Il capanno di Ash
di Jen Wang
Bao Publishing, 2024
pp. 320
€ 26.00
Ash ha un nome in cui non si riconosce più, trema per un mondo che si sta disgregando nel disinteresse generale e sogna di scrivere, un giorno. Il senso di solitudine che prova, anche
all’interno di una famiglia numerosa e comprensiva, è lenito solo dalla
vicinanza del cane Chase e dalle estati passate nel ranch degli zii, a nord di
Sacramento. Lì aveva vissuto il nonno Edwin, a cui Ash era legatissimo e che
raccontava sempre di aver costruito un misterioso capanno nel bosco. Con lui,
però, era scomparso anche il suo segreto, e nessuno era mai riuscito a trovar
traccia della struttura.
Inizia così, all’insaputa dei genitori, un’avventura alla Into the wild, che porta Ash ad addentrarsi in una natura selvatica, spesso ostile, in cui nulla va come dovrebbe andare e non sono infrequenti i momenti di sconforto. E anche se il rifugio del nonno esiste davvero, anche se grazie ad alcuni accorgimenti è possibile creare una nuova routine e trovare una sintonia insperata con l’ambiente circostante, appare chiaro che la fuga da tutto non è la soluzione. Poco alla volta, Ash arriva alla conclusione a cui arrivava anche Chris McCandless:
ora che avrai tutto il tempo del mondo per scrivere, all’improvviso non ho più motivazioni per farlo. Forse è strano scrivere un romanzo se non c’è nessuno che può leggerlo.
Il graphic novel narra una storia di ricerca – di senso e di identità, prima che di un luogo fisico –, ma porta con sé anche una riflessione sulle origini, sull’ecologia e la sostenibilità, ricordando l’importanza di una coscienza ambientalista, che richiami l’uomo al suo legame viscerale e imprescindibile con la realtà di cui fa parte:
Una cosa che ho imparato dal mio libro di etnobotanica è come pensare al mio ruolo nell’ecosistema. Ogni pianta o animale che prendo non sarà in grado di produrre future generazioni. […] Se vivrò qui a lungo termine, ho bisogno che la zona rimanga florida. La nostra prosperità è reciproca.
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