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La speranza di un domani migliore alimenta il cuore di ogni migrante. Una fiaba che racconta l'esilio: “Il paese di Sogno”, di David Diop

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Il paese di Sogno
di David Diop
Neri Pozza, 6 settembre 2024

Traduzione di Giovanni Zucca

pp. 64
€ 6,00 (cartaceo)
€ 4,99 (eBook)

C’era una volta Sogno, una ragazzina bellissima. Sogno si chiamava così perché così avevano voluto i suoi genitori. Avevano pensato che fosse un dono, che Sogno fosse un nome magnifico in qualunque lingua. Non sapevano che ogni lingua considera il proprio sogno più bello del sogno degli altri. (p. 7)

«C’era una volta»: è così che cominciano le fiabe. Questo incipit ci introduce a una storia, una storia molto breve. La protagonista è una bambina di nome Sogno, orfana di entrambi i genitori uccisi da soldati, che vive con la nonna nella povertà più estrema in un luogo non meglio identificato, sito ai margini della città e del mondo dei ricchi. La loro casa è fatta di lattine aperte, plastica, lamiere laide tenute insieme da nodi di ferro arrugginito. Non è un luogo piacevole, è un crogiolo di polvere, ruggine e sporcizia, sembra una discarica a cielo aperto «una città scura del fumo delle immondizie» (p. 9). La nonna sa che la bambina è di una bellezza straordinaria e, per proteggerla dall’occhio avido degli uomini vili, la tiene coperta e la lascia uscire solo di notte, quando nessuno può vederla in viso.

Nel paese di Sogno la bellezza era un pericolo, per una ragazza, un incitamento al delitto. In attesa di tempi migliori, la nonna di Sogno l’aveva imbruttita ricoprendola di stracci, sporcizia e miseria. (p. 8)

La nonna ha il compito di proteggere la bambina dal malocchio di quei soldati che avevano ucciso i suoi genitori mentre lavoravano nei campi. Sogno per sostentare la nonna e sé stessa va ogni giorno a rovistare tra i rifiuti, «nelle pattumiere traboccanti di sacchetti unti e lattine mezzo vuote del Palazzo del Grande Vigliacco» (pp. 9-10). Sulla spiaggia, dove spesso di reca di notte, vi è un’enorme montagna di stracci, sporchi, consunti quasi ridotti in polvere. Non è difficile comprendere come questa breve storia, di cui non posso raccontare di più, sia lo specchio attraverso il quale vedere la realtà in cui viviamo. 

L’intento dello scrittore è proprio quello di far arrivare attraverso la semplicità e il linguaggio della fiaba temi di grande valore universale. David Diop è un pluripremiato scrittore in lingua francese, nato a Parigi, città di origine della madre, ma cresciuto in Senegal, patria del padre. Diop vive ormai in Francia da diversi anni, e insegna Letteratura del XVIII secolo presso l’Università di Pau, nella regione dell’Aquitania. I suoi libri hanno ricevuto i più importanti premi letterari francesi: Prix Goncourt de Lycéens, il Premio Strega Europeo, l’International Booker Prize. 

Il suo linguaggio è caratterizzato da una prosa lirica, poetica e delicata che si lascia andare a diversi livelli di significato. La storia di Sogno è infatti una metafora su due dei più grandi temi della società contemporanea: l’ingiustizia nel mondo e l’esilio. Il paese di Sogno è un luogo sordido, dove scarseggia il cibo e la spazzatura domina su tutto. È il paese dove «da sempre correva il fuoco e scorreva sangue» (pp. 7-8): un mondo immaginario che è credibile, purtroppo, e reale. E in tutto ciò lo scrittore non si cura di abbellire la realtà, non vi è pathos, né facile retorica, direi quasi che non vi è neppure compassione. È una fiaba crudele che lascia però uno spiraglio di speranza, l’unico respiro della nostra umanità dilaniata dalle contraddizioni e dalla cecità verso chi ha bisogno.

Con uno stile poetico, onirico, firma riconoscibile di Diop, il libro parla di crudeltà e desolazione: la fame, quella fame cieca che ti fa dimenticare la gratitudine verso chi si è preso cura di te, la bramosia dell’oro - e  il lettore scoprirà perché -, l’ incanto della bellezza che rende l’uomo ladro, la distanza e l’indifferenza del mondo dell’abbondanza capitalista verso gli ultimi lasciati nei rifiuti di cibo, conseguenza di una rovinosa cultura dello spreco alimentare, e del fast fashion, nuova piaga del nostro mondo già agonizzante. Uniche speranze per gli ultimi rimangono la migrazione e l’esilio, passo del libro dove la durezza della realtà supera di gran lunga la finzione. Sogno desidera andare via da quel tugurio, come tutti quei popoli che, vessati dall’ingiustizia sociale, politica e dalla povertà, sono costretti ad andar via Sognando (ndr)  un mondo migliore.

Un racconto breve dove campeggia una sensibilità prepotente, che si fa fiaba perché quest’ultima è la forma più vicina alla poesia, primo linguaggio dell’essere umano per toccare temi universali.

Marianna Inserra