[…] farei bene a introdurre al rapporto che ci instaura tra la penna e la bicicletta, se è vero che non faccio altro che correre appresso alla Galant con l’inchiostro. Un’altra contraddizione apparente: la penna evoca, richiama e rivanga raccontando; la bici corre, scorre e precorre avanzando. Con la penna si cava il passato dalla tomba; la bici, premonendo, capta il futuro. Perciò scrivere di bici vale a riesumare il futuro, o disseppellire premonizioni con la forza del racconto: identifica la rincorsa futurista della bicicletta, cioè il presente, amalgama del prima col dopo. (p. 162)
La penna e la bicicletta, due mezzi complementari per un viaggio in piena regola: la prima ci costringe a fermarci e a fermare i pensieri su carta, a vivere pienamente ciò che sulla bicicletta ci scorre davanti agli occhi in velocità. Immaginate di abbandonare tutte le comodità di cui usufruite normalmente oggi spostandovi per viaggiare: niente tecnologia, niente letto comodo, niente connessione a internet, nessun dispositivo avanguardistico che ci facilita la vita.
Il nostro scrittore, Luca Scacchetti, dopo aver pubblicato raccolte di racconti, stavolta ci lascia un romanzo di viaggio, ma un viaggio assolutamente sui generis, lungo 6025 chilometri, precisamente da Roma a Nordkapp, in Norvegia, spostandosi da solo su una Galant, con la forza delle sue gambe e la spinta dei suoi sogni. La sua bici deve trasportare lui e il necessario per sopravvivere (fornelletto, qualche padella, la tenda pieghevole, eccetera), in luogo del navigatore il nostro ha delle mappe create manu propria prima di salire sul sellino e mettersi a viaggiare, ha un cellulare che usa solo per avvisare i familiari degli spostamenti e delle sue condizioni fisiche. Immancabili, il taccuino e la penna per fissare su carta i pensieri e le riflessioni sorti durante il viaggio. Poteva mancare un libro? Certamente no! Il nostro scrittore porta con sé Il piacere di Gabriele D’Annunzio. Qualcosa però lo dimentica, e volutamente:
Comunque, nel bauletto fissato al manubrio c’erano finite anche alcune stampe valide ad approfondire il valico alpino e un’altra manciata di passaggi che ritenevo dubbi, il resto era zero, se si eccettua un’Europa di carta la cui utilità è denunciata dalla scala capace di contenere in appena tre pieghe i paralleli tra il Marocco e il Polo, omaggio tributato al sottoscritto dai veri amici, coloro i quali me lo avevano regalato non senza un filo di sarcasmo. Uno smartphone, facile eccezione, consentirebbe di aggiornare la propria posizione in tempo reale, e io uno scarso con me l’avevo. […] Il casco, avevo appena varcato il cancello di casa quando realizzai di averlo lasciato indietro. Negligenza? Non credo. L’avete mai visto un ciclista da vicino? Più liscio della vetroresina; in uniforme, schierato in riga peggio delle guardie; il faccino dodici pollici e le labbra da pista. E poi, contavo forse di cadere? Volevo perdere capelli e rinunciare a sole, vento e pioggia sui pochi rimasti? (p. 18)
Scritto in prima persona, come nei diari di viaggio, 6025 volte me è un libro che parla di itinerari, contempla pagine d’avventura, a tratti picaresche, e passaggi di riflessione e di profondità lirica che equilibrano una prosa spesso divertita e scanzonata. La narrazione inizia con il punto di arrivo, Nordkapp, in cui vediamo il nostro Luca incontrare e fare amicizia con altri giovani avventurosi, in particolare con un carismatico Fabian che gli chiede di raccontare del suo straordinario e folle viaggio. Il racconto si rivela essere dunque un lungo e lineare flashback, in cui Scacchetti ricostruisce la sua avventura su due ruote, col cielo come testimone. Una sola raccomandazione: non chiamiamolo mai ciclista, neppure nella recensione!
