Ragionare sulla letteratura statunitense è, più che per altre realtà letterarie, una questione geografica: il legame con il territorio e la sua influenza sulle narrazioni è qualcosa che va ben al di là di un’ambientazione più o meno precisamente tratteggiata e che riguarda tanto i luoghi reali quanto quelli fittizi, a volte più veri del vero. Un rapporto strettissimo che è nel sangue della cultura nordamericana, su cui si rifletteva anche con Ron Rash in occasione della nostra chiacchierata al Salone del libro di Torino di quest’anno e che soprattutto nelle narrazioni di provincia si carica di una densità impensabile altrove. Il centro nevralgico della letteratura statunitense, dopo i decenni delle grandi storie urbane, pare nuovamente essersi spostato nei territori di provincia, nell’ambiente rurale, con esiti di volta in volta differenti. Tra i luoghi letterari – inteso qui come ambientazione ma anche luogo natale degli autori – che ben rappresentano tale questione c’è senza dubbio il Kentucky: quello dei racconti di James Still (pubblicati in Italia da Mattioli), di Chris Offutt (Minimum Fax), Lee Cole, per citarne alcuni tra quelli tradotti anche in italiano e particolarmente interessanti, ognuno con le proprie peculiarità. E il Kentucky è anche la terra di Wendell Berry, della sua Port Williams, cittadina immaginaria ma vera più del vero.
Il nome di Berry forse non è così noto al grande pubblico nostrano, ma la casa editrice Lindau ha in catalogo diversi volumi dell’autore statunitense, alcuni in edizioni riviste, e bastano una manciata di pagine per rimanere ammaliati dal mondo che Berry riesce a dispiegare davanti a noi. L’ultima riedizione è quella di Hannah Coulter, uno dei volumi più belli del ciclo di romanzi e racconti ambientati appunto a Port Williams, nella puntuale traduzione di Vincenzo Perna che si confronta con la lingua melodica di Berry restituendo ai lettori italiani sonorità, immagini, dialoghi. Scrittore, critico, agricoltore, attivista ecologista, pacifista, Berry è un uomo del Kentucky fino al midollo, qui è nato nel 1934 e qui risiede, nella fattoria di famiglia, e qui sono ambientate le sue storie. Al centro di ogni narrazione i temi cari all’autore, che ritroviamo anche in Hannah Coulter: il valore della vita rurale, il rispetto per l’ambiente, l’importanza della comunità, il rapporto con la terra, il cambiamento. Il romanzo appena ripubblicato da Lindau si colloca quindi in un solco ben preciso – ma, sottolineo, ogni volume può essere letto indipendentemente dagli altri – , in un ciclo che cronologicamente copre un tempo molto ampio, da fine Ottocento ai giorni nostri (l’ultima raccolta pubblicata contiene storie che si dipanano dal 1932 al 2021) ed è la prima in cui Berry sceglie di utilizzare una voce femminile come narratore principale, quella di Hannah Coulter appunto. È lei, anziana, a ripercorrere la storia della sua vita a Port William, delle persone che ha conosciuto e amato, del luogo e dei mutamenti in atto.
Attraverso la voce di Hannah prende vita Port William e la comunità tutta, in una narrazione a ritroso nel tempo ma non per questo affogata nella nostalgia. L’infanzia di Hannah, sotto la guida dell’amatissima nonna, i primi passi lontano dalla casa in cui è nata e l’incontro determinante con la famiglia Feltner, un legame che non verrà mai spezzato neanche nelle avversità che tutti loro si troveranno ad affrontare. La felicità di Hannah, giovane donna innamorata accolta con affetto nella famiglia di Virgil Feltner, non dura che un istante: il tempo di un corteggiamento, del matrimonio, delle piccole gioie della nuova quotidianità come famiglia, prima che il mondo li raggiunga. Virgil, come tantissimi altri, è chiamato a combattere e dall’Europa non farà più ritorno, ufficialmente disperso. Il tempo sospeso dell’attesa, della mancanza di notizie certe o di un corpo cui dare sepoltura, ma anche di speranza. Eppure, quei pochissimi anni insieme sono stati gioia pura, felicità, che nulla di quello che è venuto dopo poteva cancellare.
