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"Andare per i luoghi del Risorgimento": la mappa di Roberto Balzani per riscoprire le radici dell'Italia unita

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Andare per i luoghi del Risorgimento
di Roberto Balzani
Il Mulino, “Ritrovare l’Italia”, 2024

pp. 173
€ 13,00 (cartaceo)
€ 9,50 (ebook)

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La costruzione della mitografia risorgimentale è un processo a un tempo intellettuale e popolare, all’inizio quasi mai statale (lo stesso concetto di Stato, e poi di Stato italiano, era in effetti tutto da elaborare e consolidare, e gli stessi eventi del Risorgimento, ripresi e talora risemantizzati, si prestano a tale scopo). La politica se ne appropria secondariamente, la recupera, la valorizza laddove lo ritiene opportuno, appone una propria firma, ma ciò non ne cambia la natura, l’intima essenza, che è una essenza composita, stratificata, polifonica. Ecco in cosa consiste la sfida di Roberto Balzani: restituire senza tradire, proporre un itinerario in cui l’elemento storico e quello artistico, culturale, paesaggistico possano coesistere, compenetrarsi. La sua scelta è quella di seguire un ordine cronologico, non geografico. E se questo complica inevitabilmente la vita a chi voglia effettivamente mettersi alla ricerca dei “luoghi del Risorgimento”, certo la agevola al lettore curioso. Va detto, peraltro, che tali luoghi superano di molto quelli che è possibile catalogare in un volume snello e maneggevole come sono sempre quelli della collana “Ritrovare l’Italia”, costringendo necessariamente a dure scelte.

Io mi accingo alla lettura con un vivo interesse: nel 2010 avevo seguito con gusto su La Repubblica la rubrica “Camicie Rosse” di Paolo Rumiz, ora introvabile. Avevo apprezzato l’idea del viaggio a tema risorgimentale, avviato dallo scrittore in occasione dei festeggiamenti per il centocinquantenario della spedizione dei Mille (e successivamente dell’Unità d’Italia). Balzani si inserisce in questa tradizione, ma lo fa con un approccio del tutto personale, come si evince fin dal principio, dalla scelta di non cominciare dai luoghi, ma dai nonluoghi.

Sono i nomi delle strade e i monumenti decaduti ad aiuole spartitraffico, le lapidi sporche o illeggibili, il bronzo o il marmo incrostati di smog. […] Hanno perduto il significato, prima che politico o culturale, umano. […] Essendo però ricorrenti negli stradari italiani, sono famosi; […] si impongono alla nostra attenzione per la loro rassicurante ripetitività […]. Quando li incontriamo, ci sentiamo un po’ a casa, anche se il riferimento storico è ormai sbiadito ed estinto. (pp. 12-13)

La toponomastica italiana deborda di riferimenti risorgimentali, il più delle volte svuotati però del loro significato. Rassicuranti, familiari, non evocano però quasi più il periodo o il personaggio storico a cui si rifanno. L’istanza dell’autore è allora anche etica: ridare senso, spessore, alle parole, risvegliare la conoscenza di un processo in larga parte responsabile della nostra identità nazionale attuale. Quella che interessa a Balzani non è del resto la mitografia “postuma”, quella pensata per creare un paesaggio nazionale, costituita di riferimenti condivisi e calati dall’alto in grado di “fare i cittadini” di uno Stato appena nato, bensì quella generatasi spontaneamente durante l’evolvere del periodo risorgimentale, legata strettamente alle realtà locali ed espressione di un sentire comune. Un esempio è il caso di Pisa dove, in occasione della Prima guerra di indipendenza, su seicento iscritti all’Università furono ben quattrocento gli studenti, guidati dai loro professori, che si mobilitarono come volontari per la causa.

