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Come modellare la propria vita intorno al vuoto del lutto: "Quelli che restano" di Gerbrand Bakker

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Quelli che restano Gerbrand Bakker
Quelli che restano
di Gerbrand Bakker
Iperborea, settembre 2024
 
Traduzione di Elisabetta Svaluto Moreolo
 
pp. 320
€ 19 (cartaceo)

 
Tagliare e radere, mangiare e bere, nuotare. Padre morte, sconosciuto, madre leggermente isterica. Mai avuto un compagno fisso. Un lavoro servito su un piatto d'argento, troppo facile, forse. Ha fatto la scuola per parrucchieri, naturalmente, ma voleva fare il parrucchiere nella vita? (p. 27)

Simon vive una vita silenziosa. Ha ereditato l'esercizio da parrucchiere dal nonno e prende solo quanti e quali clienti vuole lui, senza sovraccaricarsi di lavoro; va a nuotare, in ricordo della sua adolescenza da atleta promettente; ha incontri sporadici. In una Amsterdam tra la pioggia e il vento si è scavato una nicchia tranquilla. È figlio unico di madre vedova, Anja, che ha riempito la sua vita di attività di volontariato e supporto alla comunità: il padre, Cornelis, è stato tra le vittime del disastro aereo di Tenerife, il 27 marzo 1977. Quando uno dei suoi clienti abituali, uno scrittore senza nome, decide di lavorare a un romanzo in cui il protagonista è un parrucchiere, inizia a emergere la necessità di informarsi su ciò che è accaduto al padre, nella ricerca dell'elaborazione di un lutto che gli è sempre stato negato. 

Quelli che restano, il nuovo romanzo dell'autore olandese Gerbrand Bakker, è fatto di silenzi e di movimenti quasi ovattati. Tutti i personaggi si muovono molto: si riempiono la vita di attività, nuotano, si spostano da un capo all'altro di Amsterdam, esplorano i confini di Tenerife. Tutti i loro movimenti sono racchiusi in uno spazio ben preciso, sviscerato e osservato sin nelle pieghe più recondite. Il motore del romanzo è la necessità di elaborare il lutto che il disastro aereo ha lasciato dietro di sé, ma i personaggi sembrano più aver bisogno di capire quale e quanto spazio possono e devono abitare in questo mondo e come questa tragedia li abbia definiti in quanto persone. Ne risulta un romanzo relazionale molto raffinato.

«Ci sono sempre scrittori a cui va meglio. Il padre alcolizzato, l'Iran come paese di origine, un fratello morto suicida, il nonno che ha fatto la Resistenza, una madre con la stalla piena di maiali salvati dal macello, la nonna che ha conosciuto la regina Giuliana, lo scrittore stesso che ha la sindrome di Asperger. Non hai mai sentito il bisogno di indagare più a fondo sulla storia di quell'incidente?» (p. 100)

Così domanda lo scrittore, dietro cui si nasconde Bakker stesso, a Simon in merito alla morte del padre. A Simon il ragionamento sulla mancanza del padre e un conseguente e legittimo lutto è sempre stato negato perché, quando Cornelis è morto, Anja era incinta di soli quattro mesi. La madre più volte ribadisce che, per Simon, avere come padre Cornelis o un'altra persona non fa alcuna differenza e quindi non c'è motivo per ricordarlo, per visitare il memoriale dedicato alle vittime – nel quale lei non ha voluto far inserire il nome – o per parlarne: quando Simon le comunica che desidera informarsi, capire cos'è successo, la madre lo accusa di farlo solo perché gli sembra una storia avvincente. L'unica connessione è data dal nonno paterno, proprietario del negozio di parrucchiere che ora Simon ha ereditato, con cui la madre non ha particolari rapporti. Nonostante la negazione apparente, la loro vita si è modellata intorno a un vuoto: Anja non si è più risposata, Simon ha preso un solo aereo in vita sua, quando era troppo piccolo per ricordarselo, e Jan, il nonno, ha semplicemente passato il testimone al nipote, come se la vita del figlio fosse il gradino di una scala che si può saltare durante una salita. 

Mentre Simon si immerge nella ricostruzione e nella ricerca degli altri parenti delle vittime, si rende conto che, indipendentemente da come si affronta il lutto, negandolo, elaborandolo o abbracciandolo, il punto di arrivo finale è sempre lo stesso: ci si sente soli. Ed è forse questo il motivo per cui lui non ha una relazione stabile; forse è alla base dell'attrazione che prova per Igor, un ragazzo con disabilità intellettive che la madre segue in piscina nelle sue attività di volontariato. Igor è uno splendido giovane, simile al nuotatore Popov per il quale Simon ha una cotta sin da adolescente, che non mostra alcun segno fisico di disabilità ed è quindi immobilizzato in una solitudine che non è visibile, come il lutto di Simon, ma che è il calco sui cui si è modellata la sua vita.
È una storia che si legge in maniera scorrevole, in cui l'impianto metaletterario non è sperimentale, senza colpi di scena, in cui gli eventi sono minimi e quotidiani. Eppure è un romanzo che richiede una lettura molto attenta per comprendere ogni non detto, ogni possibile interpretazione dietro le azioni banali. È una scrittura mimetica perché tutti noi siamo il risultato della stratificazione di ciò che ci è successo nel corso della vita e, nel caso di Simon, anche della gestazione: eventi piccoli o grandi ci obbligano a essere quello che siamo e la cosa migliore che possiamo fare è decostruirli per capire come meglio adattarci allo spazio che ci circonda. 

In un'opera con un parziale gioco metaletterario, non si può non considerare l'autore che ha composto una postfazione sotto forma di ringraziamenti che è quasi una dichiarazione artistica. Bakker ringrazia internet che gli ha permesso di documentarsi e di scrivere di Tenerife senza mai averci messo piede. Una compiaciuta dichiarazione di indipendenza dello scrittore che non ha resistito a inserire anche i titoli delle altre sue opere, opportunamente mascherate – Aprile anziché Giugno, C'è freddo laggiù anziché il reale C'è silenzio lassù, per esempio – e a diventare lui stesso un personaggio. In fondo, anche lui, a dar credito a quando dice lo scrittore, soffre di una mancanza: quella di un trauma, di una malattia o di una storia famigliare abbastanza avvincente. Si è adattato e si è modellato così da diventare un personaggio: un confine che ogni autore o autrice talvolta sogna di oltrepassare per vivere nei mondi che, da Demiurgo, crea ogni giorno.

Giulia Pretta