Il favoloso mondo di Marcel. "Clara legge Proust" di Stéphane Carlier



Clara legge Proust
di Stéphane Carlier
Einaudi, 2023

Traduzione di Ilaria Gaspari

pp. 168
€ 17,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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Non ho mai amato coloro che ti chiedono: «Qual è il libro che ti ha cambiato la vita?» perché mi sembra un assunto semplicistico e perfino kitsch immaginare che la lettura di un romanzo possa cambiare, da sola, una vita. Eppure, se c'è un libro che potenzialmente è in grado di modificare l'esistenza di un lettore, questo è proprio quello di Proust. Sulla convinzione che la lettura della Recerche cambi la vita si basa il delizioso romanzo di Stéphane Carlier, Clara legge Proust

A metà strada fra le atmosfere di Chocolat e quelle de Il favoloso mondo di Amélie, Clara legge Proust ci immerge con la leggiadria tipicamente francese nella vita sonnolenta di provincia, ponendo fin dall'inizio l'attenzione alle minuzie, alla normalità delle vite quotidiane e ai giorni uguali. Clara fa la parrucchiera da Cindy Coiffure, un piccolo salone, nemmeno alla moda. Come ogni salone di parrucchiere che si rispetti, anche da Cindy Coiffure le clienti raccontano le proprie vite, di scambiano consigli, ci si distrae seguendo i pettegolezzi più succulenti. La proprietaria è la signora Habib, che rimpiange la vita trascorsa a Parigi, di cui vuole senza riuscirci evocare l'eleganza e la grandeur. Le ore extra-lavorative non sono meno monotone per Clara: a casa la aspettano un fidanzato, JB, con cui oramai non vi è passione, e un gatto antipatico che non vuole essere coccolato. La domenica, ogni domenica, la visita e il pranzo dai genitori:

Domenica. Domenica, a mezzogiorno. Il tempo sembra dilatarsi come se la terra rallentasse deliberatamente la sua rotazione tra le 11.30 e le 16 domenicali. E poi la luce bianca che filtra dalle tende sottili alle finestre del soggiorno, i fermagli con le nappe che trattengono i drappeggi, il pollo con i fagiolini preparato da sua madre, il profumo che dalla cucina si spande nelle altre stanze e si mescola a quello della biancheria pulita e della cera per pavimenti. Tutto questo la commuove - la rassicura e la rattrista - ogni volta come se fosse una scoperta, anche se conosce ogni dettaglio da sempre, perché è cresciuta qui. (p. 32)

Questa tranquillità, questo mondo ovattato tra la Saona e la Loira, le fa però sorgere le domande: «È questo il massimo, il culmine di tutto? È vero che non saremo mai più felici di così?» (p . 33). Tutto cambia un mercoledì, quando al salone, a metà pomeriggio, arriva un uomo forestiero, che Clara immagina possa essere un attore, dai gesti ampi e nervosi, che chiede un taglio dritto, pulito. Quest'uomo lascerà sul sedile un libro tascabile, che Clara raccoglierà e terrà per sé. Resta colpita da una frase sottolineata da un tratto di biro blu: Avete una bella anima, d'una qualità preziosa, una natura d'artista, fate che non manchi di ciò che le è necessario.

Una semplice sottolineatura o un messaggio rivolto a lei? Clara smette di domandarselo per ben cinque mesi, ventinove giorni, due ore e quarantasette minuti dopo avere deposto il tascabile fra i pochi libri presenti nella sua libreria. Solo cinque mesi dopo, in una sonnolenta e solitaria domenica di marzo, mentre il fidanzato era fuori, dopo aver girovagato su Instagram, avere telefonato alla madre, preparato un poco di té, Clara ricorda il misterioso cliente del salone di qualche tempo fa. Allora prende il libro in mano:

All'inizio, niente. Nada, nothing, nichts. Una prima frase sentita mille volte, come uno slogan pubblicitario o il ritornello di una canzoncina infantile, e poi il buio. Le parole sono formichine in fila davanti ai suoi occhi. Si parla di Francesco I, di Carlo V, e di metempsicosi. Francesco I è un re di Francia. Carlo V è già più oscuro. Quanto a metempsicosi, non può averla sentita neanche per sbaglio al salone o in bocca a JB. Che razza di libro è questo? (p. 51)

