«Ero terra di nessuno, come la montagna»: "Figlia del temporale" di Valentina D'Urbano


Figlia del temporale
di Valentina D'Urbano
Mondadori, settembre 2024

pp. 312
€ 20 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)


Cosa si può fare se la tua famiglia adottiva sceglie un marito a cui affidarti per il resto della vita? Hira si trova davanti a questa terribile domanda a vent'anni, dopo sette anni circa in cui è stata cresciuta e ospitata dallo zio Ben e dalla zia Lena, trascorrendo il suo tempo insieme ai cugini, Danja, di poco più grande di lei, e Astrit, suo coetaneo. Quando è arrivata nel paesino montano di Senjë, orfana, nel 1974, ha faticato ad ambientarsi, abituata com'era alla vita di Tirana, all'istruzione, ai bei vestiti e alle comodità di casa. Qui, invece, gli abitanti locali fanno i conti con mesi di freddo insopportabile, case rustiche ed essenziali come vuole il governo comunista che limita qualsiasi lusso, lavori manuali che occupano gran parte della giornata per un minuscolo tornaconto. In questa dimensione ancora fortemente patriarcale, le donne stanno crescono i figli, badano alle pulizie e allevano gli animali, cucinano e servono gli uomini della famiglia senza battere ciglio. Agli uomini è concesso di ritrovarsi in una bettola a bere e giocare, facendo quelli che sono definiti "discorsi da uomini", senza cedere alla manifestazione dei propri sentimenti. 

Hira però ha un'idea ben chiara in testa: non è questo che vuole per il suo futuro, non se la sente di accettare passivamente le decisioni dello zio Ben senza aver voce in capitolo. D'altronde vede come vive sua cugina Danja da quando si è sposata: coglie nel suo sguardo basso e remissivo la consapevolezza di non potersi ribellare, perché le regole sono così e secondo la maggior parte delle donne è normale adattarsi alla nuova vita imposta dalla famiglia («Dobbiamo sempre spezzarci in qualche punto. Intere non andiamo bene, intere non ci possono sopportare», p. 239). 

Questa prospettiva, invece, è lontana da Hira, dalla sua educazione, dalle aspirazioni di libertà che nutre, suo malgrado. E poi negli occhi di Hira c'è l'esempio fulgido di Astrit, il cugino che, pur avendo la sua stessa età, gira nel bosco di Maja i Narreth seguendo il suo istinto ferino e selvatico. Molti avrebbero paura dei lupi e delle tante storie di morte e scomparsa che si raccontano in paese, nonché delle restrizioni imposte dal governo (il bosco, infatti, si trova praticamente al confine settentrionale dell'Albania, che è proibito valicare). Ma lui non teme la sua dimensione naturale: porta ovunque con sé l'odore del bosco, avvezzo a tutto, persino al freddo e ai pericoli della montagna. Hira ammira quel cugino che per tanti anni non ha parlato, in seguito a un evento che si spiegherà nel corso della narrazione, e anche Astrit la ricambia come può, sfregandole il volto con il suo, con baci che sembrano morsi. 

Per queste e per altre ragioni che si comprenderanno via via nel romanzo, Hira non accetta di sposare un uomo che non conosce, impostole dalla famiglia, e trova la possibile soluzione - definitiva e tremenda - nel Kanun, un codice tradizionale della montagna. Secondo il Kanun, una donna può decidere di diventare una burrnesh, ovvero una "vergine giurata", decisione irrevocabile, che comporta la rinuncia completa della propria femminilità per abbracciare una vita da uomo ribattezzandosi con un nome maschile e vivendo nella castità. Questo salverebbe il buon nome della famiglia, perché così Hira potrebbe evitare il matrimonio senza infangare la reputazione di suo zio, ma è davvero disposta a rinunciare per sempre a condividere il proprio corpo con qualcun altro? 

Non è semplice arrendersi a questa decisione così definitiva, ma il Kanun le consentirebbe di diventare «né uomo né donna, entità sperduta e irriconoscibile, creatura libera» (p. 260), oltre che di rispondere così ogni volta che le verrà chiesto chi si prenderà cura di lei:

«Chi prenderà le decisioni? Chi ti proteggerà? Chi si prenderà cura di te, quando sarai vecchia?»
«Io prenderò le decisioni. Mi proteggerò da solo. Baderò a me quando sarò vecchio» (p. 205)

Figlia del temporale mette al centro il corpo ma anche le tante responsabilità che una giovane donna porta con sé: essere fedele a sé stessa e ai sentimenti che prova, ma nel rispetto della famiglia che l'ha cresciuta. Le oscillazioni di Hira tra il suo essere e il dover essere agli occhi della comunità sono una costante, perché nessuna decisione tanto brutale può essere presa con leggerezza. Perché il resto del paese è lì che guarda, che giudica, ma è anche pronto ad accogliere una vergine giurata, ad accettare il suo nuovo nome e a rispettare una scelta degna di rispetto. 

Ammantato di sensualità e di ferinità al tempo stesso, Figlia del temporale testimonia una grande crescita della scrittura di Valentina D'Urbano: ancora materica quando serve, la sua penna sa volare lontano per raccontarci una storia di libertà e di indipendenza, che rischia di trasformarsi in una nuova prigione per il corpo, nel tentativo di imbrigliare sentimenti scomodi che non si possono condividere.

GMGhioni