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Giuliano Malatesta ci porta a Pamplona con Hemingway in un'estate che sembrava non finire mai

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A Pamplona con Hemingway

A Pamplona con Hemingway
di Giuliano Malatesta
Giulio Perrone Editore, giugno 2024

pp.150
€ 16 (cartaceo)

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In questo libro, edito per la collana “Passaggi di dogana” di Giulio Perrone, la fascinazione che la Spagna esercitò su Hemingway è ripercorsa, tappa dopo tappa, attraverso le testimonianze e i ricordi di chi vi partecipò e le sensazioni dello stesso Malatesta, che ha ripercosso i viaggi dello scrittore, sfatando miti e confermando leggende.


La Spagna fu, per Ernest, un simbolo e un emblema di lotta, di amore e di morte e ad un certo punto, fu anche resistenza estrema contro la dittatura, visto che il franchismo superò in longevità le altre forme di fascismo.


Il libro racconta in particolare gli avvenimenti dell’ultima estate, quella del 1959, anno in cui Hemingway era all’apice della sua fama, grazie al Nobel, e in cui tornerà a Pamplona per l’ultima volta, l’ottava, due anni prima del suicidio in Idaho. 

Dopo la scoperta e il racconto della festa di San Fermín, a Pamplona, nel luglio del 1923, con quella che all’epoca era sua moglie, Hadley Richardson, inviato da un settimanale nordamericano, Hemingway narrò le sue impressioni nel primo romanzo di successo "The Sun Also Rises" (Fiesta), che venne pubblicato tre anni dopo.

Nel 1959 la sua notorietà a Pamplona, complice la vittoria del nobel di qualche anno prima, aveva raggiunto il suo apice. Tutti lo fermavano, tutti lo conoscevano. Tutti lo ammiravano. (p. 11)

Lo studioso ci racconta che il Caffè della sua spensierata gioventù, l’Iruña, non era per lui un posto da frequentare, da quando, durante la guerra civile, aveva appreso che il suo proprietario era capo provinciale della Falange del 1935. Aveva iniziato a cambiare spesso locale e stava attento a non intromettersi in questioni politiche, mentre si trovava in territorio spagnolo


La sua comitiva si riuniva adesso al Choko, dove il grande Ernest inscenava la sua “public life”. Lì incontrerà alcuni dei testimoni di questo libro, come il fotografo novantasettenne Robert F. Burgess, uno dei pochi superstiti di quell’estate, insieme all’irlandese Valery Danby-Smith, che divenne segretaria, confidente di Ernest e molto altro ancora e che poi sposò il terzogenito Gregory, dopo averlo incontrato al funerale del padre; quello stesso che Gregory che odiava il padre e che  dopo anni travagliati cambiò il suo nome in Gloria, sottoponendosi ad un’operazione nel 1995.


Ad Hemingway serviva una mano per raccogliere materiale su un reportage importante, che vedeva come protagonisti due matador, il suo prediletto Antonio Ordonez, giovane e molto talentuoso e il più anziano, Luis Miguel Dominguín, molto furbo, cinico e arrogante. Ma la storia di questo reportage fu più tormentata del previsto, per i primi sintomi della depressione che lo colpivano e il compito di Valery si protrasse ben oltre l’estate.


Tutto questo, come osserva Malatesta, non ci sarebbe stato senza Parigi. Nella capitale francese, negli anni Venti, si concentravano tutta una serie di talenti, che sarebbero poi diventati emblemi letterari eterni e che si riunivano tutti nella libreria che una giovane ragazza del New Jersey, il cui nome diventerà celebre al pari della Stein, aveva fondato nel 1919. La ragazza si chiamava Sylvia Beach e la libreria era la Shakespeare and Company

Punto di riferimento della cultura anglo-americana parigina e per quei giovani squattrinati un luogo di ritrovo essenziale. (p. 42) 

Quel giovane scrittore, per il momento ancora avido lettore, guardava, all'epoca, con sospetto alla dimensione pubblica del suo ruolo e alla fama. Oltre alla libreria della Beach si rifugiava spesso al Musée du Luxembourg, ed è lì che nacque il suo amore incondizionato per Cézanne. Malatesta si pone anche un ambizioso obiettivo: capire quanto di Hemingway sia rimasto a Parigi, e credo che il risultato di questa indagine sia molto interessante per il lettore.


Tre capitoli di questo interessante volumetto sono poi incentrati, come suggerisce il titolo, sul rapporto tra lo scrittore e Pamplona, cercando di sfatare miti e leggende sui luoghi che se ne attribuiscono paternità e visite, cavalcando il business e forzando un po’ la storia. Anche i luoghi che lo celebrano nel mondo sono elencati, e soprattutto si narra come nacque il suo amore per Pamplona e per la corrida.

Disgustosa, secondo McAlmon, anche per via di una folla volgare e con tratti di marcata brutalità. Magicamente tragica per Hemingway. "La cosa più bella che abbia mai visto", scrisse ad un amico. (p. 71)

La Spagna era per il grande scrittore un luogo di ispirazione, così come i personaggi con cui condivise la sua Feria, che poi si ritrovarono descritti in Fiesta. Ma dopo questo amore sconfinato e dopo aver dato alle stampe nel 1932 Morte del pomeriggio, il suo interesse si era spostato sull'Africa. Ci volle la Guerra civile e la dittatura di Franco a riaccendere la scintilla per questo paese. Con Per chi suona la campana, pubblicato nel 1940 arrivò la fama ma anche l'addio abbastanza lungo, per il suo paese d'adozione. Solo dopo aver vinto il  Nobel, nel 1954, diventò più complicato proibire i suoi libri, mentre il ritorno a Pamplona è del 1953.


Il viaggio si conclude nella Madrid di oggi, tra i luoghi che furono di Hemingway, come a rinsaldare il legame con The Sun also Rises, dove nell'ultima malinconica scena, Jack e Brett, destinati all'infelicità, strizzano l'occhio sulla Gran Via a chi ha voluto raccontare ancora questa storia, di luoghi, destini e passaggi di dogana.


Samantha Viva