Tempo di trovare la propria voce per svelare segreti e farsi posto nel mondo: "Un grido di luce", di Abi Daré



Un grido di luce
di Abi Daré
Editrice Nord, 3 settembre 2024

Traduzione di Elisa Banfi 

pp. 384 
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Quando si legge La ladra di parole, sono almeno tre gli aspetti che colpiscono immediatamente: tanto per cominciare, la trasparente e innocente convinzione della giovanissima nigeriana Adunni che solo con un'istruzione adeguata ci si possa affrancare dal proprio destino, ovvero essere l'ennesima moglie di un uomo del villaggio. Poi, colpisce la dimensione del contesto sociale del villaggio di Ikati, a qualche ora di macchina da Lagos, ancora così fortemente legato alle tradizioni, in una società patriarcale povera, in cui le spose bambine sono la normalità, e non si contano le morti premature per il parto. Terza componente che da un lato schiaffeggia il lettore e dall'altro fa percepire tutto l'intento mimetico dell'opera è il linguaggio: nel romanzo originale, Abi Daré ricorre al broken English, una variante parlata da chi non è madrelingua e ha un bassissimo livello d'istruzione, per cui viene impiegato un lessico elementare e non risultano acquisite pienamente le strutture sintattiche, né talvolta quelle morfologiche. 

Queste tre componenti, che hanno certamente reso l'opera impossibile da dimenticare, tornano con ancora maggiore forza nel seguito, Un grido di luce, appena uscito in libreria per Nord, con la traduzione di Elisa Banfi, che ancora una volta ha accettato la sfida di rendere in un italiano apparentemente sgrammaticato lo specchio di quel broken English che appartiene ad Adunni e ad altri personaggi che conoscono a stento l'inglese. 

Si riparte da dove si era concluso La ladra di parole: nelle prime pagine infatti Adunni sta per realizzare il suo sogno di andare a scuola, grazie all'aiuto di Tia, la giovane donna che l'ha salvata dal suo destino di cameriera maltrattata a Lagos. La gioia di Adunni è pari alla gratitudine che dimostra nei confronti di Tia, che la ospita a casa sua, nonostante qualche perplessità da parte del marito Ken, che non capisce fino in fondo perché sua moglie si sia tanto affezionata a quella ragazzina. Mentre Adunni sta già accarezzando la sua divisa scolastica e conta le ore che la separano dall'arrivo a scuola, una delegazione di uomini di Ikati torna a prenderla: oltre ad aver abbandonato il tetto coniugale, la ragazza dovrà rispondere della morte di una giovane donna (non svelo il suo nome per chi non avesse ancora letto il primo romanzo). 

Benché Tia voglia far fuggire la sua giovane ospite, Adunni rifiuta: preferisce affrontare quella sorta di processo che la attende al villaggio, perché solo così potrà liberarsi da una colpa che non ha e camminare a testa alta. 

Se Adunni intende tornare per fare chiarezza e svelare segreti che lei non vuole avere, Tia, al contrario, segue la ragazza per proteggerla, ma anche per scappare almeno temporaneamente da sua madre. Quest'ultima, infatti, le ha tenuto nascosto per oltre vent'anni un segreto che ha condizionato fortemente la vita di Tia, e dunque, anche se l'anziana madre è ora in un letto d'ospedale, la figlia fatica a perdonarla e anche solo a rivederla. 

Segreti che fanno male, segreti che proteggono chi si ama, segreti che comportano enormi rischi, persino perdere la vita: sono tante le situazioni che Abi Daré mette in campo, perché tornare a Ikati permette ad Adunni e a Tia, tenute temporaneamente divise, di fare numerosissimi incontri - perlopiù femminili - e di raccogliere storie e testimonianze di chi ha dovuto seppellire realtà dolorose per andare avanti a vivere. Adunni, in particolare, si trova in un gruppo di altre ragazze che, come lei, dovranno essere giudicate e partecipare a un rituale (che ignoriamo a lungo cosa comporti) che contribuisca a far tornare la pioggia nel villaggio, ormai ridotto alla fame e alla sete. 

Dunque, da un lato assistiamo ad Adunni e alle sue chiacchiere con le altre ragazze, tenute isolate in attesa del rituale, in un conto alla rovescia sempre più ansiogeno, spezzato di tanto in tanto da ironia e racconti che suscitano l'empatia del lettore; dall'altro seguiamo la ricerca di Tia, che progressivamente si rende conto delle condizioni di povertà in cui versano gli abitanti di Ikati nonché della quotidiana battaglia silenziosa che le donne conducono per provare a ritagliarsi un piccolo spazio di libertà. Le aspirazioni, i desideri di una svolta o di emanciparsi sono pura follia ai loro occhi: quasi nessuna ha la tenacia e l'ottimismo di Adunni. 

Infatti, per quanto sia immersa in una situazione di pericolo, Adunni non rinuncia a sperare: anzi, decide di scrivere ciò che ha imparato perché un giorno i suoi piccoli insegnamenti possano essere d'aiuto a tante altre ragazze al villaggio. E il potere eternatore della parola scritta è un tema che regala pagine delicate e al tempo stesso potenti: l'innocenza di Adunni, vicina all'ingenuità, ha una vitalità e una bontà d'animo che sconvolgono. 

Nei pochi giorni in cui è ambientata la vicenda si susseguono tantissimi gli eventi, anche grazie al potere dei flashback e dei dialoghi. Attraverso questa composizione mista, Abi Daré realizza l'obiettivo di dare voce a chi non ne ha: le diverse storie delle ragazze e delle donne incontrate dalle due protagoniste permettono di affrontare temi quali la violenza domestica, i matrimoni in età infantile, le pratiche di infibulazione, l'analfabetismo altissimo nelle realtà rurali, i tanti pregiudizi verso chi desidera emanciparsi, i gravissimi problemi di siccità presenti nell'entroterra nigeriano e la scarsa attenzione delle istituzioni,... Ed è così, attraverso una narrazione che cede la parola ai vari personaggi, con umiltà di stile e immediatezza narrativa, che Abi Daré realizza un romanzo di denuncia e di sorellanza, in cui la speranza richiede non solo di parlare, ma, come vedrete, di ruggire davanti alle ingiustizie. 

GMGhioni