C’è forse un cowboy in ognuna di noi? La distopia romance di "Love Everlasting Vol. 2"



Love Everlasting Volume 2
di Elsa Charretier e Tom King
Bao Publishing, 2024

Traduzione italiana di Leonardo Favia

€ 20 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)

Dopo il grande successo di critica e di pubblico di Love Everlasting Vol.1, primo episodio della graphic novel edita in Italia da Bao Publishing, le avventure romantico-grottesche di Joan Peterson tornano in un secondo volume sempre a cura dello scrittore Tom King e della disegnatrice Elsa Charretier, per sorprendere i lettori con una riflessione complessa e commovente sui temi del tempo e della felicità. 

Chi ha letto il primo volume, lo sa. Joan Peterson, la protagonista, è un personaggio connotato dall’instabilità nello spazio e nel tempo, condannata all’innamoramento perpetuo di persone diverse in spazi e cronologie lontane da un tempo presente che in sé per sé non esiste. L’abbiamo conosciuta nelle vesti di un’impiegata innamorata del suo capo; l’abbiamo vista incarnare il ruolo di una domestica nelle brame dell’erede di famiglia, in un lontano Vecchio West di stampo Hollywoodiano; l’abbiamo scoperta dietro gli occhiali della bibliotecaria zitella - e non per questo, infelice o sola. 

Ogni storia d’amore è una vita, un luogo e un tempo. E sul più bello, un cowboy compare, a volte sotto mentite spoglie, per sparare un colpo, ucciderla e portarla in un’altra dimensione temporale. O verso un altro amore. 

L’impressione iniziale è quella di trovarsi nella parodia di un romance antologico più che nel racconto di un viaggio nel tempo. L’unico filo rosso che nutre il tessuto connettivo della trama è il personaggio di Joan e quello del cowboy, un misterioso outsider, presenza spesso anacronistica rispetto al contesto spazio-temporale di ogni singolo episodio, e la cui missione sembra essere collegata alla vaga volontà della madre della protagonista. Questo schema però non si ripete nella seconda serie, ma si dilata lungo lo sviluppo di una singola love story, rivelando così tutta la sua complessità e densità allegorica. 

Per questo, iniziare a leggere Love Everlasting Vol.2, senza avere coscienza del prequel, non solo è possibile, ma potrebbe essere perfino più stimolante. Il primo episodio, dal ritmo velocissimo, consuma in pochissime sequenze il lungo corso di quello che solitamente è il middle del romance classico: l’innamoramento. In poche battute, la protagonista Joan, una ragazza che ama la sua libertà, il ballo e le discoteche, si trova a un primo appuntamento con Don. Don è il classico bravo ragazzo appena arrivato in città, il volto giovane e fresco che ha subito conquistato suo padre e che le propone, dopo una sola serata e un solo bacio, di convolare a nozze. Joan accetta l’offerta, aspettando di svegliarsi e di trovare il cowboy pronto a ucciderla, anche se questo non accadrà. Joan è costretta così a sposarsi e il giorno del matrimonio decide di scappare, credendo di nuovo nell’azione salvifica, o mortifera, del cowboy che si limita però a congratularsi con lei per le sue nozze. Basterebbero queste prime sequenze per accorgersi che il cowboy assolve molteplici funzioni.  

Surrogato antifrastico del principe azzurro, il suo compito è quello di ucciderla a ogni innamoramento, e quindi di svegliarla dall’illusione romantica, salvarla, solo per riportarla in un’altra realtà. 

In parte, è proprio questa la sua funzione principale nel primo volume. Volendo dare un’interpretazione anti-romantica a tutta la serie, potremmo leggere nella figura del cowboy il principio di realtà che irrompe nella finzione romantica. Non vi è nulla di più irrealistico di lui, se non fosse che tutto nelle storie d’amore di ogni episodio ci ricorda qualcosa che abbiamo già visto. Non è un caso che un grande merito di Love Everlasting sia proprio quello di omaggiare e riscrivere il romance a fumetti, contaminando la sua estetica con riferimenti al mondo cinematografico, dal melodramma della Golden Age hollywoodiana alle commedie romantiche degli anni Ottanta-Novanta. In questo senso, ogni storia d’amore vissuta da Joan ci ricorda la riproducibilità infinita di accidenti, peripezie e finali lieti che la cultura televisiva romantica ha proiettato sulle nostre vite e sulle nostre relazioni, nutrendo non solo la nostra immaginazione, ma insegnando agli spettatori cosa dovrebbero fare e cosa dovrebbero sentire.

