Ucronia
di Emmanuel Carrère
Adelphi, settembre 2024
Traduzione di Federica Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco
pp. 160
€ 14 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
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In questo momento sono seduto alla scrivania e batto a macchina le pagine che state leggendo. Comincia a fare buio, schiaccio l'interruttore per accendere la lampada, rapporto causale poco discutibile, per inciso. Avrei potuto non farlo, o farlo tra cinque minuti. Sarebbe uno scarto minimo in quella minima parte della storia che è la mia storia privata. E tuttavia: l'ordine di ciò che è stato risulterebbe alterato da quei cinque minuti di ritardo, dovuti alla mia pigrizia, alla mia distrazione o alla mia avarizia, poco importa. Supponendo che siano soddisfatte tutte le condizioni della causalità perfetta (quindi che tutto torni), con una buona dose di talento, di immaginazione e di gusto della catastrofe, un romanziere potrebbe ricostruire la concatenazione implacabile che dall'alterazione di quel fatto insignificante conduce per esempio alla terza guerra mondiale. (pp. 114-115)
Perché Carrère ha scritto di ucronie? Principalmente per un interesse studentesco.
Era alla ricerca di un tema letterario di cui si sapesse poco allora ed ecco che si è imbattuto in un genere che è stato nel tempo meno esplorato, percorso, studiato. Uno studio che allora era "ancora tutto da scrivere".
A differenza dell'utopia, che ha trovato spazio e comprensione più trasversali come la tensione a raccontare qualcosa che non esiste in nessun luogo, l'ucronia ragiona su ciò che non sta in nessun tempo e, come tale, vive al di fuori dei flussi canonici della storia. Peccato che una simile definizione non basti a descrivere un processo che è cangiante come "una scheggia di vetro opaco caduta in un terreno abbandonato" (p. 139), perché in realtà l'ucronia con la storia c'entra eccome: si corteggiano, ballano insieme in una danza di destini e universi potenziali in cui l'intento - malinconico o scandaloso che dir si voglia - è cambiare ciò che è stato. Da queste premesse parte Carrère analizzando quali motivazioni si celino dietro il proposito di immaginare come sarebbe il mondo se determinati eventi fossero andati diversamente, un esercizio che non vive solo nella penna dei letterati ma anzi è fortemente radicato nella mente umana come tensione frequente, spinta quasi naturale, tendenza comune sia nelle discussioni con gli altri che con se stessi.
In questo breve saggio, agile e sciolto come una chiacchierata, lo studente-futuro scrittore ripercorre alcune tappe della storia del genere, a partire da quella che viene ritenuta (almeno in Francia) la prima ucronia letteraria di una certa levatura, Napoleone apocrifo. Storia della conquista del mondo e della monarchia universale. 1812-1832 di Louis-Napoléon Geoffroy-Chateau, la storia di vent'anni di grandezza che conducono il grande Bonaparte a una gloria universale, diremmo divina, in un susseguirsi di vicende e battaglie che non vanno sempre come raccontano i libri di storia.
Un'ucronia "trionfante, trionfale", senza disfatta, un atto di fede un po' ingenuo, forse, a cui seguono poi altri esperimenti come Ucronia di Charles Renouvier, Ponzio Pilato di Roger Caillois, i racconti L'altra morte di Jorge Luis Borges e Se Luigi XVI avesse avuto un po' più di fermezza di André Maurois, La svastica sul sole di Philip Dick.
Da qui ci troviamo con Carrère a passeggiare tra varie ucronie, analizzando i sentimenti che le muovono: una battaglia di Waterloo da cui Napoleone esce vittorioso, Ponzio Pilato che decide di salvare Cristo determinando così per il Cristianesimo a un destino diverso da quello che conosciamo, mondi in cui il nazismo ha vinto e si eseguono cacce all'uomo.
Snodi del tempo che ci parlano di un bisogno di fuga, di riscrittura, di conversione del reale in forme altre, snodi di vite che ci dicono che l'uomo non può certo far sì che avvenga quanto non è stato ma è mosso da un certo bisogno di immaginarlo.
L'ucronia non nasce mai da una volontà scontata - come l'utopia che vuole disegnare mondi migliori - ma si lega fortemente alle singolari motivazioni d'animo di chi scrive. Per questo nel volume viene apostrofata a volte come malinconica, altre come coraggiosa, ironica e folle, senza tralasciarne l'utilizzo a fini politici e di controllo (si pensi alle narrazioni ucroniche dei regimi).
Solleva domande che non sono inerenti solo agli avvenimenti storici, ma anche alla letteratura come specchio riflettente, materia prima nelle mani di Carrère:
Se Gesù, Napoleone, Shakespeare o François Coppée non fossero esistiti, se solo l'acqua, le rose, la passione amorosa, la morte e i dispiaceri quotidiani fossero uguali a quelli che conosciamo - perché l'ucronia, almeno finora, non influisce più di tanto su di loro -, Villon, Rilke, Mallarmé avrebbero scritto gli stessi versi? È facile immaginare di no, ma allora quali? (p. 129)
Claudia Consoli
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