Sensuale e disturbante, il Mas Clavell e le sue donne maledette vi conquisteranno: il nuovo romanzo di Irene Solà


Ti ho dato gli occhi e hai guardato le tenebre
di Irene Solà
Mondadori, agosto 2024

Traduzione di Amaranta Sbardella

pp. 156
€ 18,50 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)

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Irene Solà, scrittrice spagnola classe '90, con questo romanzo si inserisce in quel filone che ultimamente molto mi sta piacendo, ovvero quello del gotico/weird contemporaneo, ben rappresentato dall'ecuadoriana Monica Ojeda, dall'argentina Mariana Enriquez e molte altre. In Spagna, seguendo questo percorso, posso menzionare senz'altro Julias Rios con il suo Corteo di ombre - Il romanzo di Tamoga. Ho letto vari titoli di questo genere negli ultimi mesi: Resta solo il fuoco di Micheliny Verunschk e Hai portato con te il vento di Natalia Garcia Freire, ma il testo che più mi ha ricordato questo romanzo di Solà è Albina di Jodorowsky
Ma andiamo con ordine.

Ci troviamo nel cuore dei Pirenei in un tempo non definito, in un luogo chiamato Mas Clavell, una sorta di casolare o fattoria che ha dell'inquietante (l'autrice, in un passaggio bellissimo, lo paragona a una bocca irta di denti, si veda la copertina). L'ambientazione riprende i testi che ho citato poc'anzi, un luogo arido, misterioso, triste, dimenticato da Dio. Ma non dalla sua controparte: qui, il Demonio, è ben presente, anche troppo, tanto che le donne che abitano Mas Clavell sono accusate di andarci a letto. Per una volta però, le dicerie non si sbagliano.

Ho detto "sono", ma forse dovrei dire "erano": già, perché tutta la discendenza femminile che abita il casolare è deceduta. Sono fantasmi, spoglie di vite passate, vissute chissà quando, e sono tutte lì per celebrare una festa. Il commiato dell'ultima di loro in vita, Bernadeta, una vecchia in punto di morte.

Marta era viva. Non aveva ancora percorso lo sgradevole sentiero. Ancora no. Era nata, come tutte le cose che nascono. Eppure Marta non era morta. Ancora no. Come tutte le cose che muoiono. (p. 27)

Chi sono queste donne? Joana, la radice di tutti i mali, che ha stretto un patto con Satana in cambio di un uomo da sposare; e poi tutta la sua discendenza marcia, a cui manca sempre un pezzo: Bernadeta senza ciglia, la veggente, che vede cose che non dovrebbe; Blanca senza lingua; Margarida, con un cuore a tre quarti; Marta, che possiede invece qualcosa in più, uno specchietto magico in cui vivono folletti; Angela con la gobba; Elisabet, l'amante; e poi tutti gli uomini di Mas Clavell, perché di uomini ce ne sono, eccome, e hanno un solo ruolo bifronte: quello di amanti e poi di fuggiaschi. Infine lui, il Demonio, che si presenta a Joana ora in forma di toro, ora di gatto o di capra.
La capra: filo conduttore di tutto il romanzo, onnipresente nella sua simbologia satiresca chiaramente agganciata alla figura di Satana. Anche la festa che stanno preparando le donne sarà a base di capretto.
Dio, insomma, ha abbandonato queste terre.

"Lungi da me, maledetta." Il terribile grido usciva dai fianchi della cavalcatura, "Entra nel fuoco dell'inferno, che l'hanno preparato il diavolo e i suoi ministri. Vattene nelle tenebre con il serpente che mai riposa." E mentre salivano per montagne di feci e di fuoco, e scendevano per valli di braci dove il vento mugghiava e gli alberi strepitavano coperti di gazze e di corvi, la voce la scudisciava senza darle tregua, "Io ti ho cesellato e tu ti sei inchinata al servizio di un altro", talmente assordante che la donna quasi non ne discerneva le parole, "Allontanati da me, indemoniata, che io ti ho dato orecchie e tu hai prestato ascolto a un altro." Margarida fissava il culo del cavallo sgomenta e faceva di no con la testa, "Ti ho dato la bocca e hai confabulato con un altro", e lei incespicava ma il frastuono rimbombante proseguiva, "Ti ho dato gli occhi e hai guardato le tenebre." (p. 58)

Si tratta di un romanzo breve ma densissimo, pregno di una sensualità e di un erotismo disturbanti, sporchi quasi. Solà riprende benissimo tutta la tradizione del perturbante e la sposta in un luogo che non ha scopo, se non quello di - appunto - disturbare chi ha la sfortuna di visitarlo, e anche noi lettori. E però non è un weird che respinge, ma che ammalia. Vi è anche molto realismo magico, declinato nella sua sfumatura "oscura", demoniaca, come nella migliore Mariana Enriquez ne La nostra parte di notte. 
Ho nominato Jodorowsky: il luogo polveroso, la solitudine dei personaggi, la strana ossessione per la zoofilia, la trasformazione delle persone in animali e il loro conseguente accoppiamento, il degrado, le risate fuori luogo, la bruttezza dei personaggi, soprattutto fisica, ecco, tutto questo richiama il romanzo Albina. Dunque se vi è piaciuto quello, amerete anche Solà.
La scrittura è molto bella: piena di aggettivazioni, di riferimenti alla natura, al cielo, al corpo. Incipit notevole. Mi ha fatto venire voglia di leggere anche i romanzi precedenti dell'autrice.
Lo consiglio senz'altro a chi ama il gotico andino e i testi che non hanno paura di sviscerare (nel vero senso della parola) i lati oscuri dell'animo umano.

Deborah D'Addetta