Due donne tra le pieghe della storia: Denise Pardo e Tracy Chevalier a Wunderkammer 2024


La terza e ultima giornata del Festival ospita due scrittrici che hanno in comune la passione per la storia e per il modo in cui si riflette sul presente, dentro e fuori dalla realtà romanzesca. 

La tolleranza contava più dell’osservanza”, recita una frase tratta da La casa sul Nilo, romanzo-memoir di Denise Pardo che riporta alla sua infanzia egiziana. L’autrice è infatti nata al Cairo, ma la sua famiglia è stata costretta a lasciarlo pochi anni dopo a cause del clima di intolleranza progressivamente diffusosi nei confronti degli stranieri. Questo cambiamento spezza qualcosa in una città che stava attraversando un momento d’oro, di grande fioritura, non solo economica, ma anche sociale e artistica. 


Nel dialogare con Alessandra Tedesco, Pardo racconta inizialmente della natura composita della sua famiglia, multiculturale come molte altre nel Cairo del tempo: il padre era italiano, la mamma francese, i nonni venivano da Odessa, da dove erano fuggiti dopo la Rivoluzione bolscevica. Una storia, la loro, che riuniva molte origini, molte radici, ma questo non rappresentava alcun problema nella realtà cosmopolita, variegata e animatissima del capoluogo egiziano. “Il fanatismo religioso non faceva parte del DNA del Cairo”, si legge nel romanzo, anzi, nei primi anni di Denise si respira in città un clima di grande armonia. I primi insegnamenti ricevuti le parlano infatti di rispetto per l’altro (“non solo tolleranza, che implica già un certo senso di superiorità”), di accettazione di una diversità che è possibilità di arricchimento. L’alchimia in cui gli elementi di combinano in un insieme armonico per la famiglia di Denise passa anche attraverso il multilinguismo, abitualmente praticato in casa. 

Lentamente però qualcosa inizia a cambiare, e questo genera un senso di inquietudine, legato anche al fatto che sia un movimento sottile, quasi impercettibile, ma che si sente inesorabile. 


Nel romanzo, la storia d’amore tra l’inglese Kate e l’egiziano Mohammed Hafez mostra il modo in cui la “magica armonia” inizia a scricchiolare, pur volendo mantenere una integrità di facciata. Mohammed ha una doppia anima, è legato al mondo occidentale, ha tanti amici e ama una donna di origini europee, ma va in crisi quando le cose al Cairo iniziano a cambiare, quando gli viene imposto di considerare lo straniero un nemico. Le idee di fondo del generale Nasser erano giuste, quando nel volere un Egitto più libero si rifacevano al concetto di “autodeterminazione dei popoli”, ma hanno delle implicazioni pesantissime nel momento in cui vengono estremizzate e danno origine a fenomeni di intolleranza. Ne La casa sul Nilo, il conflitto politico viene rispecchiato proprio dalle idee di Hafez, che si fa portavoce delle promesse tradite del mondo occidentale. È la sensazione di questo tradimento, dilagante, a portare alla chiusura. La Storia con la S maiuscola si inserisce nella storia più piccola della famiglia Pardo, che inizia a presentire il cambiamento. Si tratta di una consapevolezza progressiva e difficile da decifrare: “erano piccoli episodi striscianti, anche nella vita quotidiana, quando si andava a fare la spesa… era cambiata l’atmosfera”, spiega l’autrice. Poi sono cominciate le violenze, le leggi, sono stati creati i campi di internamento, la gente ha iniziato ad andarsene… “Mio padre fino all’ultimo non voleva capire, non riusciva ad accettare questo cambiamento”, aggiunge. L’allontanamento è uno strappo doloroso, tanto che in casa Pardo anche in seguito se ne parla con difficoltà. 


Quando nel 1961 la famiglia di Denise lascia Il Cairo per Roma, il mutamento è radicale e passa attraverso la percezione cromatica di una bambina di cinque anni: “Il Cairo era giallo, Roma bianca”, recita l’incipit del romanzo, e in questo scarto c’è la sintesi di un profondo spaesamento culturale. “Io mi sentivo niente, nel paese degli sconosciuti”, prosegue. Oggi, però, Denise si è riappropriata della sua identità, che sente fortemente (anche se non esclusivamente) italiana. 

