Come può reagire un carcerato scoprendo che, invece di scontare ancora sette anni, sta per essere rilasciato? Antonio Caruso, protagonista di Mille giorni che non vieni di Andrej Longo pensa che si tratti di uno scherzo di cattivo gusto, perché lui è dentro per spaccio e soprattutto per un omicidio di cui, per altro, non si è pentito.
Invece, pochi momenti e Antonio si ritrova letteralmente per strada, libero dopo tanto tempo: libero di tornare dalla moglie Maria Luce, dalla figlioletta Rachelina, di trovarsi un lavoro e finalmente avere il tetto di una casa sopra la testa. Peccato che la moglie si senta tradita da lui (e si capirà nel corso della narrazione perché), la figlia lo conosca appena, il lavoro non sia facile da rimediare per chi ha la fedina penale sporca e la casa sia rimasta alla consorte.
Per Antonio questi non sono che intoppi all'obiettivo che ha chiaro in testa: farsi perdonare a qualunque costo da Maria Luce, conoscere meglio sua figlia ed essere così riammesso in casa. E per fare tutto ciò gli è fondamentale il quarto tassello mancante: un lavoro.
È anche per questo che, un po' ingenuamente, Antonio accetta una raccomandazione da parte di un conoscente poco affidabile e si ritrova a dover guidare un camion - lui che non ha mai portato a termine le lezioni per la patente apposita - carico, scortato da automobili con a bordo tizi loschi. Per i suoi "datori di lavoro" niente è preoccupante: né la mancanza della patente, né il fatto che lui sia andato in galera. Niente è in regola, nemmeno il pagamento, ma il timore più grande di Antonio è di tornare a trasportare droga o simili e finire nuovamente nei guai. Invece, nel rimorchio del camion vede solo e unicamente pomodori.
Ma è davvero tutto qui? Per scoprirlo, seguiamo i pensieri di Antonio che accompagnano sempre la narrazione e ci inoltriamo con lui in una notte campana piena di segreti, illuminati appena dalle luci del camion. Inutile dire che Antonio, eroe tragico suo malgrado, si troverà davanti a un dilemma etico di prim'ordine: intervenire e rischiare di finire nuovamente in carcere o fingere di non essersi accorto di nulla, ma rischiare di far morire delle persone?
Con la scelta di lasciare che siano gli occhi, i valori e i ricordi di Antonio a filtrare la realtà, Andrej Longo ha fatto centro: innanzitutto perché il suo personaggio è solo apparentemente un galeotto egoista; porta con sé un vissuto che lo ha indurito fuori, ma Antonio ha ancora la capacità di sorprendersi per le piccole cose, per l'affetto familiare, per un gesto di un bambino, per uno sguardo di sua moglie,... E porta con sé un senso della giustizia tutto suo, tanto ingenuo a tratti da conquistare la simpatia del lettore, che fatica perlopiù a riconoscere in lui un assassino. Inoltre, ci sono osservazioni liriche che confermano in Antonio uno sguardo da fanciullo sulla realtà. Può un personaggio così salvarsi dal gioco mancino che gli ha tirato il destino?
Lo scopriremo dopo poco più di trecento pagine bellissime e incalzanti, incentrate sulla redenzione, sul reintegrarsi in società, sul riavvicinarsi a chi non abbiamo abbracciato da tempo, sull'amicizia e la solidarietà, oltre che sull'amore paterno.
GMGhioni