in

«Cosa distingueva una strega da una donna qualunque?»: “E ti chiameranno strega” di Katia Tenti

- -


E ti chiameranno strega
di Katia Tenti
Neri Pozza, settembre 2024

pp. 301
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Vedi il libro su Amazon

Era un mondo di guaritrici, erbarie, levatrici, ostetriche che padroneggiavano la scienza di cosa dà e cosa toglie la vita. Conosceva le piante e i loro principi attivi, e spesso il loro sapere si rilevava più efficace della medicina ufficiale dell’epoca. Ma era un mondo di mogli non desiderate, di amanti scomode, di ragazze violentate e poi denunciate dagli stessi uomini [...] Bastava poco per guadagnarsi una denuncia [...]. (p. 72)

Se pensiamo all’epoca delle streghe, quelle accuse così ridicole potrebbero anche strapparci un sorriso amaro. Eppure, leggendo la cronaca, sembra quasi che questa caccia non sia del tutto conclusa, tanto che le donne continuano a essere oggetto di sguardi diffidenti e dicerie, soprattutto in virtù di alcune scelte di vita. La domanda mi ha risuonato per tutta la lettura di E ti chiameranno strega di Katia Tenti perché la protagonista di quest’avvincente storia sembra davvero ripercorrere i passi di molte di noi, trovandosi a dover combattere con quei pregiudizi che di tanto in tanto (ma non troppo di rado) emergono nella nostra società.

Arianna è una giovane donna neolaureata quando ottiene il suo primo incarico in un’importante fondazione del Trentino: la Fondazione Von Stauber. Guidata dal gelido presidente Moser, è tra le istituzioni storiche più note della regione. L’incarico di Arianna sembra, almeno in apparenza, semplice: deve allestire una mostra riguardante il processo che, nel 1509, ha sconvolto il piccolo paese di Fié allo Scilar, nel quale sono state condannate a morte trenta giovani donne per stregoneria. Se in un primo momento la giovane è entusiasta dell’incarico, ben presto si accorge che condurre questa ricerca non sarà così facile, soprattutto per se stessa, perché la giovane è ben consapevole (fin dalle prime pagine) di essere in dolce attesa e quindi aver dovuto accettare un incarico lontano da casa non è stata forse la scelta migliore. La domanda verrà da sé: tenere il bambino (e quindi, come se non ci fosse altra scelta, abbandonare la carriera) o abortire?. 

In questo dilemma («[...] è consapevole di cosa implica un aborto?», p. 79), la giovane comprende che quelle vite, all’apparenza così distanti, hanno per lei un altro significato: un significato che travalica la Storia stessa, assumendo un valore molto più intimo. Non è solo più una questione lavorativa ma personale, tanto non poter accogliere le pretese assurde (e talvolta ridicole) del presidente della fondazione che vuole trasformare la mostra in uno spettacolo per famiglie. Non può accettare la sdrammatizzazione di quel processo e, soprattutto, la superficialità di Moser che non bada alla sostanza storica del fenomeno. Ad Arianna l'obiettivo è chiaro: «raccontare una storia diversa [...] che non è ancora finita» (p. 88). A colpirla, tra tutte, è Barbara Vellerin; incuriosita, dapprima, da alcune lacune nella documentazione del suo processo, ben presto la vita della giovane sembra nascondere molto di più che la stregoneria. La ragazza, infatti, era cresciuta ai margini del paese, insieme alla sorella (Sonne) e alla madre, la quale le aveva tramandato i saperi medicali della natura, facendone a tutti gli effetti una curatrice. D’altronde, Arianna sembra avere, nonostante la distanza temporale, molte somiglianze con Barbara: entrambe sono determinate e fragili allo stesso tempo, pronte a seguire la loro strada nonostante tutto e tutti, portando il peso di un segreto che continua a dare scandalo.

Pensavo alla delicata bilancia dell’accettazione e dell’inclusione sociale. Dentro o fuori dalla società: se per esservi inclusi occorreva rispettare tutta una serie di regole e convenzioni, per esserne sbalzati fuori poteva bastare un semplice gesto. (p. 101)

Ispirandosi a una storia realmente accaduta, Katia Tenti intreccia passato e presente (i capitoli infatti alternano le voci di Arianna e Barbara) con il filo della memoria e della Storia, dimostrando quanto quel drammatico capitolo storico non sia molto lontano da alcune concezioni dei nostri tempi. Al centro della narrazione rimane sicuramente il processo del Fié allo Scilar, tra i più violenti della Storia, ma, nei contorni, l’autrice dona un senso di contemporaneità, dimostrando che a colpire quelle donne non fu altro che «il meccanismo della macchina del fango» (p. 87). Bastava poco per essere marchiate, a volte era sufficiente solo intraprendere una strada insolita agli occhi della gente, come alla fine accade a Barbara e Arianna. Così l’autrice centra l’obiettivo: quello di dar voce a chi non ne ha mai avuta e fatica, ancora oggi, a farsi ascoltare, lasciando al lettore un senso amaro perché quei «roghi [...] avevano ancora, disgraziatamente, qualcosa da insegnarci» (p. 43).

Giada Marzocchi