Non ero un ciclista, non avevo nulla di quella mentalità, ero solo uno facile a fantasticare. Guai a chiamarmi ciclista, me l’ero giurato, c’era un insulto pronto per chiunque ci avesse provato. (p. 23)
La bicicletta è il mezzo scelto con cura per intraprendere un viaggio così folle e straordinario: semplice, scarno, senza comfort, è quasi come andare a piedi da Roma a NordKapp, con la differenza che, con i dovuti accorgimenti, si ci può portare con sé qualcosa in più rispetto a uno zaino. Durante lo spostamento si gode appieno dei paesaggi, si soffre per le pedalate faticose, si è costretti a trovare un posto dove dormire. Un viaggiare lento che rappresenta un percorso di crescita, una prova cui sottoporsi anche quando, passate appena due settimane dalla partenza, si viene lasciati dalla propria fidanzata con un freddo, crudo sms: «Non ti amo più» (p. 97). Luca non sembra però tramortito dal dolore, in quanto si trattava probabilmente di una storia già al capolinea, come le pagine iniziali lasciano in parte trapelare. C’è però tanto da fare per lasciarsi andare alla delusione d’amore! Il viaggio, le difficoltà previste e impreviste da fronteggiare e tanti incontri da affrontare. Luca incontra lungo l’Aurelia un giovane, anche lui in bicicletta, Kim Ho, un coreano a cui si lega da sincera e speciale amicizia sin dalle prime pedalate. Kim non è diretto a Nordkapp, ma in… Cina (!), dove lo aspetta la fedele moglie. Kim è un personaggio straordinario, che diventerà una sorta di modello di perseveranza, fedeltà e tenacia cui ispirarsi. «Ogni impennata, ogni sferzata contro il destino erano un impegno di cuore. […] Lo studiavo sorbire dal bicchiere e, come succedeva di frequente, non potevo dubitare che ce l’avrebbe fatta, l’idea di mettere il cavalletto in un cortile a Pechino lo mandava in fibrillazione. (p. 55). Le pagine in cui il nostro protagonista viaggia insieme a Kim fino a Firenze, dove i due si separeranno, sono tra quelle che ho letto con maggiore piacere: sono davvero gustose, divertenti.
In questo libro non troverete i soliti excursus storici, artistici presenti molto spesso nei libri che parlano di viaggi: 6025 volte me parla del viaggio materiale nudo e crudo con tutte le difficoltà e le impressioni dello scrittore sui luoghi che visita, i loro cieli, sulle persone che incontra.
Liriche e intime le pagine dedicate all’incontro con Frida, una studentessa tedesca che si trovava come lui nella Repubblica Ceca, nei pressi della Moldova: un flirt più passeggero di una nuvola, ma intenso:
«Teniamoci in contatto» si precipitò a dire lei, molto impaziente di allontanarsi. E poi peggio, a rincalzo: «You are a very good guy, Luca» il più disonorevole degli appellativi, se proferito da una donna. Se ne andò come avevo immaginato, sparendo dietro la bigiotteria. Neanche due passi e correvo già indietro per vederla richiudere il portone. Mi indirizzò un sorriso lontano, schermato. Fu allora che i bei discorsi sul ritorno e sul tocco e gli Hallelujah alati nel cielo sprofondarono su di me che mi rincamminavo tra i vicoli, per gli ultimi inconsolabili cinquemila metri in compagnia delle suole. (p. 176)
Un racconto di viaggio che tocca temi di grande impatto: riflessioni sulla vita e sulla morte, sul tempo che scorre, sul desiderio innato di essere cittadino del mondo, finanche alcune considerazioni sull’etica di lavoro dei coreani. Tutto ciò però si amalgama in un perfetto equilibrio insieme a una prosa ironica, giocosa e scanzonata. 6025 volte me è una bella avventura di lettura per chi ama viaggiare con le pagine dei libri, anche se non sa andare in bicicletta.
Marianna Inserra