«A una matita tutto è possibile»: se la matita – o il pennino o le penne d’oca o qualsiasi altro strumento lo ispiri in quel momento – è nelle mani di Quentin Blake si compie una magia e niente è impossibile. Blake è forse l’illustratore più celebre, anche tra i non addetti ai lavori, e dal tratto immediatamente riconoscibile. Nato nei sobborghi di Londra nel 1932, quella matita la tiene in mano praticamente da tutta la vita e non smette mai di dare forma al mondo delle storie, con la stessa curiosità e l’entusiasmo di quando entrò alla rivista Punch, a sedici anni, il più giovane collaboratore di sempre. L’ippocampo ne celebra la carriera e il genio con il volume Il libro di Quentin Blake curato da Jenny Unglow, contenente più di 300 illustrazioni, interventi dell'autore e un'accurata narrazione del suo percorso artistico: un testo davvero molto interessante, sicuramente apprezzato dagli estimatori del lavoro di Blake ma che è anche una riflessione sull’arte, l’impegno, la lettura, la passione per il disegno mai venuta meno.
Fino appunto dall’esordio su Punch, dove Blake disegnerà per quarant’anni, le altre riviste come lo Spectator, le copertine dei romanzi Penguin, i libri illustrati dei più importanti scrittori inglesi per l’infanzia, le opere a sua unica firma; i disegni di Blake negli anni sono spesso anche usciti dalle pagine dei libri per arrivare sui muri, tra scuole, ospedali, musei e progetti grandiosi ai quali l’artista ha sempre partecipato con entusiasmo. Quello che caratterizza fin da principio le sue illustrazioni e le ha rese tanto celebri è a mio avviso la capacità visionaria dell’artista nell’interpretare le storie, che nelle sue mani prendono vita in un connubio ideale tra parole e immagini. Un approccio “teatrale” all’illustrazione:
Mi resi conto che stavo usando la pagina come un teatro in cui i personaggi, variamente agghindati, mettevano in scena la storia. Penso che questo approccio – considerare la pagina come il palcoscenico su cui si svolge la storia – mi sia rimasto impresso da allora. (p. 31)
È grazie a questo approccio e all’attenzione per i dettagli delle storie da illustrare che riesce a «infondere vita a un personaggio», forte anche di quella predisposizione all’empatia attraverso la quale raccontare tanto la leggerezza quanto il dramma. Le illustrazioni di Blake animano storie e contenuti molto diversi tra loro, ma è sicuramente il sodalizio con l’amato scrittore britannico Roald Dahl a significare moltissimo per così tanti lettori, di ieri e di oggi.
Io e Roald eravamo molto diversi, nel senso migliore del termine. In una coppia di artisti è molto meglio che non ci siano due versioni della stessa persona: meglio che ci sia un contrasto, quasi una sottile tensione. (p. 100)
In quella diversità hanno trovato la chiave per una collaborazione durata una vita, fino alla scomparsa dello scrittore ma in realtà mai davvero interrotta perché i disegni di Blake hanno continuato a dare forma alle sue storie. A partire da L’enorme coccodrillo, primo titolo di Dahl che Blake viene chiamato a illustrare, l’alchimia tra illustratore e scrittore è evidente ed è impossibile oggi immaginare l’uno senza l’altro. Nel nostro immaginario le storie di Dahl sono le illustrazioni di Blake e viceversa, in una perfetta comunione. Un’alchimia che si è creata mediante il lavoro affinato nel tempo tra i due artisti e il dialogo aperto:
Con gli anni, Blake e Dahl trovano il modo giusto per lavorare su ogni nuovo libro. All’inizio Quentin abbozza schizzi molto rapidi delle possibili scene da illustrare, e altri più dettagliati su come devono apparire i personaggi, sulla base delle descrizioni nel testo. Poi le porta a casa di Dahl a Great Missenden. Quentin ha raccontato l’emozione del suo primo incontro con Dahl, “un uomo molto alto, che riempiva di sogni le teste dei bambini” […]. (p. 91)
Quell’uomo alto era capace di «guardare il mondo con gli occhi accesi e di trovare la magia dove non te l’aspetti», qualcosa di cui tutti, bambini e adulti, abbiamo un gran bisogno e una delle ragioni per cui siamo ancora tanto affezionati a distanza di anni alle sue, alle loro, storie che sembrano non risentire affatto del tempo che passa. L’empatia è una caratteristica comune a Blake e Dahl ed è fondamentale all’illustratore di fronte a narrazioni dolorose. È il ruolo stesso dell’arte su cui Blake si sofferma, attraverso cui spiegare il suo approccio a tematiche, vicende, storie anche molto diverse tra loro, laddove la leggerezza e l’ironia, il mondo fantastico della letteratura e dell’infanzia – pure anche questi non privi di ombre con cui confrontarsi – si muovono negli spazi del reale, del dramma, del dolore:
L’arte ci serve perché è piena di vita. Anche se disegni qualcosa di molto doloroso… la speranza è che non ci sia soltanto dolore ma che, nel modo in cui raffiguri e disegni, ci sia un elemento che aiuti a crescere. Non importa quanto terribile sia il soggetto: il solo fatto che venga disegnato significa che lo stai affrontando, che stai facendo un passo avanti, ed è un processo molto affascinante. A me succede con il disegno, ma vale per tutte le arti, ed è per questo che ne abbiamo tanto bisogno. (p. 202)
Abbiamo bisogno dell’arte anche per accendere un faro sulle cose importanti che Blake sceglie di interpretare nel suo stile, seguendo il fil rouge dell’impegno che da sempre, in modo esplicito o meno, ne caratterizza l’opera. La realtà, il contemporaneo e le sue urgenze, non possono quindi certo restare fuori.
Nel 2020 e 2021 migliaia di migranti hanno attraversato la Manica su gommoni malmessi approdando sulla costa inglese. I disegni di Quentin non citano direttamente il loro dramma, ma pensarci è inevitabile. Chiunque potrebbe riconoscersi in uno di quei viandanti, alle prese con un viaggio infinito e spesso difficile. (p. 197)
È evidente in quelle opere il dialogo profondo che sempre è intercorso tra Blake e il suo pubblico, la capacità di raccontare e dare forma alle storie entrando in contatto con chi le osserva. I disegni sono tutt’altro che sterili illustrazioni a margine del testo o decori su una parete: le opere di Blake parlano con noi, ci raccontano una storia alla quale siamo soprattutto chiamati a partecipare. Tolto il connubio perfetto con quelle di Dahl, forse il mio Blake preferito è l’illustratore di Don Chisciotte – parte di un’importante collaborazione con la Folio Society che produsse delle meravigliose edizioni di classici della letteratura – , che nell’eroe di Cervantes ha trovato la sua dimensione ideale riuscendo a «mostrarcela [quella storia] in modo nuovo». Lì dentro c’è infatti tutta la forza della fantasia, di Blake, di Cervantes, del lettore, nell’evocare alcune tra le scene più importanti del romanzo e, in una tavola per la copertina della Royal Society of Literature Review del 2015, lo stesso processo creativo dell’illustratore alle prese con il lavoro su Don Chisciotte, in un gioco metaletterario.
«Da un certo punto di vista, non amo parlare delle mie illustrazioni… le considero riuscite o meno in base all’effetto che hanno sullo spettatore»: i mondi che ci ha spalancato, l’impegno, l’empatia, l’attenzione che ha contribuito a sviluppare in noi, sono sicuramente la conferma dello straordinario effetto che quei disegni hanno avuto e continuano ad avere su di noi.
Debora Lambruschini
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