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La breve e cinica confessione di una donna nel ritratto della condizione femminile degli anni Cinquanta: "Noi e la morte di Stella" di Marlen Haushofer

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Noi e la morte di Stella
di Marlen Haushofer
L'orma, luglio 2024
 
Traduzione di Eusebio Trabucchi
 
pp. 96
€ 15 (cartaceo)


Marlen Haushofer, nata nel 1920 e deceduta nel 1970 a causa di un cancro alle ossa, è stata una scrittrice austriaca. Vincitrice del Premio di Stato per la letteratura e autrice di racconti di successo, dediti a rappresentare la condizione sofferta della donna all’interno del sistema patriarcale degli anni in cui visse, dopo la morte la sua opera cadde rapidamente nel dimenticatoio letterario.
Fu proprio grazie ai movimenti femministi degli anni Ottanta, che videro nei suoi testi delle forme artistiche di valore, non soltanto sociale e femminista, ma innanzitutto artistico, che i suoi testi riemersero dall’oblio e furono oggetto di ripubblicazione e traduzione in varie lingue. 

Noi e la morte di Stella non è l’opera più rinomata dell’autrice (lo è, invece, il romanzo La parete, pubblicato nel 1963), ma è certamente un racconto di lustra bellezza. Breve nelle sue scarse cento pagine, è stato pubblicato nel 1958 e contiene in esso, pur nella fugacità della scrittura e di numero di pagine, una completa testimonianza dell’essere donna in quei tempi cruciali.

La protagonista si chiama Anna, una donna adulta, sposata con Richard e madre di due figli, la piccola Annette, esuberante e vivace bambina che somiglia al padre, sempre sorridente e con il sole negli occhi, e l’adolescente Wolfgang, taciturno e riflessivo, che ha con la madre un rapporto contrastante, al contempo simbiotico e distaccato: unica figura di questo piccolo mondo familiare che sembra riuscire a distanziarsi quanto gli basta a osservare le dinamiche relazionali dall’esterno, con lucidità e freddezza. L’unico, infatti, in grado infine di reagire.

La vita della famiglia, apparentemente cristallizzata in una falsa perfezione, normalizzata e beffarda, viene segnata dall’arrivo di una ragazza di diciannove anni, Stella, la figlia di un’amica di Anna, che viene ospitata in casa per circa due anni, fino alla sua morte, causata da un investimento stradale.
Ma già dal principio ci accorgiamo che c’è dietro qualcosa di più e neppure la protagonista ci crede fino in fondo, nemmeno l’autista del camion che la ha investita è convinto che si tratti di una sfortunata disgrazia.
La scrittura centellinata e reticente di Marlen Haushofer ci fa intendere che la protagonista, la nostra voce narrante, non sta semplicemente raccontando un tragico episodio della propria vita famigliare, ma piuttosto redigendo una confessione – come cita la quarta di copertina del libro – «glaciale», sulla morte di Stella. Com’è morta la ragazza? Cosa è cambiato in quella famiglia dal suo arrivo?

Donna stanca e ripetutamente tradita dal marito, Anna si trova sola in casa per due giorni e li trascorre seduta a un tavolo a scrivere la propria confessione, la propria colpa; vuole scrivere di Stella per poterla ricordare prima di iniziare a dimenticarla, una sorta di dovere autoimposto che nulla ha a che fare col pentimento né col desiderio di redenzione, bensì col fatto di vendicarla «contro me stessa, è questa la verità e, pur con tutte le mie resistenze, è giusto che sia così» (p. 11). Scrive, in modo da poter dimenticare, perché
è questo che davvero desidero: riuscire a vivere in pace, senza paura e senza ricordi. Mi basta, come in passato, prendermi cura della casa, accudire i ragazzi e guardare il giardino attraverso la finestra. Se mantieni la calma, pensavo, riesci a non farti invischiare nelle faccende altrui. E pensavo a Wolfgang. Era così piacevole averlo attorno ogni giorno. Dal momento della sua nascita è sempre stato mio. Avrei forse dovuto mettere a repentaglio la tranquillità della nostra convivenza a causa di Stella? (p. 10)
In questo Anna riesce benissimo, a non lasciarsi invischiare, a rimanere immutabile e ferma, a fare di tutto pur di non entrare in crisi. Anche quando il marito torna a casa con l’odore di un’altra donna addosso, con l’umore allegro, e pur dormendo con una mano posata sulla spalla della moglie.
Anna rimane impassibile anche quando il marito inizia a uscire con Stella, quella ragazza con la pelle leggermente abbronzata, bella, ma «priva di fascino ed eleganza» (p. 19), ingolfata dentro a vestiti marroni informi e «repressa da tutti quegli anni trascorsi in collegio» (p. 29).
Le descrizioni con cui Anna ci dipinge il ritratto di Stella non le scontano nessuna malignità. Il modo netto con cui traccia i contorni della ragazza è senza tentennamenti, senza la curiosità di avvicinarsi, ma con la presunzione di chi osserva una persona da lontano e verso la quale non sente di avere alcuna responsabilità.
Non appena mi fu chiaro che con Stella non avrei in ogni caso mai creato un vero legame, interruppi i miei sforzi e ripresi la vita di sempre, come se nella stanza degli ospiti non ci fosse alcuna ragazza. Continuava a darmi fastidio, ma ero consapevole che quel fastidio non sarebbe durato poi troppo. Sono stata sempre gentile con Stella, gentile come lo sono con la donna di servizio, con il postino e con i compagni di scuola di Wolfgang (p. 31).
La nostra protagonista rimane coerente fino alla fine. Non ci si può aspettare una reazione da parte sua, pur essendoci molta autocoscienza, anche se in gran parte latente e coattamente sotterrata. Come scrive lei stessa, il «gesto salvifico non viene mai compiuto perché […] chi ne è consapevole è incapace di agire» (p. 33).

Con semplici tratti e ritocchi Haushofer genera un ritratto psicologico e fisionomico profondo e calzante dei personaggi, che riusciamo a vedere nitidamente, e mette a nudo le ipocrisie sociali di una famiglia sgretolata e che tuttavia rimane inconcepibilmente intatta. Ma davanti a un dramma di questo calibro, pur nella consapevolezza di un’impotenza irrecuperabile della protagonista, che subisce psicologicamente la propria condizione, da lettori non riusciamo a garantirle la nostra comprensione, né tanto meno a giustificarla, neppure nel momento della sua confessione più alta:
La mia legge era l’inviolabilità della vita, e ho oltrepassato il mio, di limite, permettendo con tranquillità e noncuranza che la vita di Stella venisse annientata davanti ai miei occhi. […] ho condotto l’esistenza della signora agiata, mi sono affacciata alla finestra e ho respirato il profumo delle stagioni, mentre intorno a me si uccideva e feriva (p. 40).
Nel domandarsi cosa prova davanti a una colpa così passiva e a una confessione così cinica, il lettore ammetterà fuor di dubbio che a gran ragione Marlen Haushofer è stata definita «un’autrice che diviene più attuale ogni anno che passa».

Federica Cracchiolo