La paura di vincere. Aggirare il più subdolo dei nostri limiti
Ponte alle Grazie, giugno 2024
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Secondo Oscar Wilde, «due sono le tragedie nella vita: la prima, non realizzare i propri desideri; la seconda, realizzarli». In questo brillante saggio, Giorgio Nardone analizza la paura di vincere. La vittoria è un obiettivo che tutti tentano di perseguire. Ottenere un risultato straordinario, primeggiare in un campo professionale: artistico, scolastico, giudiziario, elettorale, sportivo o finanziario, raggiungere un obiettivo eclatante o superare i nostri avversari, è una condizione mentale e fisica che ci sembra appagante e senza dubbio necessaria per migliorare la nostra vita.
Ma non è scontato che il nostro corpo e il nostro cervello ci seguano in questa battaglia. Nei meandri più nascosti della nostra mente si nascondono delle trappole, le quali, a volte, scattano quando siamo in procinto di vincere, quando siamo vicini al traguardo tanto anelato. Sono numerosi i casi di atleti, artisti, manager, politici, performer che non sono riusciti ad ottenere ciò che si erano prefissati a causa di un blocco, una situazione mentale che li ha rallentati o addirittura congelati in un'azione specifica, prima di raggiungere il traguardo o completare il loro progetto.
Questo blocco si manifesta attraverso la paura per l'ignoto, per un cambiamento conseguente alla vittoria o al successo che potrebbe cambiare per sempre la loro vita. La nostra mente, ci spiega Nardone, tende a cercare la stabilità, a trovare nella sicurezza di ciò che conosce la propria salvezza, ma al contempo e, per una sorta di paradosso, vuole anche cambiare, migliorarsi, evolvere, raggiungere un traguardo. Quando una persona, famosa o comune, è in procinto di riuscirci, la paura dell'impatto di un cambiamento radicale la blocca e tutto viene vanificato.
Ma accade anche un altro fenomeno, secondo l'autore, il quale sostiene le sue teorie con casi studiati sul campo. Spesso svalutiamo la vittoria; quando siamo in procinto di ottenerla pensiamo che sia superflua, la vediamo come qualcosa di diverso, meno importante di quando l'avevamo desiderata. Questo comporta che la nostra energia diminuisca, che il nostro agire sia confuso e che naturalmente il nostro risultato non sia all'altezza delle aspettative:
Gli studiosi di psicologia cognitiva definiscono questo processo "bias cognitivo", anche se personalmente trovo più appropriato il termine "autoinganno". Questo si manifesta nell'atto mentale di considerare il traguardo anelato, come qualcosa per cui la realizzazione non vale più la pena di faticare o soffrire ulteriormente. (p. 19)
Si rende quindi necessario utilizzare degli stratagemmi che inducano il soggetto a guardare le cose da un altro punto di vista. In questo senso, Nardone ci offre degli esempi interessanti. Durante le sue visite terapeutiche gli sono capitati casi che rappresentano in modo palese i due fenomeni appena descritti. In uno, una manager di alto profilo conduceva un'esistenza totalmente dedicata al lavoro ma non vedeva alcun riconoscimento significativo da parte della sua azienda e in particolare dal capo del personale. Analizzando la situazione, sia la paziente che Nardone, si sono resi conto che ogni volta che la donna veniva in contatto con un ruolo più importante, qualcosa in lei scattava e la induceva a decelerare, a rendere il suo lavoro meno efficiente. Di fatto era la propria mente che alzava una barriera contro lo stress ulteriore, a questo punto eccessivo, che un avanzamento di ruolo avrebbe comportato. E d'altra parte la stessa manager, dopo le sedute, si era resa conto che la leadership non rientrava fra le sue capacità, mentre il coordinamento, funzione che ricopriva, sì. La mente, insomma, si preoccupa per noi e cerca di mandarci dei segnali chiari. La nostra paura difronte alla vittoria o all'ottenimento di un risultato importante è una spia per capire quanto stress possiamo ancora accumulare:
Per esempio, il timore di non essere in grado di gestire gli effetti del successo, o di continuare a mantenerlo o a replicarlo, può innescare un allarme psicologico. A sua volta, l'allarme attiva un meccanismo di difesa emotiva che provoca l'inibizione dell'attivazione delle risorse personali coinvolte nel raggiungimento dell'obiettivo. (p. 17)
Ogni terapia deve essere flessibile e adattarsi alle necessità del paziente, le cui paure utilizzano percorsi diversi, anche se lo scopo è sempre lo stesso: bloccare la persona e impedirle di raggiungere un risultato. Se nell'esempio precedente il problema era affrontare un eccesso di stress, nel caso che riporterò adesso, invece, il problema era una paura che porta ad autodistruggersi. Un noto tenore viveva con timore ogni vigilia di una prima apparizione sul palcoscenico. Per contenere la paura aveva iniziato a bere un bicchiere di vino prima di salire sul palcoscenico, al fine di calmarsi; questa tendenza lo stava però portando verso l'alcolismo, perché la quantità di alcool aumentava ad ogni opera. Nardone gli fece provare un atteggiamento mentale diverso. La proposta era immaginare le proprie paure per un'ora al giorno. Visualizzare il fallimento in tutte le sue forme, osservandolo in dettaglio, comprese le conseguenze. Inoltre, ogni volta che doveva salire sul palco avrebbe dovuto sorseggiare un bicchiere di vino e poi sputarlo, fino all'ultimo sorso che in quel caso invece poteva berlo. Lo scopo della terapia era assuefarsi alla paura visualizzandola e assuefarsi anche al sapore del vino che a questo punto aveva solo lo scopo di essere un puro esercizio prima dello spettacolo. La terapia funzionò e il tenore potè proseguire nella sua carriera. Altri esempi simili, che il lettore troverà nel libro, dimostrano come il problema di fondo sia trovare una soluzione ai trucchi della mente, i quali apparentemente ci preservano da uno stress maggiore ma che in sostanza ci impediscono di raggiungere il traguardo che ci siamo prefissati e che vogliamo raggiungere, se realmente ci sta a cuore.
L'audacia, conclude Nardone, è un atteggiamento mentale che dovrebbe essere insegnato e coltivato per tutta la vita. In una società opulenta l'audacia è passata in secondo piano. Le scienze, il lavoro, lo sport, le tecnologie, sono esempi, secondo l'autore, in cui l'audacia si è assopita lasciando il passo ad una resistenza passiva. La nostra mente individuale può essere uno specchio di una mente sociale e collettiva che viene intrappolata da paure irrazionali ma difficili da superare. Questo saggio ci aiuta a comprendere come individuarle, benché poi il percorso richieda un approfondimento successivo.
Fulvio Caporale