Oggi me ne rendo conto con chiarezza. Ci trovavamo in presenza di una speranza positiva che era realizzabile in questo mondo. Oggi quella mi sembra una speranza dolorosa, perché non trovò compimento che in minima parte, ma non per questo meno meravigliosa. (p. 46)
Rimasta vedova e con una figlia in arrivo, Hannah è comunque parte della famiglia Feltner e della comunità di Port Williams e qui, con il tempo, troverà il proprio posto e una nuova felicità. Il secondo matrimonio, con Nathan Coulter, sarà lungo una vita e per questo fatto di gioie e dolori, fatica, avversità, felicità, silenzi e complicità, quel misto di sentimenti e istanti che compongono una vita insieme. Nathan dalla guerra ha fatto fisicamente ritorno, ma lo spettro di quanto vissuto non lo abbandonerà mai davvero, come in fondo non ha davvero abbandonato nessuno di loro, mentre la vivevano, nell’attesa di Virgil, nei silenzi di Nathan impossibili da espugnare:
La guerra era una presenza corporea. Stava dentro ognuno di noi, ma nessuno ne parlava. (p. 57)
Stagione dopo stagione però prende forma la vita, gli anni portano figli e nipoti, amicizie, mentre il mondo cambia e la stessa realtà di Port William è messa di fronte ai mutamenti. Ciò che Berry riesce magistralmente a fare è dare vita alla comunità tutta, riversando in ogni personaggio dignità di esserci; spesso paragonato a Faulkner proprio per questa sua attitudine, trova eco anche in altri narratori più recenti come, uno su tutti, Kent Haruf e la sua Holt. È nei luoghi, in ciò che rappresentano, che Berry trova la sua dimensione ideale, nel paesaggio che prende forma e vita davanti ai nostri occhi e da lì non se ne andrà più.
Dopo cena, nelle serate calde, sedevamo sotto il portico e stavamo lì finché non era ora di andare a dormire. Allora non c’era la tv, e durante la settimana circolavano pochissime auto. In quel silenzio capitava di sentire qualcun altro che parlava nel portico di casa sua, o un gruppo di bambini che giocavano da qualche parte. Oltre ai versi degli uccelli e degli insetti notturni, si udivano soltanto voci umane. A volte le conversazioni si tenevano da un portico all’altro, oppure da un lato all’altro della strada. (p. 69)
La vita scorre sotto gli occhi del lettore, mentre cambiano le stagioni e nel tempo mutano rapporti e desideri. Tra le tante riflessioni verso cui la storia ci spinge, ho trovato interessante soffermarsi sul rapporto genitori figli e, più nello specifico, su quale posto ci si aspetta i figli vadano un giorno a occupare, mentre il mondo cambia sempre più velocemente. Hannah e Nathan hanno fatto in modo di fornire ai figli tutte le opportunità di istruzione che a loro erano mancate, nell’ottica di un miglioramento che era prima di tutto culturale e di consapevolezza; ma uscire nel mondo, conoscere una realtà altra dall’ambiente rurale in cui sono cresciuti, apre anche a nuove possibilità, non per forza migliori ma comunque diverse da quello che i genitori avevano immaginato. Nessuno di loro, infatti, sembra desiderare davvero proseguire il lavoro alla fattoria, continuare a vivere generazione dopo generazione del lavoro agricolo o nella piccola comunità di Port William. Berry non fornisce semplicistiche soluzioni, ma pone una questione a mio avviso interessante, in cui l’unica debolezza – che è un po’ una costante di questa storia – è rappresentata dall’accettazione delle cose senza particolari drammi, una sorta di buonismo di fondo che spezza un po’ l’incantesimo di una narrazione comunque notevole. È un tema interessante che si apre a varie considerazioni, dal desiderio di emancipazione dalla famiglia d’origine e ciò che si conosce, al miglioramento delle proprie condizioni economiche e se e quanto il denaro concorra alla costruzione della nostra felicità. L’opinione di Berry è chiara, ma non c’è giudizio sui personaggi e le loro scelte, come del resto l’autore si tiene anche il più lontano possibile da sterili forme di nostalgia verso un mondo che non c’è più.
Quello di Hannah, quello di Berry, non è il tempo del rimpianto, ma semplicemente quello del ricordo e del racconto, forti dei principi morali che li guidano da tutta la vita: il rapporto strettissimo con la natura, il senso del dovere, il rispetto e, non da ultimo, l’importanza della comunità. E se solo una cosa dobbiamo portare con noi nel mondo reale di questo libro, ecco, sceglierei proprio questo, la protezione che deriva dal far parte di una comunità, che sia la famiglia d’origine, che siano le persone del quartiere, che siano gli affetti più stretti o un intero paese. «Un paese ci vuole», dopotutto, anche solo per il gusto di abbandonarlo, come sottolineava Pavese, e il paese di Berry è lì, permeabile al cambiamento e alla perdita, tanto verosimile da cercarlo su una mappa.
Debora Lambruschini
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