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"Intrappolato in una selva oscura": il viaggio onirico dell'io narrante di Jon Fosse in "Un bagliore"

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Un bagliore
di Jon Fosse
La nave di Teseo, 2024

Traduzione di Margherita Podestà Heir

pp. 74
€ 13,00 (Cartaceo)
€ 9,99 (eBook)

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Intrappolato come sono in questa selva oscura perché non trovo una via d’uscita. (p. 35)

In questo racconto breve del premio Nobel per la letteratura Jon Fosse, un uomo si trova a vagare senza meta in una foresta, solo il caso guida le sue svolte; non ha in mente alcuna direzione, il suo perenne inquieto movimento è un modo per sfuggire al malessere che lo attanaglia. Le parole che riferisce al suo sentire appartengono tutte al campo semantico del negativo, in una climax crescente (noia, vuoto, angoscia, nulla). Ad un tratto la macchina affonda nel fango e lui si trova bloccato. Nonostante cerchi di convincersi del contrario («Davanti a me c’è il bosco, è solo un bosco», p. 8), la valenza allegorica della situazione appare fin da subito chiara.

Nell’arco di poche righe, il lettore si trova già avviluppato dal suo pensiero contorto, involuto, ricorsivo. Le domande si affastellano e solo poche trovano risposte, perché le risposte devono emergere dallo stesso turbinio che ha generato le domande. Correlativo oggettivo di questo vorticare è la neve che inizia a fioccare copiosamente. E se l’automobile è una tana calda, il narratore si sente in qualche modo costretto a mettersi in movimento (tre volte viene ribadito tale obbligo: «Devo scendere. Devo entrare nel bosco. Devo trovare qualcuno», p. 19). Il fatto che il luogo venga definito a più riprese una «selva oscura» e il riferimento a una «vita da peccatore», permettono al lettore di contestualizzare la narrazione in relazione a un preciso ipotesto, che offre una delle possibili chiavi di decifrazione per quanto sta avvenendo.

Come se non bastasse, nel buio profondo, che genera paura e disorientamento, appare improvvisamente una figura luminescente:

La sagoma è completamente bianca. […] Nel buio nero diventa così palese. Così luminosamente bianca. Un bagliore. (p. 27)

C’è qualcosa di sacro e intangibile in questa entità, che si fa sempre più prossima all’io narrante e per un attimo pare cingerlo con le sue braccia incorporee, prima di scomparire. Il soggetto brancola tra i suoi interrogativi, tanto più fitti quanto più indecifrabile risulta la situazione. Lo scenario si fa sempre più onirico nel breve volgere delle pagine, grazie alla comparsa della luna piena e di una distesa di stelle, e di una voce «esile e fragile», che «sembrava possedere una sorta di calore e di pienezza profonda, […] come se in essa ci fosse qualcosa che si potrebbe chiamare amore» (p. 37). Il personaggio ribadisce a più riprese di essere una persona solitamente razionale, dalla mente «lucida e chiara» (p. 45), ma la dissolvenza di spazio e tempo, l’apparizione di creature evanescenti e misteriche, creano l’impressione di un viaggio prima di tutto interiore, di uno sprofondamento dentro il proprio stesso inconscio.

Altre figure fanno la loro apparizione nelle tenebre, ma sono sempre comparse fugaci, all’insegna della lontananza e dell’incomunicabilità. Il protagonista pare condannato alla solitudine. Il silenzio diventa qualcosa da ascoltare, in cerca di soluzioni, o forse di una qualche trascendenza:

Rimango immobile, in silenzio. Voglio che il silenzio sia totale, voglio ascoltare il silenzio. Perché è nel silenzio che si può sentire Dio. O almeno lo ha detto qualcuno, eppure non riesco a sentire nessuna voce di Dio, l’unica cosa che riesco a sentire, sì, è il nulla. (p. 55)

La differenza, in un racconto simile, che tiene il lettore in sospeso in un crescendo ininterrotto di tensione, la fa la forza della sua conclusione. In questo caso, sebbene il lettore possa trovare conferma di un sospetto divenuto progressivamente sempre più forte, la densità espressiva raggiunta dall’autore, i suoi sforzi per esprimere a parole un’esperienza ineffabile, lasciano aperte anche altre ipotesi interpretative, creando il paradosso di un finale che è sia chiuso che aperto.
Non si tratta forse dell’opera più emblematica dell’autore (sul sito si trovano le recensioni di L’altro nome. Settologia I-II e di Melancholia I-II), ma Un bagliore può essere un modo valido per avvicinarlo per chi sia ad un tempo affascinato e intimorito dalla sua scrittura magmatica, magari prima di procedere con i testi più impegnativi.

 

Carolina Pernigo