Un nuovo capitolo nella saga della Bull Mountain: "Nient'altro che ossa", di Brian Panowich


Nient'altro che ossa
(Nothing But the Bones, 2024)
di Brian Panowich
NN Editore, luglio 2024

Traduzione di Serena Daniele e Matteo Camporesi

pp. 384
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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Con Nient’altro che ossa Brian Panowich ci riporta alle pendici della montagna maledetta, quel luogo infernale sfondo dei precedenti noir, Bull Mountain, Come leoni e (in parte) Hard Cash Valley. Questo nuovo lavoro è un prequel, che presenta un Clayton Burroughs giovanissimo e non ancora sceriffo, che tuttavia rimarrà in secondo piano per gran parte della vicenda.

Il protagonista principale è invece Nelson McKenna, un ragazzo semplice, sensibile, imponente nel fisico ma affetto da un leggero ritardo cognitivo, vittima di un padre violento e bersaglio prediletto dei bulli della scuola; nel capitolo che presenta l’antefatto di tutta la storia, un episodio di scherno e bullismo degenera in una reazione violenta da parte di Nelson nel tentativo di proteggere una ragazza dall’aggressione di uno di questi. La reazione causa la morte di uno degli aggressori e manda nel panico Nelson e i tre amici presenti, tra cui la ragazza e il giovane Clayton Burroughs, che per evitare l’arresto di Nelson chiede aiuto al padre, segnando involontariamente ma in modo irreversibile il futuro del ragazzo.

Certo, l’intervento di Gareth Burroughs, il capoclan della variamente spregevole umanità che striscia nei boschi della Bull Mountain, salva Nelson dalla galera ma ne sancisce il passaggio al “lato oscuro” nel giro di poco tempo e la trasformazione in Nails, il picchiatore di fiducia del capo, incaricato della riscossione crediti che interviene ogni volta che si presenta un problema risolvibile preferibilmente con la frattura di qualche osso.

A distanza di una decina d’anni, Nails si ritrova nella medesima situazione di allora, e anche stavolta il suo intervento per difendere una donna va ben oltre le sue intenzioni; il problema, però, è che la scena avviene in un luogo pubblico, e insomma, anche se sei uno scagnozzo dei Burroughs non è che puoi ammazzare una persona proprio davanti a tutti. Niente paura però, il vecchio boss ha una procedura di emergenza pronta all’uso, e spedisce Nails in Florida verso un indirizzo sicuro, permettendogli di sparire nel nulla.

Ecco, da qui inizia la parte essenziale del romanzo, che si incardina sulla fuga di Nails verso la destinazione indicatagli: un viaggio rocambolesco e pieno di imprevisti che costringeranno l’uomo (e chi inaspettatamente lo accompagna) a cambiare di continuo il piano d’azione.

Ancora una volta, Brian Panowich riesce a sfornare un romanzo magnetico, adrenalinico e scorrevole, articolato su diverse stringhe narrative, che si lega perfettamente ai primi due descrivendo in modo tutt’altro che banale il processo di allontanamento di Clayton Burroughs da un ambiente familiare ripugnante, fino alla scelta di tagliarne definitivamente i legami schierandosi dalla parte della legge. L’aspetto più interessate è l’essere riuscito a stabilire queste premesse mantenendo il personaggio di Clayton in secondo piano per la quasi totalità della storia. Nonostante ciò, Clayton resta il fulcro di tutto, quello che più di chiunque altro verrà messo di fronte alle conseguenze delle scelte fatte contro il parere del capo indiscusso, come verrà rivelato verso la fine della vicenda, quando Clayton avrà il confronto definitivo con il padre.

Da tempo, grazie ai titoli precedenti conosciamo la montagna maledetta, rappresentazione del Male, quella creatura vivente che quando ha fame fagocita chiunque divorandone le carni e lasciando solo le ossa: questa la descrizione piuttosto efficace fatta dal vecchio Gareth, che con la montagna è praticamente in simbiosi. Ma la Bull Mountain, come non avrà ragione di Clayton, non riuscirà a divorare neanche Nails/Nelson, che saprà ritrovare se stesso, pagando quanto dovuto e ristabilendo una distanza di sicurezza da chi, offrendogli a suo tempo una facile via d’uscita, gli ha rubato l’innocenza manovrandolo come un burattino.

Uno degli aspetti che rendono questo titolo degno di attenzione sta nella bravura di Panowich nell'illuminare gli attori della vicenda lasciandoli in secondo piano: l'ho già accennato per Clayton Burroughs, ma chi in special modo lascia il segno in questa storia è il patriarca Gareth, la cui ombra incombeva nei titoli precedenti ma che in Nient'altro che ossa si presenta di persona con tutto il carico di malvagità, rubando la scena a chiunque altro perfino quando non è presente. Se la montagna è la rappresentazione del Male, Gareth Burroughs ne è l'incarnazione, quasi un testimone destinato a perpetuarne la presenza nonostante quel figlio non conforme con cui avrà un confronto finale proprio all'interno della casa che insieme stavano costruendo, particolare che segnerà Clayton, attraverso i sensi e la memoria, per il resto della vita.

La grande capacità narrativa di Brian Panowich si conferma anche in quest’occasione, dandoci la possibilità di aggiungere un’altra tessera al grande mosaico della saga della Bull Mountain. Aspettando le prossime.

Stefano Crivelli