Adelphi editore, giugno 2024
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Le montagne circondano il villaggio dove Orin è arrivata cinquant'anni fa. Adesso ha quasi settanta anni e per una legge atavica, crudele ai nostri occhi, ma accettata da tutti gli abitanti del villaggio e degli altri villaggi sparsi per le montagne, dovrà salire sul monte Narayama per incontrare il dio che lo abita e non tornare più. Il villaggio dove Orin vive si chiama "Il villaggio di fronte", così almeno lo chiamano coloro che vivono nel villaggio di fronte al suo e anche i compaesani di Orin chiamano l'altro villaggio "Il villaggio di fronte", così che ogni qual volta che qualcuno arriva da un altro villaggio lo chiamano lo straniero del villaggio di fronte. I villaggi sono fermi a un tempo primitivo, dove vigono leggi implacabili, che sembrano rinchiuderli in bozzoli in cui i miti, le leggende e le favole riecheggiano fra i muri delle loro case. Ventotto sono le case che costituiscono il villaggio di Orin e ognuna ha un nome particolare, la sua si chiama "il ceppo", perché di fronte alla porta di entrata si trova il ceppo di un albero, piatto come un tavolo e su cui sovente la gente si ferma a riprendere fiato durante una camminata.
Orin attende con ansia il momento in cui dovrà salire sul monte Narayama e ha preparato tutto affinché il viaggio sia affrontato secondo la tradizione. La sua speranza è di partire lasciando suo figlio e i suoi quattro nipoti nelle condizioni migliori per continuare a vivere. Tuttavia, il momento giusto per partire è la fine dell'anno, quando, se si ha fortuna, nevica.
Al villaggio, l'espressione "andare su in montagna" aveva due significati completamente diversi. Nonostante la si pronunciasse allo stesso modo, chiunque sapeva distinguere a colpo sicuro a quale dei due significati ci si riferisse. Uno indicava l'azione di andare in montagna per raccogliere la legna o fabbricare il carbone, mentre l'altro si riferiva all'andare al Narayama. La tradizione voleva che se il giorno del viaggio sul Narayama cadeva la neve, chi lo intraprendeva poteva dirsi fortunato. (p. 18)La preoccupazione più grande però è per suo figlio Tatsuhei, il quale da poco è rimasto vedovo con quattro figli da accudire e Orin, che ha sempre pensato prima agli altri e poi a se stessa, vuole trovare, prima della sua definitiva partenza, una moglie per il suo unico figlio. Inaspettatamente, spunterà una candidata proprio dal villaggio di fronte e questo renderà il pellegrinaggio di Orin più lieve e felice. Perché dovrà essere proprio Tatsuhei a portarla sulla schiena per tutto il tragitto, che contempla l'attraversamento di monti e valli fino al Narayama per poi abbandonarla al suo destino. La festa per il Narayama avviene una volta all'anno e dura solo un giorno; alla fine della festa coloro che hanno compiuto settant'anni vengono portati via, perché sono una bocca in più da sfamare. Si tratta di una norma antica e terribile, che alcuni dicono che non ci sia mai stata, mentre altri affermano che in tempi antichi, nel Giappone arcaico, si soleva rispettarla come un precetto accettato da tutti. Orin comunque è serena, accetta il suo destino ma tutto deve essere a posto. E quando finalmente le sembra di esserci riuscita è felice.
