fotografie e le cartine geografiche dell’Angola evocano costantemente tanto i fantasmi del colonialismo portoghese, conclusosi nel 1974 a seguito della Rivoluzione dei garofani, quanto il dolore dello sradicamento a causa del conflitto. In bilico tra le contraddittorie memorie di un’Angola mitizzata dai ricordi di famiglia e la vita in un Portogallo ostile ai figli degli immigrati dalle ex colonie, Monteiro fa della letteratura uno strumento di interpretazione del presente. 

Un viaggio in Angola, già in età adulta, segna il ritorno a un paese irriconoscibile e che non la riconosce a sua volta. Un senso di appartenenza che non si radica da nessuna parte ma pianta radici in tanti luoghi: nei transiti tra Portogallo, Angola e Brasile, nel vento caldo dell’emisfero, nelle sillabe che compongono “Nakahanda” (il nome angolano della sua trisnonna), nella sua ancestralità femminile. Il suo primo romanzo, Essa dama bate bué! (spoiler alert: presto in traduzione italiana) – tradotto in diverse lingue e incluso nella longlist del Dublin Literary Award 2023 – cerca di cucire le rotture dell’esilio e della ricerca identitaria dando visibilità alle donne angolane e al loro ruolo fondamentale nella guerra di Indipendenza, nel conflitto civile e negli accordi di pace. 

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Memorie Apparizioni Aritmie (Capovolte, 2024) segna invece il debutto di Monteiro nella poesia, definita dalla critica come decoloniale ed ecofemminista. Nella raccolta, Yara Nakahanda Monteiro trasforma i ricordi familiari – legati al colonialismo e alla decolonizzazione – e le attuali tensioni identitarie in un terreno fertile da occupare e abitare attraverso le memorie collettive. Memorie Apparizioni Aritmie intreccia queste storie di occupazione e abitazione attraverso i fili di voci di donne che, tessendo e ritessendo, scavano il tempo, lo spazio e la lingua tra patria e matria, tra Portogallo e Angola. Bambine, nonne, madri, lavoratrici dei campi, sorelle e sconosciute riesumano i resti, scavano generazioni e genealogie interconnesse da vene, fiumi e insenature della storia. Ricordano se stesse, rivisitano il passato, smontano il presente. Immaginano futuri. Passato, presente e futuro: un ritmo a tre tempi che trasforma le poesie in lettere a sante, SMS lapidari, graffi sul selciato, sillabe su corteccia di alberi, pezzi di ricordi stesi al sole, tracce di sé e di altre donne che solcano cammini incrociati. Ed essendo poetica, la memoria racchiusa tra questi versi diventa anche una memoria politica del ricordo: un grido di donna che denuncia le molteplici riconfigurazioni contemporanee della violenza, dei palmi che si stringono per fermare emorragie comuni.

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Lo scorso 10 maggio, al Salone Internazionale del Libro di Torino, Yara Nakahanda Monteiro ha presentato la sua raccolta di poesie in dialogo con la scrittrice Igiaba Scego e Nicola Biasio, che ha tradotto nella nostra lingua Memorie Apparizioni Aritmie
Abbiamo avuto l’onore di approfondire in un’intervista alla poetessa gli infiniti spunti di riflessione nati dalla presentazione torinese, dai riferimenti alla sua ancestralità alla risignificazione dei luoghi custodi di memorie violente, dalla relazione tra l’umanità e la natura all’esilio permanente di un’esistenza duale. Il cuore tematico è la tessitura della memoria.

Ci puoi raccontare la storia che c’è dietro alla tua raccolta di poesie e spiegarci il significato delle tre parole che compongono il titolo?

Questa raccolta poetica è nata durante la pandemia, in un periodo in cui mi stavo prendendo cura di mia nonna, che aveva avuto un crollo mentale e fisico, e durante questo tempo lei mi ha raccontato varie storie della nostra famiglia, storie della mia bisnonna e di sua madre, storie di vita di mia nonna. Così, restando in casa, è sorta l’opportunità di rimettere mano e rivedere vecchie poesie. Il titolo della raccolta, Memorie Apparizioni Aritmie, è la somma del contenuto del libro. “Memorie” fa riferimento alla mia ancestralità, alle memorie di famiglia, come ho già detto – le memorie di mia nonna; “Apparizioni” perché i fantasmi del passato vogliono sempre tornare affinché le loro storie vengano raccontate e ri-raccontate; e “Aritmie” perché tutto il processo di scrittura è stato una grande catarsi di profonda intensità.



