il Mulino, maggio 2024
€ 17,00 (cartaceo)
€ 12,99 (e-book)
Il nome di Paolo Matthiae è strettamente legato alla
scoperta della città di Ebla in Siria, un evento straordinario nella storia
dell’archeologia: le campagne di scavo, condotte tra il 1964 e il 2010, hanno
portato alla luce una civiltà antica, sepolta sotto millenni di storia.
Attraverso le sue memorie, Matthiae ci accompagna in un viaggio affascinante
che intreccia le vicende della missione archeologica con le sfide personali e
professionali affrontate durante i decenni di scavo.
Il libro si presenta come una testimonianza diretta e
appassionata, una raccolta di ricordi che riflettono la natura stessa del
lavoro archeologico: l’arte di ricostruire mondi scomparsi a partire da tracce
e reperti. L’autore ci introduce alla narrazione con un’avvertenza: ciò che ci
apprestiamo a leggere non è una sequenza ordinata di eventi, ma una selezione
di episodi significativi che, nel loro insieme, compongono un mosaico di un’esperienze
di vita.
Un tono evocativo e poetico conduce il lettore attraverso l’esposizione. Il racconto si apre con un’immagine suggestiva: l’arrivo in Siria, dove il protagonista si trova a riflettere sotto un cielo stellato, circondato dalle distese di ulivi e pistacchi che caratterizzano il paesaggio predesertico. Un inizio che incanta e prepara il terreno ad un itinerario che non è solo geografico, ma anche interiore, attraverso un paesaggio fisico e culturale ricco di contrasti, dove si mescolano bellezza naturale e tensioni politiche.
Il linguaggio,
semplice, è arricchito da descrizioni dettagliate e da riflessioni che
trasmettono la passione e la dedizione dell’autore. Matthiae oltre a raccontare
i successi della sua carriera, condivide anche le diverse problematicità, come
l’adattamento al clima rigido e la difficoltà comunicativa con gli abitanti
locali, rendendo. così il testo autentico e coinvolgente.
Un aneddoto significativo è l’incontro con Fais Abeidin, un
farmacista siriano laureato a Bologna, che diventa per l’autore e i suoi
collaboratori una figura amica e di sostegno. Questo episodio incarna
perfettamente il filo conduttore del libro: la fusione tra vita quotidiana e
lavoro archeologico, tra scoperta scientifica e legami umani.
Stavo lavorando da solo alla ceramica quando vidi entrare un signore elegantemente vestito con un’immacolata ghalabiab bianca, che si rivolse a me molto cortesemente in un italiano corretto, quasi fluente, ma con un forte accento bolognese. La prima impressione che ebbi fu che stessi avendo un colpo di sole. Ma non era questo il caso, perché lo sconosciuto subito si presentò, dicendo che era Fais Abeidin, un ex studente dell’ateneo bolognese, dove si era laureato in Farmacia, appartenente a una facoltosa famiglia della vicina cittadina di Saraqeb, nella quale aveva da poco aperto una farmacia. Quell’incontro fu assai positivo, perché Fais divenne un ottimo amico, per tutta la durata dei nostri scavi mantenne con noi un eccellente rapporto e ci invitò ripetutamente nella sua bella villa alla periferia di Saraqeb. (pp. 33-34)
I ricordi raccolti sono scelti con cura per intrecciare storie, aneddoti e persone, come il richiamo al rapporto tra musica e archeologia:
La musica come meditazione sul sacro, l’archeologia come traccia della sua manifestazione tangibile». Mentre sul valore dell’archeologia: «Solo i ricordi, la ricostruzione del passato, la rielaborazione della memoria hanno il potere di farci andare avanti e di darci la forza per creare delle nuove ipotesi, delle nuove utopie. (p. 123)
Senza veli è un'opera appassionate, coinvolgente e curiosa.
Silvia Papa