Essere sé stessi al di fuori del tempo e dell’identità di genere: “Orlando” di Virginia Woolf, un esperimento di scrittura che gioca sulla metamorfosi



Orlando
di Virginia Woolf
Neri Pozza, 10 novembre 2023

Traduzione di Nadia Fusini

pp. 304
€ 19,00 (cartaceo)

Con questi frammenti dobbiamo fare del nostro meglio per ricreare un quadro della vita e del carattere di Orlando a quell’epoca. Ancora ai nostri giorni circolano dicerie, leggende, aneddoti vaghi e poco attendibili […] e tutti insieme provano che nel fiore dell’età possedeva il dono di eccitare la fantasia e sedurre l’occhio, tanto da mantenere il ricordo di un uomo a lungo, anche più di quanto possano fare per mantenerlo qualità più durature. È un potere misterioso fatto di bellezza, di lignaggio e di una dote ancor più rara, cui non sapremmo dare altro nome che glamour, tutto qui. (pp. 123-124)
Orlando è un giovane uomo, nobile, ricco, istruito, affascinante, vigoroso ed elegante in egual misura, protetto dalla regina d’Inghilterra cercato da tutti, amato dalle donne e ammirato dagli uomini, cosa potrebbe aggiungersi a questo elenco così fortunato? Eppure qualcosa c’è, Orlando infatti vivrà un'esperienza assolutamente impensabile: all’età di trent’anni, dopo un sonno profondo di sette giorni, si sveglia nel corpo di una donna. Questa metamorfosi indolore è, da lui e dalle persone che gli sono intorno, accolta e accettata nella normalità più spiazzante, come se si fosse trattato di un’ovvietà.
Orlando era diventato donna - non si può negarlo. Ma sotto ogni altro aspetto, Orlando rimaneva tale e quale com’era prima. Il cambio di sesso, che alterava senz’altro la vita futura dei due Orlando, non alterava affatto la loro identità. La faccia rimaneva la stessa, come provano i ritratti. La sua memoria - e cioè, la memoria di lei, non di lui, si dovrà dire per convenzione d’ora in poi - risaliva il corso degli eventi passati senza ostacoli. (p. 135)

Ho voluto cominciare questo invito alla lettura così, ex abrupto, portandovi al cuore della straordinaria vita di Orlando, ma senza anticipare nulla che la sinossi del libro non riveli già. Orlando è il romanzo più lungo partorito dalla penna della celeberrima Virginia Woolf e appare in un periodo particolarmente prolifico della scrittrice. Nel 1927 era stato pubblicato Al faro; Orlando compare nel 1928, subito seguito da Una stanza tutta per sé nel 1929. Un divertissement - così lo chiamò Woolf - inserito nel mezzo tra il capolavoro narrativo e il saggio sul diritto della donna di potersi dedicare alla scrittura e alla letteratura. Ma Orlando è molto più che un divertissement, o se vogliamo citare i nostri classici latini, delle nugae. È un’opera dove Woolf, attraverso la letteratura vive e sperimenta nuove suggestioni, concetti, forme narrative: Orlando nasce come biografia. Questa precisazione contiene il pretesto metaletterario che sottende il libro: vi è un biografo che si accinge a ricostruire la storia di questo giovane rampollo di buona famiglia inglese e che interrompe il flusso narrativo con appelli al lettore, esternazioni riguardanti la difficoltà nel ricostruire alcuni momenti della vita di Orlando oppure commenta documenti in suo possesso. 

La genesi di questo romanzo-biografia - la definizione è controversa - è collegata a un incontro fatale che la nostra Virginia fece nel 1927: Vita Sackville-West, che la stregò nel vero senso della parola. Vita aveva trent’anni, Virginia quarant’anni quando si conobbero. La prima era una viaggiatrice instancabile, scrittrice di poemi e di racconti, amava uomini e donne ed era sposata con un diplomatico, mentre la nostra Virginia si stava affermando come scrittrice e aveva col marito fondato una casa editrice, la Hogarth Press. È stato un amore fulminante e ricambiato che per Virginia rappresentò una rinascita e un risveglio non solo sentimentale, ma anche letterario. Con Orlando ha voluto scrivere la biografia di Vita, lasciarle questo pegno letterario d’amore.

È molto bella e illuminante la Prefazione a questa edizione Neri Pozza, scritta da Nadia Fusini, traduttrice di diversi testi di Woolf:

Virginia scopre, cioè, che l’amore è vita, è Vita. Sì, Vita è davvero la vita, viva, vivace, vitale. E siccome Virginia è scrittrice, quell’amore che vive con Vita non le basta viverlo nella vita, lo vuole mettere al sicuro nella scrittura. Perché la scrittura è per Virginia il bene più grande, il più sicuro. Come “prendere”, come “catturare” Vita, l’amore di Vita? Come amare e ricambiare l’amore di Vita? Lei non ha, o almeno tale è il suo sentimento, altri metodi di fascinazione, se non le parole. […] e confeziona questo vero e proprio “capriccio” che è Orlando. (pp. 7-8)

La storia di Orlando dimostra che ciò che conta in un essere umano è la sua identità più intima e profonda, che non si può ingabbiare nel genere e neppure nelle epoche storiche: un essere unico come Vita-Orlando, acceso come «milioni di candele» (p. 62), fatto di carne e di arte, capace di passare dall’estasi più ineffabile alla malinconia più struggente, può vivere, immortalato dalla letteratura, oltre le nebbie del tempo. 

