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«Una famiglia dalla storia sorprendente, che già di per sé sembrava un romanzo»: "Malastrada" di Ugo Barbàra

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Malastrada
di Ugo Barbàra
Rizzoli, 2024

pp. 688
€ 20,00 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)

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Abbiamo incontrato Ugo Barbàra il 17 settembre alla Libreria Bonazinga di Messina, per la presentazione del suo libro Malastrada, secondo volume della trilogia della famiglia Montalto (qui la recensione del primo volume Malarazza).

«La storia - ci racconta Barbàra - nasce dall'incontro a New York con una famiglia di Castellammare del Golfo. Una famiglia dalla storia sorprendente, che già di per sé sembrava un romanzo». L'interesse per le storie degli emigranti, per il loro legame mai veramente sciolto con la terra d'origine, per i ritorni di alcuni e la nostalgia degli altri sono stati i semi che hanno germogliato poi in questa saga.

In Malastrada ritroviamo i personaggi che ci avevano conquistato nel primo romanzo: Rosaria Battaglia, la matriarca inflessibile e combattiva, Nicola Scudera e la moglie Bianca, e poi la seconda generazione dei Montalto, dei Rizzo, degli Scippatesti. 

«La partizione in trilogia nasce dall'esigenza di creare dei volumi  maneggevoli, anche da bagaglio a mano - scherza Ugo Barbàra, che riesce a magnetizzare il pubblico con la sua ironia, la semplicità e la maniera amichevole di intendere l'incontro fra l'autore e i lettori - ma in effetti, è un'opera che richiede lentezza. Io sono un bradipo. Quando qualcuno mi dice: "Ho divorato il tuo libro in due giorni", io non sono felice. Si è perso tante cose, non ha colto tante cose». 

L'autore mi dice che ha già iniziato il lavoro per il terzo volume, che prevede uno studio poderoso sulle fonti storiche, una ricerca storiografica e cronachistica non indifferente. Anche per parlare dell'epidemia di fillossera che alla fine dell'Ottocento ha causato un'apocalisse nei vigneti di tutta Europa (e che avrà un ruolo importante nella trama dei Malastrada) l'autore ha dovuto documentarsi in modo accurato.

Il volume si apre richiamando la maniera in cui si era chiuso, con un incipit con io narrante, in grado di catturare immediatamente l'attenzione, prima di lasciare il posto ad una narrazione in terza persona.

Mia madre non meritava di essere ricordata ed è per questo che l'ho dimenticata. Non meritava di morire, certo, ma non rimpiango che ogni traccia di lei mi abbia abbandonato. È successo così, all'improvviso. (p. 11)

Chi ci interpella così non lo scopriamo subito, ci lascia delle tracce, ci alletta parlando della discendenza di Don Antonio e Donna Rosaria, del loro «genio e la loro follia, le ambizioni e i tormenti». I Montalto, che nel primo volume erano partiti alla volta dell'America in cerca di fortuna - non erano poveri, ma l'ambizione di Antonio era decisa a fare il salto di qualità - oramai hanno conquistato l'America e il loro impero economico e bancario si estende anche nel Vecchio Continente. Rosaria Battaglia, la prima donna a essere presidente di una banca negli Stati Uniti, decide di tornare con la figlia minore, Benedetta, in Sicilia, lasciando ai figli Leonardo e Paolo la gestione degli affari americani. 


L'opposizione fra Leonardo e Paolo è stato uno dei temi che maggiormente ha impegnato l'autore nella discussione con i lettori nella serata messinese organizzata dalla libraia Daniela Bonazinga. Il primo prende le redini della famiglia, con oneri ed onori. Paolo, invece, è un dandy sofisticato ed edonista, spende quanto il fratello maggiore guadagna. In questa sorta di dicotomia tra la formica e la cicala, l'autore riesce a rendere più affascinante, come spesso accade, l'ombroso, il "cattivo", anzi... senza fare anticipazioni, Barbàra ammette che Paolo gli ha preso la mano e ha finito per compiere più nefandezze di quanto al principio lui avesse immaginato.

Benedetta, la figlia minore, consente a Barbàra di descrivere l'amore passionale, corrisposto e poi osteggiato, con Ignazio Rizzo. Ma anche l'incontro con il marchese Ventimiglia, i balli e la vita mondana della sfavillante Palermo. Come già era accaduto in Malarazza, i personaggi femminili anche qui sembrano rubare la scena a quelli maschili. Ugo Barbàra lo ammette senza problemi: 

«Il mio rapporto col femminile è un rapporto molto intenso per un semplice motivo: io vengo da una famiglia matriarcale, molto matriarcale. Le donne, nella storia della mia famiglia hanno avuto un peso determinante. E ancora di più mi sono reso conto che avevano un peso nella storia della famiglia Montalto, quella vera. Io, banalizzando, dico sempre che gli uomini pensano le cose, fanno i casini, e poi arrivano le donne che mettono ordine. Fuor di metafora, è così che funziona. Che cos'è che mi attrae nel femminile? La capacità di dare senso alle cose. Gli uomini sfuggono il senso».

Il senso della Storia si intreccia con la varietà delle storie, in una trama multidimensionale, che si articola in vari luoghi geografici, in vari tempi narrativi e che segue personaggi che acquisiscono, pagina dopo pagina, spessore psicologico. Donna Rosaria è un personaggio maestoso nella sua spigolosa determinazione, austera e sprezzante anche dinnanzi alla morte:

Rosaria Battaglia socchiuse gli occhi. Erano tutti morti e ora era venuto anche il suo tempo. Il principe Tagliavia, quello di Sant'Elia e il principe Castelli l'avevano preceduta da un pezzo nelle fredde tenebre, e un buon numero di quelli che si erano tanto divertiti nelle serate danzanti ora marcivano nelle loro eleganti cappelle patrizie del cimitero di Santa Maria di Gesù. Anche Ignazio Florio non c'era più, era morto da oltre dieci anni, lasciando tutto nelle mani di quella cosa inutile di suo figlio, che portava lo stesso nome, ma non valeva un pelo della barba del padre. [...] Cercò di scacciare quei pensieri: la morte le faceva compagnia da molti anni ormai, ma non smetteva di averne orrore. Le facevano orrore la malattia, il disfacimento dell'agonia, il rito della sepoltura. Le faceva orrore il cimitero, con quelle file di lapidi ingrigite e il mare che si scorgeva oltre il muro. Le sembrava un abominio che da un camposanto si vedesse il mare, che si ostentasse tanta libertà davanti ad anime intrappolate sottoterra. (p. 405)

Nella capacità di tenere insieme i molteplici fili di questo intreccio, ma anche di staccare al momento giusto per scegliere un'altra inquadratura, si colgono le doti non solo di narratore ma anche quelle di sceneggiatore di Barbàra, che riesce a non concedere un attimo di stanchezza con ben più di seicento pagine.  

Con l'Epilogo, datato 1990, ritorna l'io narrante. Il romanzo si chiude in modo, come si può immaginare, felicemente irrisolto, lasciando i lettori in attesa del terzo capitolo. 

Deborah Donato