Oggi il tema delle radici viene spesso ideologizzato, può essere una risorsa, o diventare gabbia”, indaga a un certo punto Tedesco. Pardo racconta di aver avuto per anni difficoltà ad ammettere le proprie origini, di averne avuto paura. Al suo arrivo in Italia, ha trovato infatti un clima molto chiuso, e non voleva ammettere di essere nata altrove, voleva semplicemente essere come gli altri bambini. Oggi pensa invece che l’identità sia qualcosa di prezioso, da coltivare, ma che non deve diventare un baluardo, una trappola. 

L’autrice spiega anche che inizialmente avrebbe voluto scrivere un saggio e che, se pure ha finito per scrivere un romanzo, da questo tuttavia emerge chiaramente il quadro storico che le premeva restituire. “I romanzi creano l’immaginario culturale delle persone, sono quindi importantissimi; rimangono dentro di te, formano la tua persona”, commenta. “Il racconto può alimentare la speranza, anche - forse soprattutto - in un presente in cui una parte di mondo ci è sottratto”.


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A questa speranza, alla fiducia nel potere trasformativo delle parole, rimanda anche l’incontro con Tracy Chevalier, che chiude la rassegna insieme a Benedetta Parodi. Le due donne, che indossano collane di perle di vetro realizzate da un’artista di Murano, Amy West, entrano in una sala gremita. L’accoglienza calorosa muove la commozione dell’ospite, che dichiara subito di essere ritornata con gioia a Verona, dove era stata per la prima volta trent’anni fa, in luna di miele. 

Il suo ultimo romanzo, La maestra del vetro, è ambientato in Italia, proprio sull’isola di Murano, e riprende alcuni elementi cari all’autrice: il fondale storico e figure femminili forti che combattono per la propria realizzazione. In questo volume, al centro della narrazione è la famiglia Rosso, una famiglia di artigiani vetrai; la figlia Orsola non è destinata a lavorare il vetro in quanto donna, ma alla fine riuscirà a farlo grazie alla sua straordinaria forza di carattere. 

L’ispirazione per la composizione della storia, racconta Chevalier, viene da un suo lettore, Giorgio Teruzzi, che l’aveva invitata a interessarsi delle perle di vetro veneziane. Per farlo, ha dovuto leggere molti volumi specialistici e studiare intensamente, ma soprattutto ha deciso di recarsi personalmente a Murano per osservare sul campo come si lavora il vetro. Ha quindi cercato di entrare nella fucina, per vederne non solo gli aspetti più pittoreschi o scenografici, ma anche la dura vita dell’artigiano. “Ogni libro richiede che ci si fissi un dettaglio nella mente”, spiega. Per lei è stato un vetraio, nella fornace, che accendeva una sigaretta poggiandola al vetro ardente. “Dettagli come questi non si trovano nei libri, ma sono ciò che dà vita alle storie”. Oltre a questo, aggiunge, la sua gratitudine va a Amy West, splendida maestra del vetro, che le ha dischiuso i segreti del mestiere. 


Nello scrivere una storia, Tracy Chevalier inizia sempre dai personaggi: “Io sono partita dal desiderio di scrivere di una donna che lavorava il vetro, ma non sapevo ancora di quale donna avrei scritto. Ho scelto di non utilizzare un personaggio reale, perché il fatto che esista una biografia è molto limitante. Ho attinto da una figura storica, quella di Maria Barovier, mentore di Orsola, ma poi ho scelto di focalizzarmi su quest’ultima. Quando inizi a scrivere non conosci i tuoi personaggi molto bene, ma dopo che ci hai passato molto tempo, e molte pagine, inizi a conoscerli di più”. Nel romanzo, poi, compaiono anche delle figure storiche, come Casanova, o Giuseppina Bonaparte… Napoleone aveva conquistato Venezia, e per capire cosa farne aveva inviato la moglie, racconta la scrittrice. I veneziani si erano molto impegnati per dispiegare la meravigliosa efficienza di Venezia, nella speranza di poter mantenere la loro autonomia. Chevalier ha pensato a come far incontrare Giuseppina e Orsola, e ha pensato all’espediente di una collana. È volontà dell’autrice infatti far interagire i personaggi con i fatti storici reali