Orlando nella storia vive ben quattro secoli e si mantiene sempre giovane: lo conosciamo promettente rampollo di nobile famiglia che vive una cocente delusione amorosa con Saša, una principessa russa che gli farà dimenticare i precedenti amori galanti, finanche la  promessa di matrimonio con Lady Margaret. Lo vediamo poi dormire sette giorni di seguito tra le preoccupazioni degli amici e dei valletti per poi svegliarsi e riprendere la vita di un tempo, senza però il calore della bella russa. In questo passaggio il biografo-Virginia apre una riflessione molto interessante sulla resistenza che la natura ha donato all’uomo per farlo sopravvivere al dolore estremo:

Ma se era sonno, viene inevitabilmente da domandarsi, di che natura è un sonno del genere? È una misura di estrema difesa - uno stato di trance per cui i ricordi più amari, gli avvenimenti che si direbbe potrebbero spezzare per sempre un’esistenza, vengono spazzati via da un’ala scura, che toglie loro ogni asprezza, anzi indora anche i ricordi più brutti, i più volgari, di un certo lustro, di un certo fulgore? […] siamo così fatti, che dobbiamo prendere la morte a piccole dosi, giorno per giorno, per continuare a vivere? (p. 75)

Dopo questo primo lungo sonno la voce narrante ci fa sapere che erano già passati molti anni, Orlando si mostrava sempre giovane nonostante avesse raggiunto l’età matura, e il re Carlo gli affida un incarico importante, quello di ambasciatore a Costantinopoli. Questa parte della storia è ricca di interventi metaletterari del biografo, che più volte insiste sul fatto che nella documentazione manoscritta ci sia «un buco grosso da passarci il dito» (p. 119), i fogli sono carbonizzati, è difficile ricostruire dei passaggi, si sa solo che Orlando si distinse nelle trattative con i Turchi e che a corte era sempre ammirato e faceva sciogliere più cuori. È proprio a Costantinopoli che il giovane, dopo un secondo lungo sonno ininterrotto durato sette notti, si sveglia nel corpo di una donna. Ammessa questa straordinaria metamorfosi indolore, il lettore si chiederà se nell’intimo Orlando sia rimasto uguale, sempre libero e sincero con sé stesso. Il protagonista scoprirà che la donna ha molto meno potere e libertà nei confronti delle convenzioni sociali, è prigioniera dei belletti, dei corsetti e della crinolina e nei negli “affari di cuore” deve custodire gelosamente la verginità come al suo bene più prezioso.

Per raccontare una vita così straordinaria Virginia Woolf ha dovuto spezzare la continuità narrativa mettendo in bocca al biografo in più occasioni la descrizione della natura solitaria di Orlando, del suo desiderio di appartarsi sotto una quercia ad ammirare i tramonti, di sentirsi attaccato a qualcosa di solido come il tronco di un albero per «ormeggiare il suo cuore fluttuante» (p. 32). Ho trovato bellissime le pagine dedicate al suo amore per la letteratura e alla scrittura come urgenza vitale, espressione del proprio sé: ho immaginato leggendo queste pagine che la nostra autrice raccontasse non solo sé stessa, ma descrivesse soprattutto l’amata Vita, la sua affinità elettiva.

Virginia Woolf prova a scrivere una biografia allontanandosi dalla logica ottocentesca della Victorian age, in particolare si distacca dalla scrittura di suo padre, Leslie Stephen, autore e critico letterario, perché vuole qualcosa di diverso: non vuole scrivere le vite di eminenti uomini che si sono distinti in valori politici e civili. Virginia desidera infondere l’anima di Vita nelle pagine del suo libro, farle vibrare della sua forza, del riverbero della sua energia e della sua smagliante bellezza. E, per ottenere questo risultato, ricorre al grottesco, alla teatralità, al trasformismo, alla masquerade.

La novità dell’opera sta tuttavia, come Nadia Fusini sottolinea, nell’affrontare il pruriginoso tema della «bisessualità intrinseca - innata?organica? fantastica? - della natura umana» (p. 9). 

[…] l’anatomia non è un destino. No, Freud s’è proprio sbagliato. E l’identità sessuale - insomma quel darsi troppo pensiero se essere un uomo, o una donna, e perdere tempo ad architettare passaggi e transiti, tutti quei tormenti li potremmo evitare accettando il gioco ironico che dissolve ogni identità nella maschera. […] Orlando si presenta indifferentemente in veste di uomo, e di donna, grazie a un gioco di trasformazioni alla lettera fantastiche, che corrodono appunto l’idea stessa dell’identità. Perché trionfi la metamorfosi. (p. 12)

La letteratura è duttile e si presta molto bene a raccontare questa metamorfosi con la naturalezza e la maestria che solo una grande scrittrice avrebbe potuto fare: Orlando è un “capriccio” di scrittura, è una dichiarazione di amore di una donna a un’altra donna e non va annesso alle teorie lgbtqia+, non dimentichiamoci infatti che Virginia Woolf si è sempre battuta per i diritti delle donne e probabilmente con questo libro, per dirla insieme a Nadia Fusini, ha voluto dimostrare che

(…) la donna è la versione più alta dell’essere umano, l’essere umano al suo meglio è donna. (p. 19)

Marianna Inserra