Di fuoco e seta
di Manlio Castagna
Mondadori, 2024
€ 17,00 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
Di fuoco e seta, nuovo romanzo di
Manlio Castagna, si muove su due diversi piani temporali: uno è quello del
presente, dove seguiamo Lianna, ospite a Solferino
a casa della nonna dopo che un brutto incidente le ha strappato la mamma; qui
la ragazzina conosce per caso il vecchio Asé, che inizia a narrarle una storia d’amore, d’amicizia, di guerra
che li trasporta indietro di centocinquant’anni, ai tempi dei fervori risorgimentali e delle
battaglie che hanno infiammato la regione durante la Seconda guerra d’indipendenza. Il racconto intervalla con lunghi flashback l’asse principale;
protagonista è Alvise, detto Visio, piccolo ladruncolo di campagna che trova
riscatto nella conoscenza con due fratelli di origine benestante, Altea e
Sante.
Come la copertina, divisa in tre bande orizzontali, in cui il rosso dei papaveri, dominante in quella centrale, rimanda al sangue versato a Solferino, anche il titolo può essere letto a più livelli. Se la seta è l’attività principale di Altea, che alleva i bachi nella sua cantina, ma è anche la delicatezza del sentimento giovane e pulito che nasce tra lei e Visio, il fuoco è tante cose tutte insieme: l’ardore idealistico dei giovani patrioti come Sante, che sognano un’Italia finalmente liberata dal giogo straniero («l’amico aveva un fuoco in petto che bruciava ogni altro pensiero. Bruciava dei suoi ideali», p. 102); ma anche quello che divampa durante gli scontri, o ancora la fiamma che alimenta i racconti, destinati a tramandarsi di bocca in bocca – e qui espediente metanarrativo, attraverso i personaggi di Asé e Lianna:
Le storie sono candele le cui fiamme vanno protette e per tenerle accese c’è bisogno di chi le scrive e di chi le legge. O di chi le dice e chi le ascolta. Solo così il fuoco passa di stoppino in stoppino e continua a scaldarci a lungo. (p. 77)
La ragazzina, che fatica ad attraversare
il suo lutto e non trova una chiave per continuare a vivere in assenza
della madre, cerca nella vicenda che le viene narrata un rifugio, la possibilità di un’evasione
dal deserto di solitudine di giornate sempre uguali («voglio che questa storia
sia il mio nido, […] un posto dove stare tranquilla», p. 153, 154). Nei
racconti, però, non c’è nulla di rassicurante, e così anche questo porta con sé
sconvolgimenti, scossoni, improvvisi
rovesciamenti. La narrazione rende tutto possibile, anche che vecchie leggende
prendano vita e che il giovane Visio, dopo aver incontrato l’inquietante
Scigulina, scopra di avere nelle mani il potere di guarire. E se a tratti viene
da chiedersi, leggendo, se l’elemento
magico risultasse davvero necessario in una storia già ricca di tanti spunti,
alla fine tutto trova una sua collocazione nell’architettura compatta creata da Castagna, e il fantastico diventa il legante tra due tempi e due mondi.
Punto apicale del romanzo è la descrizione della battaglia, che
risulta dirompente, sensoriale. La
violenza lì consumatasi, che l’autore vuole restituire, si percepisce
attraverso tutti i sensi, tanto che i protagonisti, come il lettore, ne sono storditi.
In mezzo alla barbarie non ha forse senso nemmeno chiedersi se esista un vincitore:
«più facile capire chi stesse perdendo:
un’intera generazione di giovani che passava nel tritacarne di quella battaglia»
(p. 213). I combattimenti piagano il
territorio come una malattia, tant’è che alla furia degli eserciti si
sovrappone presto quella della natura stessa. Rispetto all’una e all’altra gli uomini si trovano impotenti, e l’esito è una
carneficina senza eguali.
Non è facile trattare il tema risorgimentale in un romanzo,
tantomeno se per ragazzi, e difatti si tratta di un sentiero poco battuto. Quello che Castagna riesce a fare è presentare
da un lato, attraverso la prospettiva dei suoi protagonisti, gli ideali e le promesse dell’epoca,
dall’altro il modo in cui gli uni e le altre vengano poi travolti dalla realtà della guerra, in cui a prevalere sono interessi politici di cui chi è sul
campo è spesso ignaro. Al tempo stesso, incombe sui sopravvissuti la minaccia
di un conflitto di ben’altra portata, che si abbatterà sull’intera Europa non
così tanti anni dopo, a segnalare l’incapacità dei popoli di apprendere la
lezione del sangue versato («Abbiamo
visto dalle nostre finestre i bagliori di un’altra guerra, la Prima guerra
mondiale, illuminare con una luce mortale i nostri cieli», p. 302).
Di seta e sangue è un romanzo caratterizzato da
una prosa semplice, ma carica di
immagini, che rivela una grande cura
del linguaggio e che lo rende adatto a un pubblico da inquadrarsi nella
fascia d’età della scuola secondaria inferiore, cui è rivolto anche per l’età
dei personaggi principali.
Carolina
Pernigo