Questo le riesce anche grazie all’adozione di un particolare espediente narrativo: far scorrere il tempo a una velocità diversa a Murano e nel resto del mondo. Laddove sull’isola il tempo scorre lento, nel resto del mondo scorre velocissimo, portando la narrazione dal Rinascimento fino al tempo del Covid.  Volevo parlare della storia di Venezia e coprire un periodo di tempo molto vasto, dall’epoca della sua grandezza al tempo del suo declino. Volevo poi seguire la storia di una singola famiglia. Sapevo però che, attraversando il tempo, i membri di questa famiglia sarebbero dovuti morire… ma io non volevo morissero, non dopo che io e i lettori ci eravamo affezionati a loro. Ho quindi deciso semplicemente di non farli morire. I personaggi sono come sassi che saltano sull’acqua, un rimbalzo in ogni secolo. Non so se loro ne sono consapevoli, ma anche se lo sanno non gli interessa, loro sono muranesi, e tanto basta. Questo espediente mi ha permesso di esprimere anche come mi sento oggi, quando vado a Venezia”. 

Uno dei personaggi più belli, all’interno del romanzo, è quello di Domenico, un gondoliere di origini africane. Parodi chiede quale sia la sua origine. L’ispirazione viene da “Il miracolo della Vera Croce al Ponte di Rialto” di Carpaccio, conservato alle Gallerie dell’Accademia. “Quando l’ho visto - una tela di grande formato, piena di personaggi -, sono rimasta colpita da un gondoliere africano. Questo fatto mi ha incuriosita e, studiando, ho scoperto che probabilmente era uno schiavo. Ho saputo subito che volevo fosse uno dei personaggi, per ricordare che Venezia è sempre stata profondamente internazionale, e poi perché la sua storia, quella di un uomo che cerca di ottenere la sua libertà in una realtà in qualche modo soffocante, mi sembrava un buon contrappunto alla storia di Orsola, che combatteva una battaglia simile, ma dall’interno”. 


Uno dei temi che preme all’autrice è quello della solidarietà femminile, specialmente in contesti dove le donne non hanno molto spazio di affermazione. Anche oggi, del resto, la realtà dei vetrai di Murano è prevalentemente maschile… le donne che riescono ad affermarsi, spesso lo fanno anche grazie al supporto di altre donne. 


Il "dream team" di Neri Pozza sul palco
a fine giornata
Grande appassionata di Rinascimento, se potesse tornare in un’epoca storica a sua scelta, Chevalier sceglierebbe una cittadina del nord Italia di quel periodo (non Venezia, perché ormai la conosce già…). Forse anche per questa simpatia per il passato scrive i suoi romanzi a penna, su un taccuino, sul suo divano. Solo la sera trascrive tutto al computer. Per lei è molto importante la dimensione fisica, ritiene la scrittura un processo organico, che passa attraverso l’interazione con la carta. 

Perché non scrivi mai opere che parlano del contemporaneo? É un modo per tornare indietro nel tempo, o per trovare delle somiglianze tra la storia e l’attualità?” chiede in conclusione Parodi.

 “Ci sono un sacco di bravissimi scrittori che parlano del nostro tempo, io volevo fare qualcosa di diverso. Inoltre, in maniera un po’ egoistica, ho deciso di trovare nella scrittura un modo per evadere dalla realtà. Spero che sia lo stesso anche per i lettori. Anche perché credo sia importante sapere cosa è successo prima di noi, capire da dove veniamo. Che non siamo puntini nel nulla, ma che prima di noi ci sono state tante persone che ci hanno fatto arrivare dove ci troviamo. Io cerco di costruire ponti tra il passato e il presente, e magari anche suscitare l’idea dell’importanza di conoscere e rispettare la storia”, conclude.


A cura di Carolina Pernigo