Un'altra storia ambientata nella sua terra di adozione, quella che Francesca Maccani, trentina d'origine, ha scelto per viverci, la Sicilia. Dopo averci narrato le vicende delle sigaraie della Manifattura Tabacchi di Palermo nel suo libro Le donne dell'Acquasanta, l'autrice sceglie l'isola di Lipari per raccontarci un'altra storia volta al femminile, Agata del vento.
Il tutto inizia nel giugno del 1887 (giusto una decina d'anni prima dell'inizio del romanzo precedente), quando Cettina, di ritorno da un'uscita notturna di pesca, com'era uso per le donne dell'isola a quel tempo, sente i dolori del travaglio. Neanche il tempo di accucciarsi sul fondo della barca, mentre le compagne remano a tutto spiano perché partorire sul gozzo porta male, che, non appena arrivata sulla spiaggia, la donna dà alla luce una bella bambina a cui dà il nome di Agata. Tremante, la madre, ancora scossa dai dolori del parto, osserva di sottecchi una voglia, una piccola macchia sotto la clavicola che Cettina sa bene cos'è. E che la impaurisce non poco...
Protagonista di questo romanzo sarà proprio Agata che ben presto, ancora prima di diventare ragazza fatta, si renderà conto di essere stata «pigghiata da Eolo», rapita dal dio dei venti, e di avere «'u dono, 'u dono del vento» (p. 31). Agata cioè sentirà nelle sue mani la potenza della natura, il fuoco del vulcano, il fresco dell'acqua, la potenza del mare e metterà a disposizione di malati e moribondi questo suo dono da guaritrice ancor più che "majara", come si dice sull'isola. Quasi una maga che domina gli elementi e, grazie alle sue mani, guarisce malattie incurabili anche per la scienza e la medicina.
Agata vive con la madre, Cettina, e con i due fratelli, Salvatore e Rosario. Il padre non c'è, se n'è andato anni prima nel Nuovo Mondo, in Argentina, dove ha trovato un lavoro da fruttivendolo e, si mormora, una nuova famiglia. Cettina è una donna indurita dal lavoro, dalla povertà, dalla solitudine, dalla ruvidezza di una vita grama assai. Ed è particolarmente avara di affetto nei confronti di questa sua figlia, arrivata per ultima e così diversa dagli altri due. Agata è una sognatrice, ribelle ante litteram, ama la libertà, pur senza averla mai sperimentata, non si piega al "si fa così, perché si è sempre fatto così". I suoi sogni e le sue ambizioni si scontrano però con un mondo piccolo, una minuscola isola al largo di un'isola più grande, dove le donne devono imparare a stare al loro posto, dove le tradizioni arcane, i misteri, le suggestioni non si possono mettere in discussione.
Maccani ha scelto di scrivere questo suo romanzo in una lingua che prende dal siciliano ben più che qualche frase, gran parte dei dialoghi e degli scambi sono in dialetto. Una scelta che all'inizio rischia di spiazzare il lettore perché richiede una buona predisposizione all'adattamento, ma che, mano a mano che ci si addentra nella storia, si rivela appropriata. Anzi, l'unica possibile. Non sarebbe stata la stessa cosa se gli uomini e le donne dell'isola avessero parlato un italiano impeccabile. La scelta dell'autrice non fa altro che avvicinarci alla dimensione popolare e popolana della vicenda e diventa, pagina dopo pagina, una sorta di cantilena, di ritmo, di suono, di musica che prende il lettore e lo porta a pensare nel dialetto utilizzato dai personaggi.
Altro patto che il romanzo richiede è la voglia di lasciarsi trasportare in un mondo dove la magia, l'arcano, il primordiale la fanno da padrone. Dove l'irrazionale e l'inspiegabile entrano nella vita quotidiana e non spaventano perché gli uomini e le donne del tempo sanno perfettamente che queste forze sono presenti tra noi. Misteri che vengono trattati come verità perché in ogni comunità rurale, isolana, montana, tra fine Ottocento e inizio Novecento, la natura, con la sua dimensione più selvaggia e con i suoi elementi indomabili, era parte integrante della vita umana. Non come adesso dove siamo noi a voler domare e dominare la natura e siamo perduti di fronte al suo rivelarsi, che sia in forma di acqua, di vento o di fuoco. Nelle civiltà non così lontane da noi, all'epoca dei nostri nonni e bisnonni, era il divino stesso a manifestarsi attraverso gli elementi e c'erano persone più in grado di altre di fare da ponte tra i due mondi. Agata è una di queste.
Le girava la testa e sentiva un rumore sordo nelle orecchi, come un mugghio, profondo e vibrante. La voglia le bruciava, la testa le si rovesciò all'indietro, e si ritrovò di colpo con gli occhi puntati contro il cielo. Poi si sentì scagliare contro l'alto. Una luce accecante la investì e i pensieri si fecero veloci come fulmini scaricati dalle nuvole durante una tempesta in mezzo al mare. (p. 56)
È dopo essere stata presa da Eolo che Agata scopre, inconsapevolmente, di poter guarire. Un dono che spaventa la ragazza e che deriva da un segreto familiare di cui nessuno, men che meno lei, è a conoscenza.
Il romanzo vive di mare, di terra e di cielo, che sono i protagonisti non umani della vicenda. Maccani è abilissima a raccontarci delle isole Eolie attraverso i profumi della macchia mediterranea, gli odori del pesce appena pescato, la fragranza della salsedine, la potenza dei venti e delle onde. Il mare è protagonista indiscusso, non c'è pagina che non sappia di acqua salata. Le vere eroine quotidiane sono però le donne pescatrici, tradizione vera eoliana, di cui Maccani viene a conoscenza in un viaggio a Lipari. Queste donne conoscono ogni onda, ogni mutamento delle acque, ogni minima variazione di vento, ogni luccichio delle stelle. È un sapere innato il loro, che si tramandano generazione dopo generazione. E, sempre a Lipari, la scrittrice viene a conoscenza della storia vera, mai raccontata, di una guaritrice vissuta nel secolo scorso. A questo spunto si associa la lettura degli scritti dell'antropologa Macrina Marilena Maffei che raccontano delle tradizioni più antiche e ancestrali delle isole siciliane. Testi che hanno colpito molto Maccani e che l'hanno portata a esplorare le vite antiche delle donne isolane.
Uomini ci sono sì nel romanzo, ma non fanno una gran figura: c'è chi si lascia andare alla passione di una notte e dimentica, c'è chi tradisce e sceglie una nuova famiglia, c'è chi inganna, c'è chi uccide. Invece è proprio la storia di Agata, di Cettina, di Maruzza, di Giuseppina, di Za' Teresa, di Assunta, di Marisa che alla scrittrice interessa scrivere. Donne che di notte si alzano alle 2 o alle 3 per andare in mare a pescare, a calare e issare le pesantissime reti e che poi di giorno aiutano i mariti e i padri nei campi per cavare dalla terra qualche frutto da mettere in tavola. Donne che cercano di migliorarsi, che sognano una vita diversa e che l'imposizione maschile fa tacere per sempre. Donne che comunque rimangono la vera spina dorsale della famiglia o perché restano sole o perché lavorano per due. Donne che sono legate alla terra e al mare da fili ancestrali confinanti con la magia. Donne che, in ogni caso, hanno un loro ruolo sociale, un destino al quale non tutte sanno ribellarsi. Agata, fatta di mare, di terra, di vento, ce la farà.
Sabrina Miglio