Non furono sufficienti i tentativi di Carducci di creare un canone letterario che valorizzasse le realtà territoriali, né la proliferazione di “monumenti nazionali”, per costituire la base per un Grand Tour del Risorgimento italiano. E se oggi questa idea appare anacronistica, suggerisce l’autore, non è impossibile tuttavia esperire un recupero archeologico dei luoghi e dei motivi risorgimentali, per «riaccendere il motore della curiosità e della comprensione, attraverso la mediazione di un paesaggio da riscoprire» e diventare così, se non più «italiani», quantomeno «cittadini più consapevoli» (p. 28).

Il viaggio di Balzani comincia a Milano, capitale della napoleonica Repubblica Cisalpina (e poi primo “Regno italico”), luogo di nascita del tricolore e rifugio per intellettuali e rivoluzionari. Qui si ricercano le tracce dell’impianto napoleonico oltre i tentativi di cancellazione messi in campo dalla Restaurazione, tra l’Arco della Pace, l’arena, il Palazzo Reale e la Pinacoteca di Brera. Se questo e altri, come la Brescia della gloriosa resistenza della primavera del 1849, risultano luoghi della memoria evidenti e noti, nella trattazione ne emergono altri più inaspettati, come Forte Marghera, che emerge quasi fuori dal tempo dietro agli stabilimenti industriali e all’affollarsi degli edifici urbani, acquattato in una zona prossima alla laguna ancora stranamente quieta e incontaminata. Anche questo è del resto in linea con il progetto:

l’idea che la memoria del Risorgimento non appartenesse solo alle “capitali” o ai campi in cui si erano consumati gli scontri più sanguinosi, ma fosse diffusa anche nella periferia più estrema, era […] patrimonio degli stessi uomini dell’Ottocento. (p. 139)

Non possono mancare, nel percorso, i tributi a quelli che la memorialistica ha considerato i “padri della patria”; Garibaldi in primis, a partire dalla sua fuga romagnola, nell’estate del 1949 (la Pineta di Classe è stata «il primo “paesaggio culturale” tutelato del nostro Paese», p. 68), per arrivare poi ai luoghi toccati durante la spedizione dei Mille, e infine a Caprera. Seguire i passi del Generale su e giù per l’Italia è l’occasione per mettere in rilievo l’ampia partecipazione popolare, genuina e spesso non strutturata, ai processi risorgimentali, un fenomeno spesso trascurato dalle celebrazioni ufficiali, ma ben vivo nella realtà locale. Dall’isola in cui Garibaldi scelse di trascorrere buona parte della sua esistenza – descritta con lirismo e con una sincera e condivisibile fascinazione –, come dalla Torino di Cavour, o dalla Genova di Mazzini, si possono evincere tante delle caratteristiche dei personaggi che le hanno abitate: così gli spazi diventano un’occasione per parlare degli uomini, e gli uni e gli altri del periodo storico.

Questo tipo di viaggio risulta inoltre interessante perché consente sempre una doppia lettura del paesaggio, in bilico tra il passato e la modernità, tra le radici e quello cui, in maniera diretta o indiretta, hanno dato vita:

[In Romagna] ci si può estraniare, guardando solo la quiete della valle che si estende verso nord, fra i canneti e la fauna lacustre; oppure voltare le spalle al passato per apprezzare il sogno “progressista” di un paio di generazioni or sono; oppure, infine, tenere nel campo visivo entrambi, e sentirsi a metà, un po’ figli della tradizione, un po’ affascinati dalla sfacciata, arrogante cultura dello sviluppo, produttrice di ricchezza e distruttrice, qui come altrove, di delicati equilibri ambientali. (p. 67)

Non si può dire che Andare per i luoghi del Risorgimento sia una lettura completamente divulgativa: in alcuni passi l’impianto discorsivo è infatti specialistico, sotto il profilo tanto contenutistico quanto formale, e richiede precognizioni storiche. D’altro canto, quando la riflessione si focalizza maggiormente sui luoghi da visitare, o quando diviene più aneddotica, si possono scoprire dettagli curiosi, come nel caso delle indicazioni per leggere correttamente le iscrizioni lapidarie cimiteriali, che si rivelano in grado di restituire l’anima poliforme delle campagne risorgimentali:

C’era un abisso politico fra dire “prestò il braccio alla Patria nel 1849, 1860 e 1867” e “si batté per l’indipendenza della Patria nel 1848, 1859 e 1866”. […] Da un lato, la [battaglia] si era combattuta in camicia rossa o addirittura in borghese; dall’altro, rigorosamente in divisa azzurra, con lo scudo dei Savoia sulle fibbie e sulle bandiere. Differenze non trascurabili, che però, rimbalzando sulle generazioni, hanno perduto gran parte della carica identitaria iniziale, giungendo a noi devitalizzate, ricondizionate da un discorso generico che ha smorzato asperità e conflitti. (pp. 92, 93)
E se, come fa notare l’autore, «fra i luoghi privilegiati del Risorgimento […] ci sono i cimiteri» (p. 94), non può mancare una rassegna dei Musei dedicati: quello compatto, ma ricchissimo di Milano; il più recente ospitato dal Castello di Brescia; quello di Torino, sito a Palazzo Carignano, fulcro del processo risorgimentale, e orientato a restituire il fenomeno in tutta la sua vastità e complessità; il Museo Centrale del Risorgimento di Roma, accolto scenograficamente all’interno del Vittoriano e focalizzato sugli aspetti militari del processo, sulla retorica dell’azione, e soprattutto sulla figura di Vittorio Emanuele II e la dinastia sabauda; o ancora la Domus Mazziniana a Pisa, in cui il giuramento della Giovine Italia, trascritto integralmente sulla facciata dopo le celebrazioni del centocinquantenario, riverbera sul tessuto urbano. Di tutti, l’autore commenta il percorso espositivo, sottolineando gli aggiornamenti e i tentativi di modernizzazione fatti negli ultimi anni, in particolare in occasione delle celebrazioni del 2011.

A questi luoghi, costituiti per volontà esplicita di onorare una tradizione, si devono sommare quelli, non meno formali, che si innestano storicamente al cuore delle comunità cittadine, come il ciclo pittorico della Sala del Risorgimento del Palazzo Civico di Siena, che «ha una funzione pedagogica, illustrativa, celebrativa e politica» (p. 150), o ancora la serie di affreschi contenuta nella Torre di San Martino, che vuole raccontare in un percorso unitario gli eventi fondamentali che paiono culminare nella grande battaglia del 24 giugno 1859. Non si può infatti dimenticare, e il volume di Balzani lo ricorda a più riprese, che

da parte delle generazioni della seconda metà dell’Ottocento e di buona parte del Novecento, la creazione dello Stato nazionale era considerata l’episodio più importante della vita della penisola dall’epoca di Roma antica. La conseguenza logica era che, pure nel campo estetico e architettonico, il Risorgimento politico aveva propiziato un nuovo Risorgimento delle arti, riverberantesi in un’impaginazione enfatica, ma didatticamente adeguata. […] Entrambi [gli schieramenti] si riconoscevano in un racconto facilitato e fondamentalmente convergente sull’alto valore simbolico di alcuni fatti. (p. 149)

Come notato più volte, ed esplorato in diversi saggi specifici (ad esempio nel bel Garibaldi. L’invenzione di un eroe della studiosa Lucy Riall), la creazione dell’immaginario prevede sempre un contributo da parte delle arti e della letteratura, che si mettono al servizio delle storie e della Storia per fornirne un’interpretazione duratura. In questo caso, simili manifestazioni diventano altrettante tappe del percorso esplorativo tracciato da Balzani nel suo volume. Dalla lettura, si evince chiaramente che le anime del periodo storico furono molteplici, difformi per intenti e per ideali, ma che la somma dei diversi tasselli permette una comprensione più piena della società che abitiamo. Perché, in fin dei conti, «il Risorgimento non è una pagina remota e polverosa, ma è piuttosto l’espressione di fenomeni ancora vitali, che interrogano popoli, individui e società in tante parti del mondo» (p. 53).

Carolina Pernigo