La tesi di fondo del libro non è mascherata: Proust arriva a tutti, anche alle semplici ragazze che fanno le parrucchiere in provincia. Non è necessario essere intellettuali, studiosi o specialisti per subire la malia del gran Marcel. Non è casuale che a veicolare ai lettori italiani il romanzo di Carlier sia la traduzione di Ilaria Gaspari, proustiana doc, che ha dedicato allo scrittore francese un superbo podcast, Chez Proust, che aveva come "missione" di liberare i lettori dalla soggezione che un romanzo quale Alla ricerca del tempo perduto incute. In concomitanza con il centenario della morte di Marcel Proust (2022) accanto alle pagine critiche e alle indagini filologiche e accademiche, è importante che si sia posta anche l'esigenza di "sdoganare" Proust dalla vulgata di un autore antiquato, difficile, lento, adatto solo a palati snob. Proust, che una volta per Clara era un nome come Capri, San Pietroburgo, «dove era sottinteso che non avrebbe mai messo piede».

E poi, perché nasconderlo, è fiera di sé, e nemmeno poco: legge Alla ricerca del tempo perduto. È in grado di leggerlo. Non è una sciocchezza [...] E il fatto che sia successo così, per puro caso, per semplice curiosità, alimenta la sensazione di trionfo che cresce dentro di lei. (p. 54)

E pian piano tutto inizia a cambiare. Non solamente Clara dimentica magari di preparare la cena per JB e mentre lui parla, lei pensa a Combray, a quel bambino che si strugge per il mancato bacio della buonanotte della mamma, ma ben presto i clienti del salone divengono maschere che rimandano ai personaggi proustiani. Una ride come Madame Verdurin, l'altra si atteggia a Oriane de Guermantes, la collega del salone, Nolwen, le fa pensare a Françoise. 

E alla fine ha capito: questo libro è così immenso, tocca così tante questioni che è quasi impossibile, per chi lo legge, non guardare tutto il mondo attraverso quel prisma. Qualsiasi piccola cosa diventa una cosa proustiana. Un grappolo di glicine, il viola dei suoi fiori contro il verde delle foglie. Il pulviscolo sospeso nella lama di luce che fende il buio di una stanza. (p. 90)

Clara comprende l'essenziale sull'esperienza che ogni lettore fa quando incontra l'opera di Proust:

Con Proust, ha l'impressione di vedere tutto. Per forza: perché lui le mostra il mondo visibile nei suoi infiniti dettagli, e gliene mostra anche un altro, segreto, ma immenso e potente, che impone la sua legge e la sua volontà al primo, dietro il quale si nasconde: la realtà psichica, psicologica, di ogni essere. (p. 74)

Il tempo trascorso a leggere Proust, dice bene Stéphane Carlier, «è un tempo conquistato: un furto commesso dall'intelligenza, non un furto ai suoi danni». A questo punto Clara è pronta ad una conversione. Dopo essere stata lasciata da JB, e da lui tradita, scopre la forza di quella gelosia così icasticamente tratteggiata da Proust quando parla dell'amore di Swann per Odette prima e quello di Marcel per Albertine dopo. Ma proprio perché è passata attraverso Proust, sa che la gelosia  è la causa e non l'effetto dell'amore, quindi sa pure che 

la persona che crediamo di amare non ha nulla a che fare con la persona reale, che la desideriamo perché ci sfugge ma che, una volta che ci appartiene, non capiamo neanche più cos'è che ce la faceva desiderare tanto; che siamo irrimediabilmente soli, in ogni caso, e che dunque, in amore, ci sono solo due alternative: o si soffrono le pene dell'inferno, o ci si annoia a morte. (p. 102)

L'educazione sentimentale di Clara passa attraverso Proust e, mentre i suoi occhi macinano pagine su pagine e scalano l'opera-cattedrale, decide di leggere a voce alta Proust. Prima per una vecchietta, poi in piazza, in un festival. Se già aveva sperimentato che Proust, con la sua narcisistica richiesta di totale dedizione e concentrazione, con il suo ritmo lento, era il suo yoga personale,  adesso Clara scopre il ruolo liberatorio e terapeutico della lettura a voce alta, per vincere le proprie insicurezze, per mettersi in gioco, per esporre le proprie emozioni. 

Non svelo il finale, perché è giusto che ognuno scopra da sé a quali vie impensate possa condurci Marcel Proust, che calmo calmo, addentando madeleine e rigirandosi sul letto, ci dispiega universi.

Deborah Donato