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Si può trasformare la rabbia in speranza? L’infanzia rubata e violata in “La furia” di Sorj Chalandon

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La furia 
Sorj Chalandon  
Guanda, settembre 2024

Traduzione di Silvia Turato 

pp. 333
€ 19 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)

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«Jules Bonneau. Numero di matricola: 3462 / blocco numero 2. Stato di agitazione, ansia, aggressitività, scarso controllo degli impulsi [...]». (p. 98)
In un’isola al largo delle coste francesi, si trova la casa di correzione Belle-Île-en-Mer, dove sono rinchiusi quasi trecento bambini. La loro colpa? Essere orfani, aver rubato per fame e aver reagito a soprusi: nessuno di quei bambini ha mai commesso un vero reato. 

A raccontare questa storia, è l’adolescente Jules Bonneau, che, da quando aveva tredici anni, è rinchiuso tra le mura di questa colonia penale che si dimostra un carcere a tutti gli effetti. Ogni giorno, i bambini sono vessati, umiliati, picchiati e violentati. Siamo a metà del Novecento. Jules, da più di sette anni, è imprigionato lì e ha visto tutto quello che un bambino non dovrebbe mai vedere. A volerlo “rieducare” sono stati i nonni (soprattutto il nonno), dopo che il giovane, insieme ad altri due compaesani, ha incendiato una fabbrica del loro paese. Jules però, in quella storia, non aveva alcuna responsabilità. Eppure, senza alcuna possibilità di decidere, è stato spedito a Belle-Île-en-Mer. Negli anni ha imparato a cavarsela da solo, a essere diffidente, a non mostrare mai le sue debolezze, perché sono proprio quelle che le guardie puniscono e lo fanno nei modi più crudeli possibili.

Jules impara a non attirare mai troppo l’attenzione, covando una furia che sfoga immaginando di vendicarsi contro i sorveglianti («Uccidere per finta era il mio ossigeno. La mia strategia di sopravvivere», p. 38). Esiste una gerarchia a Belle-Île-en-Mer ed è quella del rispetto: un rispetto guadagnato dimostrando fedeltà ai compagni che lo accettano nel gruppo con il soprannome di Tigna, sicuramente un nome non bello ma di grande impatto. Il momento arriva quando un suo compagno, Camille, è picchiato quasi a morte per non aver rispettato l’ordine dei cibi da mangiare; infatti, ogni pasto è un preciso rituale e solo addentare prima il formaggio del pane può avere pesanti ripercussioni. Non potendo sopportare anche questa ennesima vessazione, Jules dà avvio a una sommossa contro le guardie, contro i famigliari e contro la Francia stessa che permette che esistano luoghi come questo. Benché tanti si uniscano alla rivolta, la fuga non è facile, perché Belle-Île-en-Mer è al centro di un’isola: come scappare e sopravvivere? Dei cinquantasei, solo Jules riuscirà. Gli altri saranno acciuffati e riportati dentro, grazie, soprattutto, all’aiuto degli abitanti dell’isola e ai turisti che non hanno dubbi: quel «branco di lupi» (p. 87) deve essere nuovamente rinchiuso.

Troppo tardi. Per tornare indietro, per riflettere. La terra da una parte, l’oceano dall’altra. La colonia o il mare. Prendere il largo, la mia ultima possibilità. (p. 124)

Leggere La Furia richiede una certa dose di coraggio perché attraversare la vita di Jules significa farsi male e somatizzare la rabbia e la frustrazione di ogni bambino, imprigionato all’interno della colonia penale. 

Ispirato a una storia vera (ne scrive anche il poeta Jacques Prévert nella poesia Chasse à l’enfant), Sorj Chalandon riporta alla luce un’usanza dimenticata, ma che a metà del Novecento (fino quasi agli anni Settanta) era pratica comune: quella delle case di correzione minorile. L’autore dimostra quanto una vita come quella di Jules sia traumatizzante; infatti, anche dopo l’evasione, il protagonista non riesce a fidarsi, a nascondere quei sentimenti così negativi e pressanti che, però, negli anni di prigionia, gli hanno garantito la sopravvivenza. 

Con una scrittura rabbiosa, l’autore riesce a filtrare la drammaticità di questa storia dall’occhio di questo bambino, la cui unica colpa era di non avere più una madre e di essere stato abbandonato dal padre.

Tutto diventava possibile, quando niente lo era mai stato. Colpire chi ci aveva picchiato, distruggere le panche che ci ferivano le carni, rompere i vetri che ci spiavano, rovesciare le nostre ciotole per cani, bruciare i nostri pagliericci, sfondare porte, abbattere muri delle docce [...]. (p. 107)
Non posso non notare quanto il nome Belle-Île-en-Mer contenga una contraddizione, perché lì non c’era niente di bello: né rieducazione (se mai ce ne fosse stato bisogno), né speranza né fiducia. Ogni detenuto era costretto a sottostare alle regole di un posto che sembra, almeno in teoria, lontanissimo dalla civilissima Francia e dagli ideali rivoluzionari, ma che, nei fatti, era ben accettato da tutta la comunità circostante. 
La furia è un pugno allo stomaco, una lettura da affrontare con calma perché non è facile accettare che siano esistiti posti del genere e soprattutto vite spezzate come quella di Jules, che incarna il destino di tutti quei bambini che furono mandati lì dai loro parenti, perdendo così l’opportunità di crescere in modo sereno e non riuscendo mai più a ritrovare la fiducia verso l’altro.

Giada Marzocchi