Il cowboy sembra quindi emergere per rompere l’illusione, quella che a tutti gli effetti sembrerebbe la falsa coscienza di Joan rispetto alla propria libertà e felicità. Quello che resta però è pur sempre la condanna a un eterno ritorno dell’identico (amoroso) che troverà un arresto parziale solo in questa seconda parte. Ed è proprio qui che il cowboy assume i connotati della coscienza spezzata della protagonista, alle prese con una felicità obbligatoria che non sente di provare ma che penetra nella sua coscienza come un imperativo, innestato fin dal giorno delle nozze dopo la sua fuga. Per citare le parole del novello sposo: “Questo è il tuo giorno. Non quello degli invitati. Vogliamo solo che tu sia felice. Non è così Fred?” (p.23) 

Lasciando che Joan viva a pieno questa “storia d’amore”, il cowboy sovverte compiutamente la seconda convenzione del romance classico: l’happy ending, che non è il punto di arresto della trama, ma il suo inizio. La felicità promessa dal lieto fine, letteralmente espulsa dal reame della narrazione, diventa il cuore della storia. Le apparizioni del cowboy, scaturite dall’insofferenza coniugale di Joan nei ruoli di moglie e madre, incarneranno quel sentimento improprio di infelicità nella felicità senza sequel del lieto fine. 
Le tracce di questa coscienza in movimento sono presenti fin dall’inizio, proprio nelle sequenze dedicate a quel primo appuntamento con Don, in cui le tinte sognanti violacee, rosa, blu, ci trasportano in fantasie romantiche adolescenziali. In questo scenario alla Licorice Pizza spiccano però le parole di Joan che chiedono ai lettori di mettere in discussione quello che stiamo vedendo come se fossimo di fronte all’ennesima mistificazione della cultura romantica (tele)visiva.

Ad alternare gli episodi è il leitmotiv del fumetto, una scritta dal font vagamente gotico e eerie che recita: “Troppo sveglia per l’amore” (in originale, “Too hip for love”). Per Joan, la condizione di hipness corrisponde a uno stato di forte personalità, di avversità a ogni forma di privazione della libertà, e quindi di piena coscienza di sé, e prenderà la forma di una coscienza dell’infelicità nel matrimonio in cui è incastrata; coscienza che Joan conquisterà lentamente e solo attraverso un lungo viaggio introspettivo nelle proprie contraddizioni. Un viaggio di accettazione del carattere improprio e inappropriato dei sentimenti e della loro legittimità, reso attraverso i tratti scuri ed eleganti di un giallo hard-boiled di cui si tingono diversi episodi del volume. Da questo punto di vista, non è nemmeno un caso che le sequenze ricorrenti che anticipano o coronano le crisi di coscienza della protagonista siano quelle in cui l’immagine perde la sua coerenza. Blocchi e quadrati neri, come un blackout, in cui il corpo e il viso di Jane si spezzano e gli oggetti domestici gettati a terra si rompono, ridotti in frammenti.

L’orrorifico di alcuni episodi nel racconto della vita domestica, primo tra tutti l’omicidio della gatta per mano di Joan e del cowboy, si confonde con scene di realismo che raffigurano la condizione femminile nel secondo dopoguerra, quando la sofferenza psichica causata dalla maternità obbligatoria veniva facilmente liquidata in una forma di follia isterica, relegata alle porte chiuse degli istituti manicomiali. 

Sintomo di questa presunta follia è l’elemento più curioso del fumetto, quello che porta il racconto domestico letteralmente ai confini della realtà: il loop temporale in cui Joan è intrappolata. A ogni episodio, mentre il tempo della storia e il tempo del racconto fluiscono, il personaggio di Joan resta impigliato nello stesso anno, il 1963. 

Che l’eterno ritorno, questa volta, rappresenti proprio l’arresto del tempo? Quell’impossibilità di andare oltre, di andare avanti, che caratterizza ogni esperienza dolorosa e traumatica? O forse l’indizio che anche questa love story non è altro che una finzione, una fantasia che ondeggia nella coscienza della protagonista in dormiveglia, in attesa di un cowboy pronto a risvegliarla. 

Elena Strappato