E non posso più aspettare oltre perché, come ogni volta che capisci cosa deve essere cambiato, sembra che il resto non possa restare com'era prima neanche per un minuto di più, che da quel minuto dipenda tutto l'equilibrio della tua esistenza e dell'universo intero. (p. 187)
Negli ultimi tempi abbiamo già incontrato romanzi che si muovono sui terreni impervi e irregolari dell'età che va dai venti ai trent'anni, trovando spesso delle storie che danno voce a una crisi generazionale più ampia, quella dei giovani adulti, e che coinvolgono più campi: lavoro, sentimenti, relazioni familiari... Tutto compresso in un vortice che gira e gira su se stesso senza mai trovare riposo. A titolo di esempio, tra le uscite più recenti possiamo citare Tutte le giostre che ho chiamato casa (Giulio Perrone, 2024), di Michela La Grotteria, ma a tal proposito sul sito è presente anche un intero #PercorsiCritici. Onestamente non so se Basta un pezzo di mare di Ludovica Della Bosca possa inserirsi a pieno titolo in questo filone, perché ciò che racconta comprende e allo stesso tempo annulla le barriere di questa categoria letteraria, proponendosi come un racconto incentrato più sull'individualità dei personaggi che sulla rappresentazione di un'intera generazione. Le due protagoniste, infatti, si trovano a fare i conti più con sé stesse che con problemi generazionali, che sicuramente vivono e in cui sono immerse, ma che non mi pare costituiscano il fulcro dell'opera: il libro di Della Bosca va più a fondo, mostrandoci le crepe di due anime che hanno ignorato troppo a lungo il loro terremoto interiore.
Per ora ho solo la certezza di avere una voglia sconfinata di iniziare a vivere per davvero, come se fino a oggi non avessi fatto altro che aspettare. (p. 17)
Le ventiseienni Sara e Agata si conoscono fin da quando erano piccole, sono state amiche per un lungo periodo, poi ognuna ha preso la propria strada e oggi conducono due vite separate: mentre la prima è scappata da una famiglia che non ha saputo accogliere la sua omosessualità e ora fa la fotografa spostandosi da un capo all'altro del mondo, la seconda vive con il padre dopo la morte della madre, avvenuta a causa di una lunga malattia. Durante questo difficile periodo, Agata ha visto il suo mondo sgretolarsi pezzo dopo pezzo e piano piano si è lasciata scivolare lungo i bordi frastagliati del dolore, bloccandosi negli studi e abbandonando l'università.
Entrambe ferme nel proprio dolore, ed entrambe in fuga da sé stesse; nessuna sa che direzione prendere per uscire dall'impasse in cui si trova e senza volerlo le due si rivedono casualmente a Monza, dopo il ritorno di Sara in città. Dopo i primi imbarazzi, dovuti alla lunga separazione, le amiche si guardano negli occhi e decidono, insieme, che libereranno in mare, a Genova, l'astice che Agata porta con sé. Un astice che probabilmente pensava di finire in pentola e che invece è stato acquistato poco prima da Agata seguendo un impulso che non saprebbe nemmeno lei definire, forse un gesto fatto con la convinzione di salvare qualcuno, dato che non riesce a farlo con sé stessa. Il viaggio, da sempre Leitmotiv di qualunque narrazione di cambiamento, sarà occasione per entrambe di rivedere i propri errori e dare inizio a una nuova fase, una fase in cui la felicità finalmente non viene più nascosta dietro la porta ma abbracciata e tenuta stretta.
Alla fine è sempre così, non sai mai cosa fare e poi lo capisci quando ti senti sull'orlo del precipizio, quando devi decidere se buttarti o tirarti indietro. (p. 95)
Basta un pezzo di mare, quindi, anche segnalato dalla giuria del premio Calvino 2022, è un libro complesso, non nel senso di difficile (si legge facilmente e la scrittura è scorrevole) ma nel senso di sfaccettato, poiché tratta diversi temi e lo fa sempre molto delicatamente, con un tocco talvolta commovente. Questi ultimi non vengono spiegati in maniera didascalica, cosa che avrebbe potuto dare al testo una maggiore pesantezza, ma sono rappresentati e lasciati alla sensibilità del lettore. Ad esempio, pur se non esplicitato, appare evidente che uno dei temi sia il rapporto con la figura materna e come quello della crescita personale sia solo uno degli argomenti, sicuramente il più evidente. Entrambe le ragazze, infatti, devono fare i conti con le loro madri, in un confronto che in un caso, quello di Sara, ha il sapore delle cose non dette e nell'altro quello dell'elaborazione del lutto.
L'astice stesso è molto di più che il pretesto che serve a dare il via alla narrazione: è simbolo di crescita, distacco e libertà, e che possa sopravvivere nel mare della Liguria in fondo non è la cosa più importante da definire; ciò che conta è quel movimento deciso verso l'acqua mentre va a prendersi la propria felicità fuori dalla scatola in cui era stato messo, esattamente come Agata e Sara.
Dal punto di vista della struttura, il libro è diviso in capitoli in cui si alternano le voci - e i punti di vista - di Agata e Sara, in cui ogni tanto si inserisce un capitolo "Ricordo", incentrato ogni volta su diversi eventi della vita di entrambe. Per quanto riguarda la scrittura, invece, oltre alla scorrevolezza già citata, è da segnalare la capacità di entrare nel profondo dei sentimenti delle due ragazze, con una delicatezza decisamente notevole.
Se penso che questo è il primo romanzo di Ludovica Della Bosca, classe 1992, autrice che ha frequentato un corso annuale alla Scuola di scrittura Belleville, non posso che esprimere un sentito apprezzamento e una sincera curiosità verso eventuali futuri lavori.
Valentina Zinnà