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La decodifica di una passione e il confino su un'isola che è prigione e pace: l'esordio narrativo di Vanessa Tonnini

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Grammatica di un desiderio
di Vanessa Tonnini
Neri Pozza, settembre 2024

pp. 222
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)

A non conoscerle, le emozioni ti travolgono, come fa il mare. Io non sapevo nuotare e frequentavo ancor meno i sentimenti. E dunque se l'anima ansimava, io affogavo. (p. 62)

Vanessa Tonnini, conosciuta per essere la direttrice artistica di Rendez-vous, il festival del cinema francese di Roma, qui è al suo esordio in narrativa con un romanzo di formazione dal titolo ambizioso.  Come possiamo intuire, la tematica cardine del romanzo è il desiderio, o meglio, la decodifica del desiderio: l'autrice - a mio avviso - usa quell'articolo indeterminativo "un" non in senso vago, ma in modo iper specifico, ci parla di un desiderio in particolare, quello del suo protagonista, Nicaredda
Il romanzo comincia con una voce in prima persona che si rivolge a un tu, specifico anche qui, Ruggero, il vecchio amante di Nicaredda. Sarà proprio quest'ultimo a parlare, raccontandoci la sua storia, la storia di Ruggero, il modo in cui si sono incontrati, i giorni di confino, la passione e il peso della nostalgia. 

Possiamo ammettere quindi che il romanzo è una lunghissima lettera d'amore da parte di Nicaredda a Ruggero. Questa scelta narrativa da una parte esclude il lettore, come se questo fosse un dialogo esclusivo e intimo tra loro due (la stessa sensazione che abbiamo quando leggiamo la lettera di qualcuno che non conosciamo) ma, dall'altra, lo lascia entrare a passi lievi sbirciando, capendo un passo per volta cosa gli viene raccontato. 

Anche a livello stilistico l'autrice preferisce un tono morbido, quasi sussurrato, molto rotondo, con parole pesate, scelte con cura, e capitoli molto corti, proprio come fossero tante piccole lettere. E questo anche per un altro motivo: perché Nicaredda si analizza chirurgicamente, spacchetta i sentimenti, li apre, li accartoccia, li esamina, pur non riuscendo a dargli voce e nome. Così sarà il suo amore per Ruggero, il barone, una passione taciuta ma non per questo trattenuta.

Siccome stavo male se mi guardavi, ma stavo peggio se guardavi un altro, chiusi gli occhi. (p. 113)

Dunque la trama: siamo nel 1939, Nicaredda inizia a lavorare giovanissimo in miniera, poi fugge e incontra due persone che gli cambieranno la vita, Emilio e Fay. La coppia gli consegnerà uno scopo, un sogno, molto più grande di quello che immagina. Siamo però alle porte della seconda guerra mondiale, e, come ha già raccontato Aldo Simeone nel suo romanzo L'isola dei femminielli, Nicaredda e gli altri arrusi siciliani (uomini omosessuali) verranno arrestati e spediti al confino sulle Isole Tremiti. 
Qui non ci sono solo gli arrusi, ma anche i prigionieri politici: uno su tutti, Nussi, il quale sarà la missione di Nicaredda, il suo obiettivo, ciò che gli permetterà di non soccombere allo sconforto. Sull'isola, incontrerà anche Ruggero, col quale intreccerà un rapporto di amore e odio, all'inizio, poi di selvaggia passione. 
Però Nicaredda non sa dirglielo: si sente in colpa per ciò che è, si sente in colpa per il suo desiderio e ancora di più per non trovare le parole. Ruggero, dal canto suo, nobile e al confino per una punizione da parte della famiglia, non ha alcuna voglia di rinnegare la sua natura. Quando la moglie gli chiede di curarsi dalla sua "malattia" lui strappa la lettera e rifiuta di abbandonare l'isola.

Mai sottovalutare il coraggio di un uomo che possiede un sogno. (p. 176)
Anche in questo romanzo, come il quello di Aldo Simeone, L'isola dei femminielli, incontriamo un gruppo di uomini omosessuali rinchiusi in un casermone, ognuno con i propri problemi, il proprio carattere e i propri sogni; anche qui, sull'altra isola, ci saranno i politici al confino, i grandi ideali, le lotte e i sospiri di libertà. Anche qui una natura selvaggia, incontaminata, che sa essere pugno e carezza. Per i protagonisti le Tremiti sono prigione ma anche rifugio, degrado ma senso di pace.
Ciò che mi è piaciuto di questo romanzo è lo stile: amo sempre molto quando il tono si adegua alla storia, quando le parole e il modo in cui sono strutturate si adattano a ciò che viene raccontato. Qui, come ho detto, i sentimenti timidi e fragili di Nicaredda sono retti da una scrittura altrettanto delicata, equilibrata, che non toglie e non aggiunge niente a ciò che bisogna dire.
Un romanzo elegante, adatto a chi ama le storie d'amore e d'identità tormentate. Lo consiglio ovviamente a chi ha amato il libro di Simeone o, come suggerisce la stessa autrice nei ringraziamenti, La città e l'isola di Goretti e Giartosio.

Deborah D'Addetta