L'universo di Sofia Coppola: i suoi film, l'estetica, la passione per l'arte e la moda. Un volume unico per i fan della regista


Sofia Coppola: forever young
di Hannah Stong
Il Saggiatore, agosto 2024

Traduzione di Sara Reggiani

pp. 288
€ 52 (cartaceo)

Per tutti i fan di Lost in translation questo è uno di quei libri imprescindibili da avere in libreria. Sofia Coppola, celeberrima regista ingiustamente accusata di essere solamente "la figlia di", ha ampiamente dimostrato di essere il caso più lampante in cui il talento incontra l'opportunità. La biografa Hannah Strong lo dice chiaramente: la sceneggiatura de Il giardino delle vergini suicide non avrebbe avuto tutte le porte aperte se lei non fosse stata figlia di Francis Ford Coppola
Dunque, se è vero che agli albori, nata e cresciuta in un ambiente privilegiato, le si sono spalancate occasioni che ai comuni mortali non vengono nemmeno nominate, col tempo Sofia Coppola ha saputo imporsi nel mondo del cinema, del costume, della moda, creando una corrente tutta sua, una sorta di "Sofia-Coppola-verse".

Il mio obiettivo con questo libro è fornire qualcosa che ho sempre pensato fosse difficile trovare su Sofia Coppola: una valutazione critica da parte del suo pubblico di riferimento. Il suo privilegio come membro di una dinastia di Hollywood e la conseguente libertà finanziaria di realizzare film indipendenti e artistici sui bianchi ricchi (o almeno della classe media) sono spesso al centro di molte critiche al suo lavoro, ma credo che ci sia - e ci sia sempre stato - qualcosa di più in lei, pur riconoscendo che in una certa misura i suoi film sembrano fiabe. Ma non c'è forse del vero nel cuore di ogni favola? (pp. 17-18)

Dunque, il testo è diviso in capitoli che esaminano ognuno due o tre film della regista: "Innocenza e violenza" con Il giardino delle vergine suicide e L'inganno; "Fama ed eccesso" con Marie Antoinette, Bling Ring e A very Murray Christmas; "Padri e figlie" con Somewhere e On the rocks; e infine "Amore e solitudine" con Lost in translation. Chiude il volume una serie di interviste ad attrici come Kirsten Dunst.

La cosa che mi piace di più di saggi come questo de Il Saggiatore, come nel caso de Il cinema secondo Hitchcock è che vengono svelate delle chicche altrimenti introvabili, anche online: allora se i fan conoscono il feticcio di Sofia Coppola per Kirsten Dunst e Bill Murray, pochissimi sanno che, ad esempio, era restia a interpretare Mary Corleone ne Il Padrino terza parte, e che la critica, stroncandola pesantemente, ha poi avuto tutta una serie di pregiudizi su di lei e il suo lavoro (accuse di nepotismo al padre, e successivamente anche a lei stessa perché per il suoi film, quasi sempre, il direttore della seconda divisione è il fratello Roman. O, per fare un altro esempio, l'attore che ha interpretato Luigi in Marie Antoinette è suo cugino).

Non tutti sanno che è appassionatissima di moda e che in quasi tutti i suoi film vi sono rimandi all'arte, soprattutto a dipinti di pittori famosi: ne Il giardino delle vergini suicide, la scena di Cecilia nella vasca da bagno riprende Ofelia di Millais; un fotogramma dello stesso film che vede un primissimo piano di Lux (Kirsten Dunst) è stato poi spunto per la pubblicità per il profumo Daisy di Marc Jacobs; la madre delle sorelle Lisbon, ripresa di spalle in accappatoio, disperata, è ispirata ai quadri di Hopper; e così via, per tutti i suoi film. 
Moda, cinema, arte: il trio indissolubile.

Così come scopro, io stessa non avevo mai fatto caso a questo dettaglio, che esiste una speciale inquadratura utilizzata da Coppola, e per l'appunto chiamata proprio "inquadratura coppola" che vede i suoi attori e le sue attrici di faccia contro un finestrino o una finestra o una carrozza (nel caso di Marie Antoniette, ad esempio), in una transizione sia fisica che psicologica dei personaggi, nella resa sullo schermo di uno straziante desiderio di libertà.

Nella creazione di un'estetica, Sofia Coppola ha dei punti saldi: l'ossessione per la giovinezza, per le attrici bionde, magre e giovani - lolitesche - per la malinconia, per la fotografia, per i dettagli. I suoi film si dividono in due filoni: o l'eccesso, lo sfarzo, il pittoricismo disturbante di Marie Antoniette e Il giardino delle vergini suicide o il minimalismo, la perfezione chirurgica di Somewhere (che ho ricordato guardando Afternun su Mubi) e Lost in translation

Devo dire che non saprei scegliere: amo moltissimo sia il primo che il secondo. Se però mi chiedessero di decidere il mio film preferito direi senza dubbio Lost in translation, l'apice della maleuforia su schermo (un altro film che io pongo sul mio personalissimo podio, e che ha fatto da ispirazione per Lost in translation, è In the mood for love, altro esempio straziante di malinconia al cinema).

Ecco, a questo proposito, un'altra cosa molto interessante del saggio è che a ogni analisi di film fa seguire una pagina o due che spiega quali sono stati i riferimenti letterari, cinematografici, artistici. Ci sono inoltre retroscena, confidenze, piccoli stralci di interviste che sarebbe impossibile da recuperare singolarmente, anche per il fan più accanito. 

«Ho trascorso molto tempo a Tokyo quando avevo vent'anni» ha raccontato a Little White Lies nel 2018. «Desideravo fare un film sulla mia esperienza. Questo è stato il punto di partenza». La sua linea di moda Milk Fed aveva avuto successo in Giappone e lei vi si recava spesso, soggiornando al Grand Hyatt Tokyo, nell'esclusivo quartiere di Roppongi Hills, ogni volta che era in città. Questo accadeva prima che realizzasse Il giardino delle vergini suicide, quando ancora era confusa su quale direzione prendere: «Ne so qualcosa di crisi d'identità in stanze d'albergo» ha detto a Sight e Sound nel 2003. Quindici anni dopo rievocava le sensazioni che avevano ispirato il film d'esordio con toccante chiarezza: «Mi ero sposata non molto tempo prima e mi sentivo isolata. Ero in questa fase in cui non ero sicura di aver fatto le scelte giuste o di cosa fare dopo il college mentre la mia vita adulta iniziava». (p. 224)

Per questo motivo, e per la bellezza di un volume fotografico oltre che narrativo, consiglio assolutamente la lettura agli appassionati della cinematografia di Sofia Coppola: non ne resterete delusi.

Deborah D'Addetta