Ribellarsi ai costrutti sociali in una profonda storia al femminile: "Come arcipelaghi" di Caterina Perali



Come arcipelaghi
di Caterina Perali
Neo, 2024

pp. 160
€ 16 (cartaceo)


Per Jean non importa a chi piacere ma di piacere, in linea generale, e di vivere cercando approvazione. La donna specifica a chiunque di campare di rendita - ci tiene proprio - e conduce, un'ora alla settimana dal suo appartamento a Milano, un innocuo programma radiofonico che discute di attualità e problemi comuni. Ha una tiepida relazione a distanza con Carlo e mostra curiosità verso gli affari degli altri. La nuova vicina, single che vuole diventare madre, l'affascina da subito. Chiara si rivolgerà a una clinica spagnola, aggirando le ristrettissime leggi italiane, e Jean deciderà di starle accanto nel pre e post inseminazione. La vicinanza porterà Jean a mettere in dubbio chi è, come donna, come compagna, come essere umano. Il desiderio di Chiara aprirà la sua crisi.
Ci sono frasi che ti restano appiccicate addosso, ti fanno perdere l'equilibrio come inciampi improvvisi, per permettere alle emozioni più sotterranee, le più carsiche, di riemergere, cancellando spazio a tempo, senza morali, senza permessi. "Mi basta il suo sperma" è stato uno di quegli inciampi, e sto cercando di capire il perché. (pp. 9-10)
Come arcipelaghi, vivacissimo capitolo conclusivo della trilogia della ringhiera di Caterina Perali, inaugurata da Crepa (13Lab Edizioni, 2015) e proseguita con Le Affacciate (Neo., 2020), inizia con una frase piombata addosso a una quarantenne perfettamente alienata nella Milano di adesso, dalla vita moscia e abitudinaria che trova piccole soddisfazioni nell'ora di conduzione radiofonica e nelle ripetitive cene con un compagno sfuggente. Si parla di gravidanza, una condizione che Jean pare aver accantonato.
La mia ora di diretta mi fa sentire utile e onnipresente, parte integrante di un macrosistema in consapevole contraddizione con se stesso, dove al suo interno convivono guerre, tasse, soprusi, creme solari scadute, tumori, tramonti, tradimenti, e non c'è pudore nel parlare di qualsiasi cosa, perché tutto fa parte dello stesso calderone con cui facciamo i conti per vivere, e tutto può diventare argomento e consenso. (p. 16) 
Per capire Jean, bisogna concentrarsi sul programma che conduce. Il format ha cadenza e durata fissa e permette a chiunque di intervenire e raccontarsi, dire la propria, mostrando la nostra tendenza a dare per scontato che le nostre esperienze siano interessanti, e a esprimere opinioni generiche, sentenziando su virus, conflitti, estranei, senza averne consapevolezza, semplificando. Di tutto si accenna senza scendere in profondità; di tutto possiamo parlare tutti. Il programma è inoltre determinante nel delineare uno dei bug forse più inquietanti della nostra società, che vede spesso esprimerci con la stessa carica emotiva riguardo a genocidi, unghie, missili e manicure. 

Il cambiamento di Jean avrà ripercussioni anche nella scaletta del suo programma, a causa della necessità di ridimensionare i temi più sciocchi e dare spazio a Chiara e a una dinamica che coinvolge molte più donne di quanto sospettato. 

Chiara è energica, motivata, inquieta. La sua energia costringe Jean a fare i conti con alcuni dei più comuni ricatti sociali di cui ognuno di noi si scopre, prima o poi vittima, e mettere in discussione le meccaniche della sua vita. Jean si schianta contro costrutti metabolizzati negli anni, frantumando il futuro che pareva aver deciso a tavolino insieme a Carlo, compagno serenamente distaccato simbolo di un perfetto workaholism composto di tempi ristrettissimi, urgenze improrogabili, vini costosi perché sì, e con cui ogni incontro sembra preconfezionato, persino ogni emozione decisa con anticipo. Jean dovrà capire chi voler essere davvero, aprendosi alla meravigliosa possibilità dell'incoerenza, del non previsto. 
Chi è solo riconosce subito la solitudine degli altri, la respira, la annusa e, se può, ne sta alla larga. (p. 48)
Quasi tutto quello che dico, online e offline, lo uso per impressionare e compiacere gli altri, per sentirmi socialmente accettata, ed esserlo mi aiuta a vivere meglio. Se piaccio, mi piaccio di più. (p. 76)
Attraverso l'amicizia tra due donne molto diverse, Come arcipelaghi scatta una provocatoria fotografia del mondo occidentale, e si pone domande molto efficaci sul ruolo di donna e di madre, su cosa significa esserlo adesso, su cosa ci si aspetta, come se ci si debba aspettare, pretendere qualcosa sempre. Il testo, ironico, profondo ed esuberante, si colloca bene in questa nuova, interessante rotta di Neo., orientata a testi attualissimi, che sanno intercettare bollori e dissapori del mondo odierno. Il romanzo di Caterina Perali sembra infatti strettamente imparentato a Drama di Annina Vallarino (Neo, 2024) e, spostando l'ambientazione da una grande città all'altra senza che qualcuno possa davvero accorgersene (da Londra a Milano, come se i ritmi e i guasti fossero comuni), si sofferma sulle dinamiche senza scrupoli di un occidente confusionario, sentenzioso, sconclusionato. 

Daniele Scalese