L’isola che mi amava
di Stefania Aphel Barzini
di Stefania Aphel Barzini
Ponte alle Grazie, luglio 2024
pp. 144
€ 15,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
€ 9,99 (ebook)
Stefania Aphel Barzini, metà siciliana e metà napoletana, dopo il successo di Le Gattoparde e l’uscita di una biografia su Rosa Balistreri, cantautrice e cantastorie di terra siciliana, torna in libreria con una nuova storia ambientata in Sicilia, vera fonte d’ispirazione dell’autrice, e più precisamente in una minuscola isola dell’arcipelago delle Eolie.
L’isola che mia amava è infatti il racconto appassionato di un amore a primo sguardo tra la scrittrice e la remota isola di Alicudi. Un amore che si accende all’improvviso e non lascia scampo, poi crescendo con la stessa lentezza con cui si consumano le braci ancora ardenti.
Attraverso un viaggio lungo quanto la sua vita, Stefania Barzini traccia un percorso di innamoramento che è anche un elogio a un’isola in cui poter vivere sospesi e protetti, in pausa dal tempo e dal resto del mondo che invece continua a correre veloce.
Ad ascoltare, sull’Isola, si impara a poco a poco. I primi anni ero troppo innamorata degli occhi, della luce, dei colori. Poi è arrivato il tatto, toccare, sfiorare, sfregare, palpare, premere, ma in realtà sono stati altri i sensi che mi hanno raccontato l’Isola, quelli meno ovvi.Guardare, Ascoltare, Annusare, Assaggiare sono alcuni dei capitoli intitolati dall’autrice, che attraverso l’indagine dei quattro sensi umani, per finire con il sesto senso, ci racconta la sua Isola – sempre nominata con l’iniziale maiuscola, come un nome proprio di persona, che appartiene a una sagoma in carne e ossa, a una donna piena di vita, selvaggia e autentica, impossibile da non amare.
Le mie orecchie ci hanno messo un po’ a risvegliarsi, ma quando è successo, mi sono accorta che l’Isola parlava e ho cominciato a fare attenzione (p. 73).
La narrazione di Barzini si costituisce in maniera del tutto sensoriale, mediante le descrizioni dettagliate della fisicità dell’isola, della sua geografia, ma anche – e sempre in riferimento a un’indubbia personificazione antropomorfa – mediante la descrizione di una sorta di anima di Alicudi.
Le donne invece si lasciavano cadere sulle pietre lisce e restavano lì per ore, a gambe spalancate, quasi avessero voluto fare l’amore con il mare, il vento, il sole, e accoglierli tutti. […] Erano momenti di verità assoluta, perché il sole quando è così selvaggio ti fa il vuoto intorno, assorbi il suo calore, ne capti l’energia e ti ritrovi faccia a faccia con te stessa (pp. 52-53).Alicudi è poco più di uno scoglio che va spopolandosi, eppure parla e tenta di farsi ascoltare. Un luogo al limite della vivibilità, dove percorrere 475 gradini ogni giorno è il pegno da pagare per vivere nella pace assoluta di un’isola scollegata da tutto. Un terreno aspro e urticante, dove il sole brucia, il sale incrosta la pelle, le asperità delle rocce feriscono e sfiancano il corpo, esigendo sangue e sudore. Un luogo dove i turisti fuggono via terrorizzati per l’assenza di qualsiasi comodità, dove né una posta, né una banca, né una farmacia esistono, dove è difficile trovare della carne e pure l’acqua a tratti scarseggia.
Per Stefania Barzini tutto ciò non è abbastanza per desistere e tornare nel mondo, e questo è sicuramente prova di vero amore, che per lei e la sua Isola dura già da tantissimi anni.
Ma aldilà delle avversità che la natura selvaggia impone di affrontare, a noi umani presuntuosi che riusciamo sempre a sottovalutarla, la scrittrice apre gli occhi sulla sfida più grande dell’Isola, quella del silenzio.
Essere ogni giorno a contatto con il silenzio, una volta che ne avevi capito l’essenza, ti cambiava, ti faceva diventare più tollerante, più gentile, più felice. Allora mi rendevo conto di come fossi fortunata e come quello che mancava nella nostra vita quotidiana fosse poter raccogliere i propri pensieri, ritrovarsi senza alibi di fronte a sé stessi. Capivo come fossimo solo noi a creare rumori, per non guardarci più in profondità, oltre alle apparenze, perché è della nostra voce che abbiamo paura. Tornare ogni anno ad Alicudi mi aiutava a confrontarmi, a fare un bilancio della mia esistenza (p. 101).Grazie alla scrittura luminosa e carica di forza di Stefania Barzini, abbiamo la possibilità di lasciarci incantare immaginando un luogo ai confini del reale, una terra liminale che, mettendo a dura prova la tolleranza del corpo, arriva a comunicare direttamente con lo spirito, creando una dimensione che non ha più nulla a che vedere con la fisicità della terra ma sembra essere tutta tesa a una rarefazione del tempo e dello spazio, a un passo verso l’aldilà e il soprannaturale. È l’isola dove anche i fantasmi sembrano parlare nella notte e dove dal Novecento si racconta che le donne volino, dove la magia è presente, percepibile nei bisbigli del mare e nelle vibrazioni tettoniche degli scogli. E, seppure in odore di fiaba, leggendo non si fatica a crederci.
«Le isole sono luoghi dello spirito, che non sono né la via né la vita né la verità, ma sicuramente sono luoghi per incontrare Dio» scriveva Daniel Defoe (p. 140), e Stefania Barzini fa suo e rafforza questo pensiero, e ce lo fa comprendere con un testo speciale, un vero e proprio inno d’amore.
Federica Cracchiolo