L'anno seguente, compiuti i settant'anni, Orin avrebbe dovuto intraprendere il pellegrinaggio al Narayama, quindi era in ansia. Come avrebbe fatto se per allora non si fosse trovata una moglie? E invece ecco, la si era trovata, e dell'età giusta. Sapere che presto dal villaggio di fronte sarebbe venuta la sposa, accompagnata dal padre o da altri, le diede un grande sollievo, come se si fosse tolta un pensiero dalle spalle. (p. 14)Anche uno dei suoi nipoti ha trovato una moglie e questo è un evento inaspettato, anche perché, in un villaggio povero come il suo, difficilmente ci si sposa presto per non mettere troppo velocemente al mondo dei figli che anche loro dovranno essere sfamati. Ma ormai le cose sono fatte e tutto sommato i suoi parenti se la possono cavare anche senza di lei. L'inverno è il problema più grande per via della mancanza di cibo, ma Orin negli ultimi anni è riuscita a riempire la dispensa e quindi con due donne in casa, la moglie del figlio e la moglie del nipote, ce la possono fare. Ora bisogna partire per il pellegrinaggio.
La notte dopo Orin, insistendo sino allo sfinimento con il recalcitrante Tatsuhei, riuscì infine ad intraprendere il suo pellegrinaggio al Narayama.[...] Aveva aspettato che tutti nella casa si addormentassero, e aveva aperto senza fare rumore un'anta della porta sul retro della veranda. Lì montò sulla tavola che Tatsuhei si era legato sulla schiena. Quella notte non c'era vento, ma il freddo era più pungente del solito, e a causa del cielo coperto di nuvole non vi era la luce della luna. (p. 67)
E mentre seguiamo Orin ascendere verso il monte, attraverso valli profonde, montagne impervie e stagni ancestrali, fino a raggiungere il luogo dove un dio l'aspetta, non possiamo non domandarci da dove proviene questo romanzo, che come una gemma preziosa ha illuminato la letteratura giapponese del secolo passato. Shichirō ha scritto un'opera che contiene una gamma variegata di sentimenti, ognuno dei quali appare come un gioco di luci, lasciandoci abbagliati per la loro ineluttabilità.
Le ballate di Narayama vennero pubblicate per la prima volta su una rivista e il loro autore era sconosciuto agli ambienti letterari giapponesi, così chiusi e gelosi della loro esclusività. Eppure il romanzo ebbe uno straordinario successo di pubblico e di critica. Due scrittori importanti quali Mishima Yukio e Masamune Hakucho lo lodarono pubblicamente. Mishima disse:
Non dimenticherò mai la notte in cui, stanco dopo aver letto alcune delle opere candidate al premio, con i piedi infilati sotto alla coperta al calore del braciere, cominciai a leggere quel manoscritto dall'aspetto poco attraente. All'inizio leggevo senza molto interesse, trovando la trama noiosa, ma dopo aver letto cinque pagine, poi dieci, iniziai ad avere uno strano presagio. Ho continuato a leggere trattenendo il respiro sino a quel climax tremendo, e quando ho finito sono stato colto da una profonda emozione: sentivo di avere scoperto un capolavoro assoluto. (p. 91)Tuttavia, l'impatto maggiore sul pubblico, in senso più ampio, lo hanno avuto i due adattamenti cinematografici. Il primo uscito nel 1958 e diretto da Kinoshita Keisuke e il secondo uscito nel 1983 e diretto da Imamura Shohei, il quale vinse la Palma d'oro a Cannes. Entrambi, benché diversi, raccontano la figura di Orin concentrandosi sul suo ruolo materno e protettivo. Il suo personaggio, che tanto ha entusiasmato i lettori giapponesi, deriva probabilmente dalla sua età e dalla serenità con la quale decide di porre fine alla sua esistenza. Forse, un tempo, in Giappone la vecchiaia era vista come un periodo di povertà e abbandono, soprattutto perché, in un contesto di miseria, chi non poteva lavorare era giudicato un peso; e questa angoscia collettiva potrebbe essere all'origine del successo del romanzo di Fukazawa. Al di là del successo del libro e del fatto che l'autore sia entrato a pieno titolo nella letteratura contemporanea giapponese, rimane il fatto che Le ballate di Narayama è un romanzo duro, lacerante, triste, coinvolgente al punto da suscitare un inconscio collettivo le cui conseguenze dimostrano ancora una volta il ruolo salvifico della letteratura.
Fulvio Caporale
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