«Gli spiriti siamo noi»: “Le trafficanti di anime”, l’esordio gotico di Carmella Lowkis


Le trafficanti di anime
di Carmella Lowkis
Nord editore, agosto 2024

Traduzione di Claudine Turla

pp. 411
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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La vera abilità di un medium era proprio quella: saper allestire uno spettacolo credibile. (p. 78)

In una Parigi fangosa, la Baronessa Devereux trascorre la sua vita tra ricami, cucito e feste, fin quando non si affaccia alla finestra e nota una persona incappucciata dall’altra parte della strada. Se in un primo momento crede che sia un mendicante, ben presto comprende che la conosce benissimo: è infatti sua sorella Charlotte, di cui aveva perso ogni contatto molti anni addietro. Inizia così, con un probabile riavvicinamento, l’avvincente esordio di Carmella Lowkis, Le trafficanti di anime.

Le sorelle Mothe, Charlotte e Sylvie, non possono essere più diverse: se la prima è rimasta ad accudire il padre in fin di vita, l’altra si è rifatta una vita nuova, sposando un uomo facoltoso. Quando Charlotte si presenta nella lussuosa villa del barone Devereux, Sylvie non comprende il motivo della sua visita e soprattutto non vuole che la sorella rivanghi un passato che lo stesso marito le ha imposto di dimenticare. Charlotte e Sylvie, prima del matrimonio, erano due medium, o meglio, due attrici che truffavano persone suggestionabili, facendo finta di riuscire a contattare i morti. La richiesta di Charlotte è molto semplice: per permettersi le cure per il padre morente, ha bisogno di un ultimo colpo con la sorella, tanto da aver trovato una famiglia da ingannare, i De Jacquinot. Chi sono però questi malcapitati? I De Jacquinot sono una famiglia nobile decaduta che con la Rivoluzione francese (avvenuta più di novant'anni prima) hanno perso gran parte della loro ricchezza, tanto da isolarsi, per la vergogna, dalla società benestante dell’epoca. 

A casa De Jacquinot, sembra aggirarsi uno spettro di una zia morta durante la Rivoluzione, che avrebbe nascosto, almeno secondo il membro più anziano della casa - Ardoir -, un ingente tesoro che potrebbe risollevare le loro sorti. È da qui, da questa richiesta, che le sorelle Mothe tornano nel giro dello spiritismo. Fin da subito, però, si crea un problema: Sylvie, da sempre conscia che ogni manifestazione spiritica è in realtà un trucco, inizia a vacillare; in quella casa, infatti, sembra davvero che si stia manifestando «una forza soprannaturale» (p. 99). Lo spirito della zia, a ogni seduta, s’impossessa (o almeno così appare alla sorella maggiore) del membro più giovane della casa, Florence: «una ragazza esangue» che ricorda alle sorelle «un fiore appassito» (p. 36). È davvero così? Veramente lo spirito della zia aleggia tra quelle stanze o Sylvie è caduta vittima dei suoi stessi trucchi?

Non potevo lasciarmi spaventare dalle invenzioni della mia mente: se mi fossi ritarata in quel momento, quello che avevo creduto di vedere mi avrebbe perseguitato per sempre. [...] Non sei una codarda, mi dissi. Gli spiriti non esistono [...]. (p. 143)

Quello che è certo che in Le trafficanti di anime niente è come sembra: non c’è pace per nessuno dei protagonisti, che ruotano intorno a questi fantomatici spiriti né per le sorelle Mothe né per la famiglia De Jacquinot. Ognuno di loro ha qualcosa da nascondere e forse non è un caso che, proprio in quella casa, avvengano le presunte manifestazioni spiritiche. D’altra parte, è innegabile che il romanzo si muova per contrasti umani, sociali, reali o inventati che mettono ogni personaggio di fronte a colpe mai davvero espiate e che forse, solo nelle sedute spiritiche, trovano il modo di essere scoperti. 

Carmella Lowkis alterna diversi piani temporali attraverso il filo dello spiritismo, mostrando quando sia suggestionabile la mente umana. Se da una parte, lo spiritismo muove i fili di ogni personaggio; dall’altra, sono i rapporti famigliari a tracciare i contorni di questa storia. Ogni rapporto è vendicativo e disfunzionale e non può fare altro che chiedere il conto, aspettando una qualche risoluzione, anche lontana da quella immaginata.

Insinuare che avrei dovuto provare almeno un briciolo di devozione filiale nei confronti di nostro padre, dopo tutti i maltrattamenti che avevano patito, per anni e anni, prima di riuscire a fuggire... E d’un tratto il mio rifugio non era più al riparo: la vecchia vita poteva rientrare da un momento all’altro [...]. (p. 26)

Le trafficanti di anime è un romanzo stratificato, che può essere affrontato da diversi punti di vista: l’autrice oltrepassa le classiche dinamiche del genere gotico, raccontando una storia su quanto la mente umana sia vulnerabile, su quanto possano pesare i segreti su una famiglia e su quanto la vendetta possa logorare. Suggestione, fragilità, rancore e incertezza ruotano intorno a quello che alla fine dell’Ottocento e inizio Novecento era pratica comune, lo spiritismo. Allora, non rimane che chiedersi: «[...] di chi possiamo fidarci?» (p. 98).

Giada Marzocchi