di Ruggero Cappuccio
Feltrinelli, 2024
Di un personaggio ci interessa cosa ha fatto davvero e cosa avrebbe fatto se avesse potuto. Questa indagine è ciò che lo rende sempre vitale. Dopo tutto, la letteratura è la dimostrazione scientifica di fatti mai accaduti. (p. 361)
In questo modo, nella Nota dell'Autore, Ruggero Cappuccio ci offre la chiave d'accesso al suo personaggio Beatrice Mastrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò, ultima principessa di Lampedusa. Donna colta e volitiva, erede dei Filangeri e sposa di Giulio Tomasi di Lampedusa, Beatrice nacque principessa e visse la vita incantata e dorata nella Palermo liberty, ma anche una vita segnata da lutti privati e catastrofi sociali come il terremoto di Messina e due guerre mondiali. Morì un mese dopo la proclamazione della Repubblica Italiana, quando oramai non era più principessa, ma cittadina.
La sua vita quindi è la perfetta parabola della nobiltà siciliana e il tramonto di un sistema di valori, che verrà rappresentato magistralmente da suo figlio nel romanzo Il Gattopardo. Cappuccio segue, infatti, due spunti narrativi: il primo è la rappresentazione a tutto tondo di una figura femminile forte, che pur presentando una società oramai finita, passa il testimone al profilo di "donna nuova", impersonata nel romanzo dalla giovane Eugenia. L'altro spunto narrativo è cercare nel rapporto - fortissimo e a tratti anche patologico - tra Beatrice e il figlio Giuseppe, il nucleo ispiratore del capolavoro di Tomasi di Lampedusa.
Un'operazione che, in chiave leggermente diversa, era già stata compiuta da Steven Price, in Casa Lampedusa, ma che nel romanzo di Cappuccio si arricchisce dell'introspezione psicologica di un personaggio femminile magnetico e memorabile. Anzi: di due personaggi femminili, perché il romanzo ha le sue pagine più felici proprio nel rapporto fra Beatrice ed Eugenia, una giovane appassionata di stelle e pianeti che osserva Beatrice dalla finestra di fronte. Eugenia è magnetizzata dal carattere indomito della principessa, soprattutto perché patisce la libertà negata dalla sua famiglia, che l'ha costretta ad interrompere gli studi di Fisica e le vuole imporre un matrimonio combinato.
Entrambe erano risucchiate in un'intercapedine del tempo, che non consentiva a nessuna delle due di percepire il flusso delle ora; erano le dieci e mezzo. La sirena antiaerea suonò. La ragazza fuggì nel ricovero con tutta la sua famiglia. Alle undici il cielo si riempì di ventitré aerei Wellington che bombardarono la città fino a mezzanotte sganciando centinaia di spezzoni incendiari, settantasei bombe dirompenti e due bombe blockbuster da quattromila libre. E a mezzanotte, un ampio angolo del soffitto nel salotto rosso crollò poco lontano dalla poltrona di Beatrice, rivelando il cielo e la notte per un diametro di circa quattro metri. (p. 21)
Le pagine ci restituiscono la distruzione sistematica della bellezza nella Palermo del 1943 e, come simbolo di questo mondo "perduto" ma che cerca strenuamente di resistere, il palazzo Lampedusa, di cui la principessa davvero si fece temeraria custode.
Beatrice si sentiva giunta oltre l'estremo del possibile. Non c'era più niente che importasse sapere. La sensazione del presente era scomparsa. Guardava ciò che rimaneva, guardava ciò che rimaneva del passato e sentiva che il tempo non c'era più. Dal buco del soffitto poteva vedere anche una manciata di stelle. Non c'era più dentro e non c'era più fuori. Non c'era più ieri e non c'era più alcun domani. C'erano ancora la vita e la morte? Chissà. (p. 21)
Beatrice resta a difendere un passato che sa già ormai indifendibile, non solo perché ferito dalle bombe, ma travolto dalla storia. Sceglie due figure su cui puntare per il futuro: suo figlio che implora di raccontare quel passato, di salvare nella memoria della letteratura quella casa, di ricostruire un tetto simbolico in cui trovare riparo, dato che quello reale è distrutto.
Io farò il palo, Giuseppe farà la rapina alla banca della memoria. Sarà uno splendido furto. Pensi che bello poter rubare alla crudeltà del tempo, all'avarizia dell'oblio. (p. 70)
L'altra figura è Eugenia, a cui darà gli ultimi soldi rimasti, impegnando un gioiello raffigurante proprio il Gattopardo, lo stemma di famiglia. Con quei soldi Eugenia studierà fisica, guarderà le stelle proprio come il principe di Salina. Nelle ultime pagine del romanzo, anche Eugenia passerà il testimone alla nuova generazione, in un finale che non è bene svelare.
In un romanzo che si costruisce su differenti piani temporali e in cui ampi flashback restituiscono la vita della giovane Beatrice e del suo fugace amore per Ignazio Florio, l'intreccio è denso di eventi, di personaggi, di anticipazioni. A volte sorge il sospetto che forse vi è troppo e questo troppo rende talora indecidibile il tipo di storia che si vuole narrare: un romanzo storico, una biografia, uno spaccato di vita femminile nella metà del Novecento, ma anche elementi misteriosi e quasi fantastici, come l'incontro con il lupo.
Anche lo stile non ha una uniformità, alternando pagine di grande lirismo, che commuovono e incantano, ad altre in cui la ricerca di commuovere o dire la parola memorabile produce un effetto retorico a volte disturbante. Anche la scena del ballo, così pedissequamente analoga a quella de Il Gattopardo e alla sua meravigliose trasposizione cinematografica, risulta un utilizzo eccessivo del coup de théâtre.
Tuttavia, leggere La principessa di Lampedusa è un attraversamento di una storia ancora presente in Sicilia, che ci restituisce il fascino di "fantasmi" che ancora aleggiano in dimore nobiliari. La principessa Beatrice Tasca Filangeri di Cutò è di certo, insieme alle sue sfortunate sorelle e al suo figliolo così indolente e geniale, uno dei fantasmi con cui è più affascinante intrattenersi, per ascoltare le sue parole che ancora stupiscono e appaiono rivoluzionarie.
Deborah Donato