In che modo, a partire dal tuo pen name “Nakahanda”, la tematica dell’ancestralità entra e viene sviluppata nei tuoi versi?

Si tratta quasi un promemoria autoimposto per onorare la mia ancestralità, perché le sue storie non vengano dimenticate, per ricordare sempre le mie radici. È un modo di garantire che le mie origini camminino sempre con me, che siano sempre presenti nel mio processo di scrittura.


Hai parlato molto della questione della non appartenenza, dell’essere costantemente in transito tra due mondi, tra due continenti. Come si costruisce una memoria se è così complicato collocarsi in un determinato spazio? Faccio questa domanda anche in relazione alla questione della memoria linguistica, dato che, come hai detto, la lingua incorpora tanto l’oppressore quanto l’oppresso.

Non esiste memoria senza oblio, e anche la memoria viene resa finzione, viene aggiustata, costruita, decostruita, cucita, no? La memoria, per me, funziona come un’ancora, dato che mi considero una straniera, un’errante, una persona senza un luogo fisso.


Durante l’incontro al Salone hai detto che l’umanità non si vede più come parte organica della natura. Da secoli scriviamo sulla relazione tra queste due dimensioni, ma visto che è evidente che oggi stiamo distruggendo la natura, il rischio è anche quello di distruggere la capacità/possibilità di scrivere di quel legame. Quindi la mia domanda è: pensi che sia ancora possibile scrivere poesia che parla della relazione tra umanità e natura mentre stiamo testimoniando la distruzione e precipitazione di questo legame? Distruggiamo, ma poi cerchiamo di scrivere a riguardo. Pensi che ci sia una qualche ipocrisia in relazione a questa contraddizione?

Penso che sia di un’innocenza infantile credere che l’essere umano non esista nella contraddizione. Di fatto, tutti noi siamo “cinici sensibili”, capaci di amare la natura e allo stesso tempo di distruggerla. Allo stesso modo credo che un o una poeta sia una “cinica sensibile”.


Hai parlato del ruolo della risignificazione per contrastare la logica di distruzione degli spazi di memorie violente come quelle del colonialismo, nel caso del Portogallo di oggi. Come può la scrittura contribuire per risignificare gli spazi urbani?

Attraverso lo scrivere letteratura è possibile andare contro e contraddire storie nazionali, è possibile dare voce a voci che sono state silenziate. La scrittura porta sempre, o può portare sempre, nuove prospettive, nuove interpretazioni, nuovi vissuti.


Qual è la differenza di recezione del pubblico in relazione alla tua raccolta di poesia rispetto al tuo romanzo?

Un libro di finzione o un romanzo è molto diverso da un libro di poesie. Quindi le reazioni sono diverse. Anche perché purtroppo c’è molta gente che legge fiction e non poesia, e c’è molta gente che non legge entrambi i generi perché semplicemente non legge. Sono narrazioni diverse, sono modalità di creazione diverse. A chi è piaciuto il mio romanzo e piaciuto poi anche il mio libro di poesie. Ci sono punti in comune, come la questione dell’identità, dell’ancestralità, della condizione delle donne. Sono tematiche presenti in entrambe le opere.


Vorrei concludere quest’intervista con una domanda in relazione al futuro: cosa stai scrivendo? C’è un genere letterario che preferisci o che senti più vicino alla tua sensibilità?

Non ho un genere letterario preferito. Sono stili diversi che portano diversi tipi di soddisfazione. Mi piace scrivere poesie così come fiction e saggistica. Infatti in questo momento sto scrivendo un saggio sull’afrodiscendenza.


Introduzione a cura di Nicola Biasio
Intervista esclusiva a cura di Lidia Tecchiati – ringraziamo l'autrice e la casa editrice per l'occasione
Foto scattate durante la presentazione e allo stand Capovolte al Salone del Libro