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Infinite storie potenziali come schegge di vetro opaco su terreni abbandonati: "Ucronia" di Emmanuel Carrère

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Ucronia
di Emmanuel Carrère
Adelphi, settembre 2024 

Traduzione di Federica Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco

pp. 160
€ 14 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)

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In questo momento sono seduto alla scrivania e batto a macchina le pagine che state leggendo. Comincia a fare buio, schiaccio l'interruttore per accendere la lampada, rapporto causale poco discutibile, per inciso. Avrei potuto non farlo, o farlo tra cinque minuti. Sarebbe uno scarto minimo in quella minima parte della storia che è la mia storia privata. E tuttavia: l'ordine di ciò che è stato risulterebbe alterato da quei cinque minuti di ritardo, dovuti alla mia pigrizia, alla mia distrazione o alla mia avarizia, poco importa. Supponendo che siano soddisfatte tutte le condizioni della causalità perfetta (quindi che tutto torni), con una buona dose di talento, di immaginazione e di gusto della catastrofe, un romanziere potrebbe ricostruire la concatenazione implacabile che dall'alterazione di quel fatto insignificante conduce per esempio alla terza guerra mondiale. (pp. 114-115)

Emmanuel Carrère torna in Italia con un nuovo libro.
Un ritorno al passato, sarebbe più corretto dire, considerando che questa Ucronia nasce negli anni giovanili dell'autore come tesi di laurea ed è stata pubblicata in Francia nel 1986.
Ma per noi lettori, soprattutto per quelli che negli anni non hanno perso nessuna delle sue pubblicazioni, è il ritorno a una versione insieme passata e, in qualche strano modo, anche nuova dello scrittore. Sbirciamo nel suo laboratorio creativo originario, cerchiamo di capire un po' come fosse il Carrère degli inizi, prima de L'Avversario, di Limonov e degli altri libri che gli hanno dato la fama di autore ammirato, sempre al confine tra narrazione esteriore e spazi personali, letteratura e vanità, esposizione e sovraesposizione. 

Perché Carrère ha scritto di ucronie? Principalmente per un interesse studentesco.
Era alla ricerca di un tema letterario di cui si sapesse poco allora ed ecco che si è imbattuto in un genere che è stato nel tempo meno esplorato, percorso, studiato. Uno studio che allora era "ancora tutto da scrivere".
A differenza dell'utopia, che ha trovato spazio e comprensione più trasversali come la tensione a raccontare qualcosa che non esiste in nessun luogo, l'ucronia ragiona su ciò che non sta in nessun tempo e, come tale, vive al di fuori dei flussi canonici della storia. Peccato che una simile definizione non basti a descrivere un processo che è cangiante come "una scheggia di vetro opaco caduta in un terreno abbandonato" (p. 139), perché in realtà l'ucronia con la storia c'entra eccome: si corteggiano, ballano insieme in una danza di destini e universi potenziali in cui l'intento - malinconico o scandaloso che dir si voglia - è cambiare ciò che è stato. Da queste premesse parte Carrère analizzando quali motivazioni si celino dietro il proposito di immaginare come sarebbe il mondo se determinati eventi fossero andati diversamente, un esercizio che non vive solo nella penna dei letterati ma anzi è fortemente radicato nella mente umana come tensione frequente, spinta quasi naturale, tendenza comune sia nelle discussioni  con gli altri che con se stessi. 

In questo breve saggio, agile e sciolto come una chiacchierata, lo studente-futuro scrittore ripercorre alcune tappe della storia del genere, a partire da quella che viene ritenuta (almeno in Francia) la prima ucronia letteraria di una certa levatura, Napoleone apocrifo. Storia della conquista del mondo e della monarchia universale. 1812-1832 di Louis-Napoléon Geoffroy-Chateau, la storia di vent'anni di grandezza che conducono il grande Bonaparte a una gloria universale, diremmo divina, in un susseguirsi di vicende e battaglie che non vanno sempre come raccontano i libri di storia.
Un'ucronia "trionfante, trionfale", senza disfatta, un atto di fede un po' ingenuo, forse, a cui seguono poi altri esperimenti come Ucronia di Charles Renouvier, Ponzio Pilato di Roger Caillois, i racconti L'altra morte di Jorge Luis Borges e Se Luigi XVI avesse avuto un po' più di fermezza di André Maurois, La svastica sul sole di Philip Dick. 
Da qui ci troviamo con Carrère a passeggiare tra varie ucronie, analizzando i sentimenti che le muovono: una battaglia di Waterloo da cui Napoleone esce vittorioso, Ponzio Pilato che decide di salvare Cristo determinando così per il Cristianesimo a un destino diverso da quello che conosciamo, mondi in cui il nazismo ha vinto e si eseguono cacce all'uomo
Snodi del tempo che ci parlano di un bisogno di fuga, di riscrittura, di conversione del reale in forme altre, snodi di vite che ci dicono che l'uomo non può certo far sì che avvenga quanto non è stato ma è mosso da un certo bisogno di immaginarlo. 
L'ucronia non nasce mai da una volontà scontata - come l'utopia che vuole disegnare mondi migliori - ma si lega fortemente alle singolari motivazioni d'animo di chi scrive. Per questo nel volume viene apostrofata a volte come malinconica, altre come coraggiosa, ironica e folle, senza tralasciarne l'utilizzo a fini politici e di controllo (si pensi alle narrazioni ucroniche dei regimi).
Solleva domande che non sono inerenti solo agli avvenimenti storici, ma anche alla letteratura come specchio riflettente, materia prima nelle mani di Carrère:

Se Gesù, Napoleone, Shakespeare o François Coppée non fossero esistiti, se solo l'acqua, le rose, la passione amorosa, la morte e i dispiaceri quotidiani fossero uguali a quelli che conosciamo - perché l'ucronia, almeno finora, non influisce più di tanto su di loro -, Villon, Rilke, Mallarmé avrebbero scritto gli stessi versi? È facile immaginare di no, ma allora quali? (p. 129)
Ucronia ci conferma che, pur senza essere ancora diventato lo scrittore delle vite degli altri, Emmanuel Carrère esplorava già quegli svincoli che tutti imbocchiamo ogni giorno con le nostre scelte - anche le più piccole - e che conducono a tunnel esistenziali che si aprono su altri svincoli ancora, in una traiettoria potenzialmente infinita.
Ramificazioni del nostro libero arbitrio, di quella dialettica di incontro e scontro tra causale e casuale su cui abbiamo troppe domande e poche risposte. Sono giochi mentali che partono dalle storie che conosciamo traducendole in universi paralleli e complementari ai nostri; a volte ci danno temporanea gioia e sollievo, altre tristezza e rimpianto. Una cosa è certa: di fronte a questi scenari mai esistiti (o forse sì?) le nostre emozioni sono più reali che mai. E questo è quello che conta di più. 


Claudia Consoli