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Il ruolo centrale del racconto e dell'informazione nella costruzione dell'identità di un popolo: "Cinquecento anni di rabbia" di Francesco Filippi

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Cinquecento anni di rabbia. Rivolte e mezzi di comunicazione da Gutenberg a Capitol Hill
di Francesco Filippi
Bollati Boringhieri, 3 settembre 2024

pp. 240
€ 18 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)

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Il mondo della comunicazione è stato fortemente influenzato da due adozioni tecnologiche rivoluzionarie: la stampa a caratteri mobili e Internet. Il processo di invenzione è stato seguito a quello di diffusione e quindi all'adozione di tale mezzo da parte della maggioranza della popolazione. Il racconto di una comunità è fortemente connesso alla propria auto-percezione, nonché alla creazione di un'identità che si plasma (e cambia) nel corso del tempo. E il potere ha sempre cercato di monitorare, censurare, indirizzare tale racconto, ma la maggior parte delle volte ha avuto ben poche possibilità di influenzare, contenere o bloccare del tutto l'informazione. 

Partendo da tali premesse, Francesco Filippi, storico della mentalità, da sempre attento alla storia della comunicazione, ha scritto Cinquecento anni di rabbia, un saggio che si propone di tracciare il profondo legame tra le rivolte e il malcontento popolare (ovvero la rabbia del titolo) e i mezzi di comunicazione. 

Il saggio si focalizza su cambiamenti epocali che hanno concorso alla progressiva diffusione dell'informazione di massa. Si inizia con la stampa a caratteri mobili che, benché fosse già attiva da alcuni decenni, visse un incremento potente nel 1517: Lutero si avvalse infatti di fogli stampati per portare avanti le sue idee, a cominciare dalle 95 tesi affisse a Wittenberg. 

E che dire della famosa Bauernkrieg, la guerra dei contadini, portata avanti tra il 1524 e il 1526 in Germania? I ribelli, consapevoli per la prima volta di stare attraversando una crisi comune a tanti altri contadini, sfruttarono la stampa per diffondere le proprie idee: nel 1525 pubblicarono e distribuirono un documento programmatico per loro importantissimo, i Dodici articoli, in cui si ribadivano le richieste di equità, giustizia e condizioni più vantaggiose per i contadini. Tuttavia, pur percependo una rabbia comune che accende gli animi, i contadini non riuscirono a creare una vera e propria comunità e allo spegnersi della rivolta anche l'esperienza di condivisione attraverso fogli "ribelli" rientrò. 

Su questo evento e sull'impiego della stampa da parte di Lutero Francesco Filippi concentra una prima nutrita sezione del saggio, che riporta stralci di documenti cinquecenteschi oltre a interessanti riflessioni di storici successivi. Nella seconda sezione del saggio si passano invece in una rassegna più veloce le evoluzioni della stampa e della comunicazione dal XVI al XX secolo. Impossibile non citare il ruolo della Chiesa nel provare a regolare i flussi del mercato editoriale: da un lato, c'è la celebre censura operata dall'Indice dei libri proibiti; dall'altro, la diffusione di fogli antiluterani e di opere devozionali approvate. 

Tra Seicento e Settecento, le rivoluzioni (quella inglese, in primis, seguita da quella americana e da quella francese) si appoggiarono sempre di più sulla stampa per diffondere un'informazione che si è fatta quotidiana, ampia. Come nota Filippi, nell'Età moderna la rabbia si serve della stampa, mentre nell'Età dei Lumi è la stampa ad avvalersi della rabbia. Se la cultura diventa un "bene di massa" e il cittadino non informato viene automaticamente emarginato, nel corso del tempo, in particolare con l'Ottocento, l'intrattenimento si affianca all'obiettivo di restare a conoscenza dei fatti. 

Queste sono solo alcune delle riflessioni molto interessanti che l'autore ci propone nel corso dell'opera, che si sofferma poi in una terza ampia sezione sui cambiamenti portati dall'era dei media prima e soprattutto da Internet nel XXI secolo. La sua non è una visione rassicurante, inutile dirlo, specialmente perché ritroviamo alcune riflessioni sulla post-verità che preoccupano gli intellettuali degli ultimi decenni. Un esempio? La ricerca sul web non è tanto mirata a farsi un'idea sulle cose, ma a confermare le nostre convinzioni, in una Echo Chamber che può diventare molto pericolosa. Benché tutti possano produrre e diffondere contenuti, va inoltre detto che circa il 90% di chi naviga in rete resta un fruitore passivo di contenuti creati da una schiacciante minoranza e nella maggior parte dei casi o osserva/legge e non partecipa o si limita a condividere post altrui. E la politica monitora tutto questo e cerca di sfruttare il web e soprattutto i social per una comunicazione che allarghi il proprio bacino di potenziali elettori, come è avvenuto di recente con Trump. 

Saggio che suggerisce confronti interessanti e propone chiavi di lettura tutt'altro che scontate, Cinquecento anni di rabbia conferma quanto la conoscenza della storia permetta di riflettere più a fondo anche sul nostro presente. 

GMGhioni